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Italjet Dragster, come TE nessuno MAI!

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti foto Marcello Mannoni© il 14/01/2022 in Anteprime
Italjet Dragster, come TE nessuno MAI!
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Italjet torna a stupire con uno scooter che entra nell’olimpo dei mezzi esclusivi, che ti compri per tre motivi: possederlo, farti vedere in giro e guidarlo. E in effetti non c’è un altro scooter che dia lo stesso feeling di controllo e precisione in curva

Fine 1995, sulle strade impazza il fenomeno Ducati Monster e a Bologna, dall’altra parte della città rispetto a Borgo Panigale, Italjet risponde con il Dragster, lo scooter meno scooter che si fosse mai visto: sospensione anteriore monobraccio come lo sportivo Formula, ma in più un telaio a traliccio, semimanubri, largo uso di alluminio e una ciclistica ancor più radicale, con due monoammortizzatori montati centralmente per le due sospensioni.

Italjet Dragster, come TE nessuno MAI!

Italjet Dragster

Da 5.499 euro c.i.m. 

Forte di un’esclusività mai più raggiunta tra gli scooter 50 e di un’estetica dirompente, il Dragster diventa subito un’icona. Non ha prestazioni all’altezza del nome, ma al suo passaggio fa girare le teste e questo basta. È uno dei pochi scooter a guadagnarsi il rispetto dei motociclisti, oltre che dei ragazzini: e per questo, a distanza di un quarto di secolo, non c’è chi non lo ricordi.

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Negli Anni 90 l'Italjet Dragster è uno dei pochi scooter a guadagnarsi il rispetto dei motociclisti, oltre che dei ragazzini: e per questo, a distanza di un quarto di secolo, non c’è chi non lo ricordi.

Italjet Dragster, come TE nessuno MAI!

Obiettivo: farsi notare

Per il nuovo Dragster – lanciato da Massimo Tartarini, figlio del fondatore di Italjet Leopoldo – l’obiettivo è stato lo stesso: alzare l’asticella e far girare le teste. E così di nuovo ecco un 125 (o 200) come mai se ne erano visti prima in termini di raffinatezza ciclistica ed estetica, con soluzioni riprese dal progenitore ma aggiornate e perfezionate. È tutto più bello: il traliccio diviso in sezioni da piastre di alluminio, la lavorazione del forcellone monobraccio anteriore, il gruppo termico a vista sul lato destro, la linea più snella e proporzionata. Il mono posteriore lavora sul lato destro e non più centralmente, quello anteriore è rimasto al centro della pedana. Il manubrio è un più ragionevole elemento unico, realizzato con una bellissima fusione di alluminio. La strumentazione è digitale.

Dopo un lungo sonno, Italjet torna insomma a stupire, come ci aveva abituato a fare nel corso della lunga storia (l’azienda, fondata nel 1960, aveva chiuso nel 2003 ed è rinata nel 2018 su impulso di Massimo). Vuole dichiaratamente porsi come una Ducati, anzi una MV Agusta o una Bimota degli scooter: sportività al 100% e cura costruttiva al top; e potrebbe riuscirci, visto il riscontro già avuto per il Dragster che tra 125 e 200 potrebbe già valere molte migliaia di pezzi all’anno, in gran parte sui mercati esteri.

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La moto nel DNA

Ci sono mezzi, come lo Yamaha TMAX o l’Honda X-ADV, che sono costruttivamente più vicini a una moto; ma nessuno che sia così motociclistico nel concetto come il Dragster. Perché a Bologna hanno deciso di rinunciare per principio a molte delle caratteristiche che associamo a uno scooter, come lo spazio sottosella, il sellone e i compromessi ciclistici. A parte le ruote basse (peraltro ben calzate: 120/70 R12 davanti e 140/60 R13 dietro), il Dragster di compromessi non ne fa: zero sottosella, poco scudo, pedana occupata quasi per intero dal traliccio e sistema di sospensioni esclusivo. In Italjet lo definiscono “urban superbike”, ed è una definizione che rende abbastanza bene l’idea.

