Quotazioni moto&scooter

Cerca

Seguici con

Moto & Scooter

GP One: quanti cilindri e perchè

il 25/06/2001 in Moto & Scooter

La nuova formula che restituisce competitività ai 4T nel Motomondiale apre le porte anche a formule tecniche molto diverse tra loro. Vediamo quali sono le variabili in gioco e quali le soluzioni possibili

GP One: quanti cilindri e perchè
Il motore 6V 1000 Laverda della fine degli anni '70. Uno schema elegante e raffinato, che però non appare probabile venga riutilizzato nella GP One

La nuova formula che restituisce competitività ai 4T nel Motomondiale apre le porte anche a formule tecniche molto diverse tra loro. Vediamo quali sono le variabili in gioco e quali le soluzioni possibili
di Alberto Dell'Orto




Honda, Suzuki, Yamaha, Sauber, Ducati; manca solo Aprilia (e Kawasaki in una fantasiosa ipotesi) e poi tutti i possibili attori della scena avranno detto la loro sul frazionamento vincente per la futura GP One.
Si tratta di una sfida affascinante, ancora tutta da valutare (la Suzuki, per esempio, punta a un quattro cilindri a V, ma nel 2002 continuerà con la 500 a due tempi) e densa di incognite tecniche, dove l'unica certezza è che, forse non subito ma in prospettiva di sicuro, il 2T scomparirà a causa dello stallo tecnico raggiunto e della impossibilità di trasferire sulla produzione tutta la tecnologia e l'immagine pagata a caro prezzo nei GP. Poi magari qualcuno rivoluzionerà il 2T, e riuscirà a renderlo nuovamente competitivo, ma per ora e con questi regolamenti non appare probabile. Quattro tempi al via, dicevamo, e ogni Casa ha in tasca la scelta tecnica perfetta: il bicilindrico ha il vantaggio dell?erogazione e del peso, il tre cilindri la somiglianza di cilindrata unitaria con i motori da Formula 1, il quattro cilindri una lunga tradizione, il cinque cilindri il rapporto peso/potenza...
Chi ha ragione? Scartando l?ipotesi che qualche progettista stia tentando di far spendere inutilmente una montagna di soldi (quella necessaria a sviluppo e gestione sportiva) al proprio datore di lavoro, in queste pagine tentiamo di fare il punto della situazione, delineando il filoni tecnico-filosofici che stanno prendendo forma e cercando di capire quali sono le variabili da prendere in considerazione.






Partiamo dal presupposto che, ritenendo grosso modo uguale per tutti i motori a pari sviluppo la pressione media che agisce al di sopra del pistone durante il ciclo (PME), la differenza di potenza sarà determinata dal regime di rotazione che ogni motore potrà raggiungere (a cui è strettamente legato il numero di molecole di ossigeno e idrocarburi che si potranno combinare, cioè bruciare, nell’unità di tempo). Siccome la velocità media del pistone (indice affidabile delle inerzie e delle accelerazioni che sollecitano il manovellismo) costituisce un limite di fatto fissato dal livello tecnologico attualmente raggiunto, è chiaro che il motore più potente potrà essere quello che ha la corsa più corta. Ma al di sotto di un certo rapporto corsa/alesaggio la forma della camera di combustione e le caratteristiche della fluidodinamica del sistema condotto/valvola/camera di combustione (che interagiscono strettamente tra di loro) peggiorano in modo sensibile, mentre diventa difficile studiare un pistone con il corretto rapporto peso/rigidezza. Insomma, si arriva a un limite al di là del quale un motore così com’è concepito oggi vede entrare in crisi i vari aspetti che concorrono al suo funzionamento. Dunque valutando questi aspetti (e tralasciandone altri come gli attriti, le irregolarità di rotazione, eccetera) appare intuitivo che, fissata la cilindrata, i motori che possono raggiungere potenze più alte sono quelli più frazionati. E infatti anche in Formula 1 il numero dei cilindri è uno dei limiti imposti dal regolamento...






Cerchiamo di chiarire un po’ le cose con l’aiuto dei numeri, andando direttamente ai casi estremi. Fissata la cilindrata a 990 cc, l’utilizzo di pistoni a sezione circolare (qualcuno potrebbe farli ovali...), un rapporto corsa/alesaggio pari a 0,5 (in Formula 1 si è andati anche oltre, ma per il nostro ragionamento questo valore è assolutamente sensato) e una velocità media del pistone di 25 m/s, il conto è presto fatto: un bicilindrico con misure 108 x 54 mm potrà raggiungere a potenza massima un regime di circa 13.900 giri; un tricilindrico 94,4 x 47,2 mm potrà girare a 15.900 giri; un “quattro” 85,6 x 42,8 a ben 17.500 giri, un cinque cilindri 79,6 x 39,8 addirittura a 18.900, un ipotetico sei cilindri 74,8 x 37,4 anche a 20.000 giri. Con questi regimi un motore da competizione, per il quale possiamo ipotizzare un valore di PME pari a 15 bar a potenza massima (anche perché i regimi di coppia e potenza massima tenderanno sempre più a coincidere) erogherà 234 CV se bicilindrico, 267 CV se tricilindrico, 293 CV se quadricilindrico, 318 CV se a cinque cilindri, addirittura 336 CV se a sei cilindri. Come si nota si tratta di potenze ben al di sopra di quelle attualmente erogate da un 500 a due tempi, e anche ai 220-230 CV che appaiono oggi necessari per essere competitivi; per la verità non è detto che i motori più frazionati riescano a raggiungere queste potenze teoriche (agli altissimi regimi cala un po’ la PME e aumentano gli attriti), ma il quadro è un riferimento abbastanza preciso.






