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Approfondimento: Suzuki Burgman 650

il 16/04/2003 in Moto & Scooter

Tra gli scooter rappresenta lo stato dell’arte: il più potente, il più veloce, il più costoso. L’abbiamo provato e ci siamo soffermati su alcuni aspetti tecnici

Approfondimento: Suzuki Burgman 650
Il Burgman 650 ha una sezione frontale praticamente doppia rispetto a uno scooter 50: questo, comunque, non gli impedisce di bruciare in partenza qualsiasi rivale

Tra gli scooter rappresenta lo stato dell?arte: il più potente, il più veloce, il più costoso. L?abbiamo provato e ci siamo soffermati su alcuni aspetti tecnici
di Fabio Cormio e Alberto Dell'Orto, foto Alberto Cervetti



Ho uno zio molto corpulento. Da piccolo ne ammiravo la stazza e la forza, e quando gli chiedevo se sarei diventato anch?io un colosso come lui, mi rispondeva puntualmente: ?ne devi mangiare di bistecche, prima?.

Di anni ne son passati una ventina, sono da tempo uno dei migliori clienti della macelleria sotto casa, ma resto sottile e leggero come una canna di bambù, il classico allampanato ahimè? Insomma, lo zio aveva torto.


Il fatto è che il DNA non mente: è palese che nei miei geni non c?erano la robustezza e la possanza fisica. In quelli della famiglia Burgman, gli scooter di Hamamatsu che hanno inaugurato l?era dei maxi, alberga invece il gigantismo. Il 400 fu il primo dei maxiscooter propriamente detti; qualcuno osservandolo storse il naso, additandolo come una goffa poltrona a due ruote. Poi Suzuki ne vendette decine di migliaia di esemplari, chiudendo la bocca ai criticoni, e la concorrenza si gettò all?inseguimento.



Da un paio d?anni proliferano i mono e i bicilindrici da 500 e 600 cc, marchiati Honda, Piaggio, Aprilia, Yamaha. Ma la risposta del progenitore non si è fatta attendere: il Burgman 650 ha ristabilito le distanze, per dimensioni e prestazioni, dai rivali giapponesi e italiani. Il vecchio AN 400 al confronto pare un peso piuma.



Di descrivere il Burgman 650 si è occupato in sede di presentazione il nostro Rivola con la solita grande competenza. Tuttavia vale la pena evidenziare la grande cura del design (con simili dimensioni si rischiava di partorire uno sgraziato torpedone a due ruote), che non esclude una pregevole coerenza con gli stilemi caratterizzanti il resto della gamma.



Quanto a comfort, il Burgman 650 non è secondo a nessuno. E ci mancherebbe altro, vista la mastodontica sella, sotto la quale si nasconde un vano della capacità di quasi 60 litri, in grado di contenere due integrali e forse qualcosa di più. Lo scudo è estremamente protettivo, così come il parabrezza, secondo tradizione realizzato in materiale plastico di ottima qualità. Anche gli specchietti contribuiscono in parte a dare protezione dall’aria, nella fattispecie alle mani.
Vani, cassetti e ripostigli vari abbondano nel retroscudo, con grande soddisfazione di chi non sa mai dove mettere il biglietto dell’autostrada, i guanti, il cellulare o le chiavi di casa: purtroppo qui i materiali non sempre sono adeguati allo standard del mezzo.



La strumentazione è uno degli aspetti più riusciti e in fondo anche divertenti del Burgman: grande, digitale e ben illuminata, sembra il ponte di comando di un jet di linea. Inutile dire che non manca nulla, nemmeno la spia dell’iniezione. Peccato il peso complessivo: 238 chili a vuoto(quanto una tourer tradizionale), che al semaforo si sentono tutti e limitano, insieme alle misure esterne pachidermiche, l’agilità nel traffico.

In considerazione del proprio ruolo all’interno della gamma Suzuki e, più in generale, del panorama motociclistico, i tecnici hanno definito per il Burgman 650 una meccanica estremamente congruente con la personalità da assegnare allo scooter. La cilindrata abbondante (un pelo sotto i 640 cc) si spiega con la necessità di ottenere non solo (e non tanto) una potenza massima adeguata all’immagine del mezzo (e alla sezione frontale!), ma soprattutto un corretto rapporto tra potenza massima ed erogazione. In soldoni, si sarebbe potuto raggiungere lo stesso livello di prestazioni anche con un motore più piccolo, ma giocoforza più “tirato”, e dunque meno generoso ai bassi e medi regimi e costretto a lavorare sempre “in alto”.