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Il traliccio, che sul Dragster originale era un elemento unico in stile Ducati Monster, ora ricorda più quanto fatto da MV e Bimota, con un’affascinante alternanza di parti in alluminio e in acciaio che fa da sola più di metà dell’estetica del Dragster. Un altro quarto arriva dal “sistema indipendente di sterzo” (S.I.S), ovvero il monobraccio in stile Bimota Tesi e Vyrus (qui con una fusione che simula il traliccio) che arriva dal Formula e dal Dragster che furono. La ruota è supportata da un braccio orizzontale che assicura il molleggio tramite un rinvio, mentre un secondo braccio verticale gestisce la sterzata.

Dietro c’è un monoammortizzatore senza leveraggi, ma montato molto inclinato per garantire la progressività, che lavora su un forcellone doppio braccio. Il lato sinistro è occupato dalla trasmissione del motore, un bialbero 4 valvole di origine Aprilia, lasciato bene in vista sul lato opposto come raramente (se non mai) si vede su uno scooter. Il serbatoio da 9 litri è sotto la pedana per abbassare il baricentro, e la zona della pompa benzina è lasciata a vista. Le plastiche ci sono, certo: codone, pedana e scudo; ma sono compattissime (anche nel confronto con il Dragster originale) e molto ben integrate nel design del mezzo.

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Sul Dragster insomma la meccanica la fa da padrona anche dal punto di vista estetico: e in un mondo sempre più dominato dalle plastiche e dai cruscotti connessi (a proposito: qui il cruscotto è un classico LCD a striscia) dobbiamo dire che fa piacere. La costruzione è sofisticata e le finiture piuttosto premium; per gli incontentabili è poi già stata prevista una serie di accessori al top firmati da nomi come Brembo, Öhlins, Akrapovič, Malossi.

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Italjet Dragster 200 - La prova

Fatte le debite proporzioni, Italjet è riuscita davvero a realizzare un veicolo che entra nel ristretto olimpo dei mezzi – come una Bimota o una Ferrari – che ti compri per tre motivi: il piacere di possedere un mezzo esclusivo, il piacere di farsi vedere in giro su un mezzo esclusivo e naturalmente il piacere di guida. Visto che i primi due obiettivi sono raggiunti, vediamo come se la cava il Dragster su strada.

Per salire in sella vien voglia di fare lo “scavalco”, perché tra telaio e ammortizzatore della sospensione anteriore con relativo piggy-back, la zona davanti alla sella non è molto più libera che su una moto; ma comunque si salga, una volta a bordo e la posizione di guida è una e una sola, come su una moto sportiva: mani, piedi e fondoschiena possono stare solo in un punto preciso. Non c’è dove allungare le gambe e la sella, sottile come quella di una moto, ha anche una conformazione che se da un lato dà molto sostegno posteriore, dall’altro vieta di arretrare. Insomma: sul Dragster si sta “infilati” come su una moto o un’auto supersportiva, e se sulle prime la cosa trasmette un vago senso di claustrofobia (specie se mentalmente si sale con un approccio da scooter), in realtà la cosa non è per niente drammatica: l’ergonomia è ben studiata (fortunatamente sono stati abbandonati i semimanubri del vecchio Dragster), e dopo qualche chilometro si dimentica tutto e ci si concentra sulla guida.

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Come una Ferrari...

Piacere di guida, dunque. Il piacere di guida in questi casi significa stare su un mezzo che ti ricorda in ogni istante la sua diversità, come appunto una Bimota Tesi, una Ducati degli Anni 90 o una Ferrari. Se su uno scooter guida piacevole è sinonimo di guida disimpegnata, in cui ti dimentichi le azioni da compiere e ti godi il paesaggio, qui invece siamo dalle parti di una moto: e per di più di una moto resa particolarissima dalla sospensione anteriore. Non avevo mai guidato una Tesi o una Vyrus, ma conoscevo in linea teorica l’effetto del S.I.S. (separare le forze orizzontali da quelle verticali, diciamo: e quindi la frenata dal molleggiamento); nonostante questo, all’atto pratico il suo comportamento mi ha sorpreso.

È innegabile che il feeling trasmesso sia subito atipico: lo scooter a sensazione sembra cortissimo di interasse, molto più dei suoi 1.350 mm, e in manovra sembra piccolo quanto un 50 piccolo. L’angolo di sterzata è buono, persino migliore rispetto a tanti altri scooter, e verso il fine corsa c’è un tampone che dà un effetto gradevole rispetto al classico “muro” che fa la piastra forcella quando tocca i fermi.