E’ chiaro che il problema, a un certo punto, sarà l’efficacia di tutto il sistema “moto”. A parte il fatto che qualcuno queste moto deve anche poterle guidare, se attualmente pneumatici e sospensioni costituiscono già un limite alle prestazioni (ricordate le folgoranti pole-position della MUZ, che poi in gara perdeva tutta la sua competitività dopo pochi giri?), cosa succederà, anche ipotizzando una prima fase con motori meno “tirati”, quando le moto avranno almeno 20 kg e 20 CV in più? Certo, anche la ciclistica passerà attraverso un’evoluzione tecnologica, ma è chiaro che dal punto di vista dinamico una motocicletta è un mondo più complesso di un’auto, per cui l’equazione “motore più potente = tempi sul giro più bassi” non è applicabile alle moto con la stessa semplicità con cui la si applica alle quattro ruote. Anche solo per citare gli aspetti macroscopici, su un auto si possono applicare una serie di accorgimenti aerodinamici che aumentano l’aderenza dei pneumatici (l’”effetto suolo”), mentre una moto da competizione arriva a inclinarsi in curva di oltre 55° dalla verticale, e chi ha tentato di utilizzare appendici deportanti e cose del genere ha sempre fatto un buco nell’acqua; e poi, avete mai visto un auto che impenna a 240 all’ora per effetto dell’accelerazione? Con certe potenze mettersi la moto per cappello sarebbe assai più di una probabilità. Per non parlare delle piste: probabilmente solo a Monza, Assen e poche altre la maggiore potenza avrebbe terrreno per fare la differenza.






La scelta della motorizzazione passa attraverso considerazioni su peso, potenza, ingombri, erogazione. Non bisogna neppure dimenticare i consumi, perché se il numero massimo dei litri di carburante è uguale per tutti, è chiaro che i motori più potenti sono anche quelli più assetati, e poter risparmiare qualche kg di benzina nei primi giri non dispiace a nessuno... Comunque la limitazione a 24 litri non appare un grande ostacolo: facendo il conto dei consumi specifici, delle potenze attualmente in gioco e della durata delle gare il quadro è chiaro. Che poi ogni progettista dichiari che le simulazioni al computer diano ragione a lui, può essere valutato tenendo in conto due aspetti fondamentali: primo, che il computer elabora dati inseriti dagli uomini, secondo, che gli uomini elaborano i dati scaturiti dal computer secondo le proprie inclinazioni. Se esistesse la soluzione perfetta è evidente che tutti vi convergerebbero (nella 500 chi ha provato a far qualcosa di diverso da un quattro cilindri a V non ha cavato un ragno dal buco, per esempio), invece la disparità di conclusioni a cui assistiamo per i “quasi mille” della GP One è dovuta anche al fatto che ogni tecnico dedica più attenzione a un particolare aspetto della questione, in base al modo in cui è abituato a ragionare e al bagaglio di esperienza che porta con sé.






Realizzare un bicilindrico competitivo appare oggettivamente impegnativo: pistoni così grandi con corse così corte creano problemi di posizionamento non semplicissimi da risolvere, a meno di immaginare un motore con V molto aperta o addirittura boxer, ma a quel punto forse gli ingombri generali sarebbero poco consoni all’ottenimento delle necessarie caratteristiche della ciclistica (interasse, baricentro) e della fluidodinamica (condotti di aspirazione rettilinei), senza contare che il successivo sviluppo sarebbe davvero faticoso a causa delle limitazioni imposte dal frazionamento.
Un tre cilindri appare una scelta decisamente razionale, almeno nella fase iniziale: la cilindrata unitaria è così simile a quella delle monoposto da Formula 1 (330 e 300 cc rispettivamente), che attingere alla massima tecnologia oggi disponibile per i motori a quattro tempi appare senz’altro fattibile, e probabilmente nemmeno a costi stratosferici. Tra l’altro, almeno all’inizio, non sarà probabilmente necessario superare i 15.000 giri, oltre i quali l’utilizzo di molle valvola pneumatiche apparirebbe indispensabile.






Il quattro cilindri in linea ha un suo senso soprattutto perché già molto ben studiato da decenni sulle macchine di serie. E se già oggi si raggiungono da un 1000 di serie 160 CV con tanto di silenziatori di aspirazione e scarico, trattabilità da uso stradale e garanzia di due/tre anni chilometraggio illimitato, è chiaro che ottenere su un motore da competizione il 30% in più di potenza non appare di principio un’impresa difficile. Discorso leggermente diverso per un V4, che propone vantaggi in termini di ingombri trasversali (e quindi di angoli di piega), ma aumenta giocoforza quelli longitudinali e pone qualche vincolo in più per l’andamento dello scarico e per il posizionamento di air-box e monoammortizzatore.
Il cinque cilindri, probabilmente improponibile nello schema in linea per motivi di ingombro, è secondo i calcoli preliminari quello che può offrire il miglior rapporto peso/potenza, perché il regolamento consente un peso minimo pari ai quatto cilindri. Mentre il maggior frazionamento permette, come abbiamo visto, regimi stratosferici e quindi potenze elevatissime.
Il sei cilindri è un frazionamento a cui nessun costruttore ha ancora fatto riferimento, e non è difficile capire perchè: anche se gli ingombri di un motore a V sono paragonabili a quello di un cinque cilindri, il peso minimo sarebbe superiore per regolamento, e la differenza di potenza erogabile si scontrerebbe con i limiti delle ciclistiche di fatto annullando il vantaggio di prestazioni.
GP One: quanti cilindri e perchè
Chiudi

Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.

ADV