Sotto la carrozzeria si apprezza la struttura di tipo motociclistico del telaio a traliccio, anche se geometrie e proporzioni sono tipicamente scooteristiche. Il motore è stato progettato come parte integrata nella struttura, da cui la scelta della disposizione praticamente orizzontale del gruppo cilindri


Ovviamente anche le altre scelte che caratterizzano il motore del Burgman 650 sono coerenti conseguenza di questa impostazione. A cominciare dalle misure caratteristiche, che abbinano un alesaggio di 75,5 mm a una corsa di 71,3; ne deriva una configurazione moderatamente superquadra (anzi, in rapporto alle attuali tendenze, possiamo quasi parlare di “corsa lunga” …), che ha ragioni di esistere molto valide. La prima riguarda banali questioni di ingombro: la corsa lunga permette di contere le dimensioni in larghezza del gruppo termico, aspetto importante in una unità dove non c’è un tradizionale cambio di velocità a costituire un limite invalicabile alla compattezza trasversale del propulsore. La seconda è che un motore con dimensioni “quadre”, o giù di lì, spesso costituisce un ottimo compromesso tra prestazioni, erogazione ed efficienza, perché la camera di combustione può essere compatta (e il pistone può avere il cielo piatto anche con rapporti di compressione elevati –11,2:1, in questo caso), senza sacrificare troppo lo spazio a disposizione delle quattro valvole di ogni cilindro, che nel Burgman 650 hanno diametri di 29,5 mm all’aspirazione e 25 mm allo scarico (misure non enormi, che si spiegano con la ricerca dell’efficienza fluidodinamica ai bassi e medi regimi).



La sezione della testata mette bene in evidenza il disegno moderno e razionale della distribuzione e dei condotti. Notare i due alberi a camme e il condotto di aspirazione: le curvature da cui è caratterizzato servono a razionalizzare gli ingombri e a impartire una turbolenza di tipo “tumble” alla massa gassosa in ingresso nel cilindro

Anche il disegno della testata mostra la ricerca di una elevata efficienza: l’angolo tra le valvole contenuto ma non eccessivamente (29°) permette, insieme al cielo piatto (anzi, concavo…) dei pistoni, di ottenere camere di combustione raccolte e anche superfici di squish di una certa estensione. Da segnalare anche l’alimentazione gestita da un impianto di iniezione elettronica e la raffinata distribuzione bialbero con punterie a bicchiere, dotata una sola molla per valvola e di registro del gioco a pastiglia “piccola” (cioè tra punteria e stelo valvola) per contenere le masse in moto alterno e dunque poter impiegare molle più morbide, che riducono l’attrito tra camma e punteria dissipando meno potenza.



L’albero motore di costruzione massiccia poggia su due soli supporti di banco per contenere la lunghezza complessiva del pezzo. A ridurre le vibrazioni provvedono i contralberi

Curiosa (è davvero poco utilizzata) la scelta di disporre le due manovelle sullo stesso asse: permette di ottenere l’equidistanza tra le combustioni (una ogni 360°), ma l’elevato tasso di vibrazioni dovuto a questo schema ha imposto l’utilizzo di una coppia di alberi di equilibratura controrotanti, una soluzione costosa ma decisamente efficace per ridurre le vibrazioni.


L’aspetto forse più appariscente del Burgman 650 è la possibilità di selezionare il rapporto di trasmissione tra i cinque disponibili, cioè di salire e scendere di marcia per mezzo di una coppia di pulsanti, con un effetto del tutto analogo a un cambio meccanico a gestione elettronica (tipo il Selespeed dell’Alfa Romeo, tanto per intenderci). In realtà questa dotazione non è altro che una possibilità “in più” offerta del sistema di gestione della trasmissione. La vera novità è che il classico sistema a variatore e cinghia dentata trova nel Burgman 650 la sua attuale massima espressione tecnologica.


Il disegno in 3D permette di apprezzare i vari componenti del sistema di variazione automatica del rapporto di trasmissione. Rispetto al solito troviamo un motore attuatore e una serie di ruote dentate che, per mezzo di un mozzo elicoidale, trasformano il movimento rotatorio del motorino passo-passo in uno spostamento assiale della semipuleggia mobile. Un sensore di apertura permette di valutare e correggere evntuali piccoli errori di posizionamento dovuti a usura o altro