Partendo in extraurbano, quasi non ti accorgi della presenza del monobraccio: nelle strade scorrevoli il comportamento dell’avantreno è assolutamente neutro e ti puoi concentrare sulla risposta del motore, che sul 200 a nostra disposizione ha messo in luce una trasmissione precisa e diretta. Non è un motore che gira basso e attacca subito, ma in questo contesto così sportiveggiante è perfetto: ha una bella tonalità di scarico e soprattutto una gran voglia di allungare che porta rapidamente a sfiorare i 130 km/h di tachimetro. Una volta raggiunta la città, poi, il Dragster 200 ha mostrato di tener fede al suo nome lanciandosi dai semafori con una bella prontezza, che permette di lasciarsi il traffico alle spalle.

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Un feeling unico

Tornando alla ciclistica, ha dell’incredibile la direzionalità dell’avantreno, che consente di scartare e di cambiare traiettoria davvero col solo pensiero. Una reattività che non si accompagna a un comportamento ballerino sui curvoni – dove al contrario la stabilità è ottima – ma che il Dragster regala a una condizione: non toccare il freno anteriore. L’effetto autoraddrizzante è infatti marcatissimo, ed è poco meno che impossibile impostare una curva con il freno in mano. Bisogna frenare a moto (pardon, scooter) dritta, lasciare la leva e piegare, come si fa in pista: qualcosa a cui non si è abituati quando davanti c’è una ruota da 12”, ma che col Dragster diventa ben presto la norma. Quando è libero, lo sterzo trasmette veramente sensazioni da moto: non c’è un altro scooter che dia lo stesso feeling di controllo e precisione in curva.

Peraltro abbreviare la manovra di frenata è l’ultimo dei problemi con il Dragster: c’è tanta potenza e tantissima capacità di sfruttarla; e per quanto te la possano raccontare, l’esperienza di frenare al massimo con l’avantreno che non si abbassa (anzi si solleva leggermente) resta surreale e andrebbe provata di persona. Tirando al massimo la leva, il sistema S.I.S. pare in grado di spremere dal pneumatico fino all’ultima briciola di aderenza, garantendo spazi di frenata ottimi per quanto, giustamente, si sia optato per pastiglie dalla mescola non troppo aggressiva. Ottimo anche l’ABS di provenienza Bosch, chiamato a sorvegliare con particolare attenzione l’impianto ma sempre con discrezione.

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C'è lo zampino di Dovi

La taratura delle sospensioni (messa a punto con la collaborazione di Andrea Dovizioso) è rigida ma non scomoda: il comfort a bordo non è quel che si dice regale, ma bisogna dire che la qualità sopra la media dei due ammortizzatori consente di digerire le asperità con una certa scorrevolezza, fatta eccezione per le buche o il pavé molto sconnesso dove la risposta è secca. Sui fondi lisci la situazione è invece ottima. Ridotta all’osso anche la protezione, per quanto rispetto a una naked o a una sportiva la pedana e lo scudo qualcosa facciano; ma il Dragster non è certo lo scooter a cui metti la copertina e il cupolino alto. Non è un mezzo di trasporto, ma una cosa da guardare e da guidare, a un prezzo elevato ma non sproporzionato: 5.499 euro c.i.m. per la versione 125, 5.799 euro c.i.m. per la nostra 200.

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Dressed for success

Questo scooter supersportivo ed esclusivo è insomma una proposta del tutto atipica, ma Massimo Tartarini è stato bravo a capire le potenzialità di questa formula soprattutto nell’enorme mercato dell’Asia, dove lo scooter ha una popolarità e un prestigio sconosciuti da noi. Qui il Dragster è istantaneamente diventato un mito: la Bimota degli scooter – ma più probabilmente ci andremmo più vicini dicendo la Ferrari degli scooter. Indonesia e Thailandia, certo, ma anche Giappone, Germania, Inghilterra: il Dragster finirà all’estero per il 95% della produzione, che potrebbe superare i 10.000 pezzi l’anno. Un successo pazzesco, che significa che di Italjet sentiremo ancora parlare a lungo.

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Corre l’anno 1995 l’Italjet Dragster fa il suo esordio, è lo scooter meno scooter che si fosse mai visto sul mercato: sospensione anteriore monobraccio come lo sportivo Formula, ma in più un telaio a traliccio, semimanubri, largo uso di alluminio e una ciclistica ancor più radicale, con due monoammortizzatori montati centralmente per le due sospensioni

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