Il sistema si compone, infatti, delle tradizionali pulegge ad apertura variabile, con il moto trasmesso da una frizione centrifuga prima, da un cinghia poi e infine da una serie di ingranaggi. La frizione, però, utilizza la forza centrifuga non per fare espadere delle massette contro un tamburo esterno, ma per forzare dei rulli (ce scorrono lungo piani inclinati) a “impaccare” una serie di dischi conduttori e condotti del tutto analoghi a quelli di una motocicletta dotata di cambio meccanico: le molle di contrasto, le rampe di scorrimento e il peso dei rulli sono gli elementi di “taratura” del sistema, cioè quelli che determinano il regime e la progressività con cui la frizione “attacca”. La puleggia motrice varia il suo diametro utile stringendosi e allargandosi (la cinghia è incomprimibile e quindi è vincolata a cambiare il proprio diametro di avvolgimento nella puleggia, mentre la puleggia condotta è costretta ad adeguare la sua apertura dalla tensione della cinghia o dalla forza di una molla di contrasto), ma, diversamente dai comuni variatori centrifughi, questa variazione è attuata per mezzo di un motore elettrico passo-passo, che a sua volta è gestito da una centralina elettronica.



La sequenza dei disegni CAD permette di apprezzare il funzionamento “a gradini” della trasmissione, che quindi assume un comportamento analogo al comune cambio meccanico. Si apprezza chiaramente la diversa posizione assunta dalla cinghia all’interno delle gole delle pulegge, il che materialmente realizza i diversi rapporti di trasmissione


Questa non solo prende in considerazione il numero di giri del motore (unico parametro a cui è vincolato il funzionamento del variatore tradizionale), ma anche l’apertura del gas, il tipo di opzione impostata (normale o sportiva) e l’eventuale utilizzo della selezione manuale (i cui input, comunque, vengono vagliati dal sistema elettronico di gestione per evitare di trovarsi in fuorigiri o sotto il minimo dopo il cambio di rapporto). Un altro aspetto tecnico importante è rappresentato dalla cinghia di trasmissione, costituita da un’ossatura snodabile di placchette in lega leggera a cui sono applicati inserti in gomma sintetica con rinforzo tessile in fibra aramidica (una fibra analoga al Kevlar della Du Pont): la Suzuki prevede una durata pari a quello dello scooter, ma ne prescrive la sostituzione in caso di contatto anche solo accidentale con olio.



Scelta inedita per la trasmissione finale: un lungo treno di ingranaggi in bagno d’olio porta il moto dal variatore alla ruota. Il carter in cui sono alloggiate le ruote dentate fa parte del forcellone oscillante


La trasmissione finale è costituita da una cartella di ingranaggi a denti dritti che costituisce anche il braccio sinistro della sospensione posteriore: una scelta difficile da spiegare, perché è sicuramente più pesante, costosa, difficile da silenziare e rigida di una banale trasmissione a catena o cinghia dentata. Ma forse il vero motivo è che di “banalità” tecniche i progettisti del Burgman 650 non ne volevano nemmeno una.





Se nello scatto alcuni scooter più leggeri, anche monocilindrici (Piaggio Beverly 500, ad esempio) possono dare al Burgman 650 del filo da torcere, non è difficile immaginare che su strade aperte il big brother di Hamamatsu abbia buon gioco a fare il vuoto alle proprie spalle. L’unico elemento che inciterebbe a non esagerare col gas, soprattutto nei curvoni veloci, è la ruota posteriore da 13” (quella anteriore è da 15): per il resto, la stabilità è davvero quella di una moto, col vantaggio di un baricentro notevolmente più basso.



Accreditato di cinquantacinque cavalli e di circa 160 orari di velocità di punta, dà in realtà idea di poter raggiungere senza troppi problemi i 170 reali (il tachimetro segna quasi 190). Il Burgman 650 non è particolarmente rapido nell’entrata in curva, e soprattutto, ci vuole qualche attimo e un po’ di fatica per riportarlo in assetto diritto. In compenso si lascia piegare abbastanza docilmente e, merito delle sospensioni morbide e delle ottime coperture, trasmette sempre una sensazione di buona aderenza.

Al passeggero è dedicata una generosa porzione di sella: peccato solo sia posto un po’ troppo in alto, e le pedane costringano le caviglie a una posizione innaturale. Menzione particolare merita la funzione “power”, un magico bottoncino che in un attimo cambia il carattere del Burgman, tenendolo sempre in regime di coppia massima: i consumi aumentano, ma la guida, soprattutto nel misto, diventa entusiasmante.

Approfondimento: Suzuki Burgman 650
Il Burgman 650 ha una sezione frontale praticamente doppia rispetto a uno scooter 50: questo, comunque, non gli impedisce di bruciare in partenza qualsiasi rivale

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