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Airbag da moto: le tre domande chiave

Marco Gentili
di Marco Gentili il 29/07/2020 in Attualità
Airbag da moto: le tre domande chiave
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Su questi dispositivi c’è molto interesse ma poca chiarezza. Ecco tutto quello che avreste voluto sapere (e nessuno ha mai raccontato)

Anche se manca circa un anno (che, per i tempi della burocrazia, è un tempo brevissimo), l’aggiornamento della normativa EN 1621/4 sugli airbag meccanici è praticamente pronto. Questo perché, ogni cinque anni, gli standard di certificazione europea devono essere sottoposti a revisione. Soprattutto alla luce del tumultuoso mercato degli airbag (la “next big thing” sul fronte della sicurezza dei motociclisti), letteralmente sconvolto dall’arrivo dei dispositivi ad attivazione elettronica.

Mai come in questo caso, però, è necessario procedere con ordine. Anche perché qui non si tratta di vendere un accessorio in più o in meno. Gli airbag sono dispositivi di protezione individuale di categoria II, devono essere certificati da un ente terzo (e non dal produttore). E soprattutto devono proteggere dalle lesioni più gravi, quelle alla schiena e al torace. Il vero problema è che capire se un dispositivo che andiamo ad acquistare è davvero protettivo oppure no, è cosa assai difficile. Richiede competenze tecniche, la conoscenza dei regolamenti europei, sapersi districare nei meandri delle certificazioni. Insomma, non bisogna fidarsi del primo che passa o di un addetto alla vendita di un negozio particolarmente abile nel piazzare la merce.

Una guida per fare chiarezza, in tre semplici domande, è a questo punto fondamentale. Per sgombrare il campo dal fumo negli occhi del marketing, per semplificare la vita di chi vuole dotarsi di un prodotto che lo protegga veramente. Per rendere giustizia a un settore, come quello della produzione di airbag, che ha tra le aziende italiane alcune delle eccellenze assolute a livello mondiale.

 

Airbag da moto: le tre domande chiave

1. COME CAMBIA LA NORMATIVA PER GLI AIRBAG MECCANICI?

La EN1621/4, che disciplina la certificazione degli airbag ad attivazione meccanica, prevede che il tempo di attivazione (o gonfiaggio) dell’airbag sia verificato con una hi-speed camera (una videocamera che scatta a 1000 frame/ secondo). Quando l’airbag non si muove più, significa che è gonfio. Verrà sostituito da un metodo strumentale e più preciso, nel quale verranno messi dei sensori di pressione nell’airbag, attraverso cui si verificherà il grafico del gonfiaggio.

Questa opzione è stata scelta perché la pressione protettiva di un airbag può essere raggiunta anche molto prima della fine del gonfiaggio. Inoltre, nella revisione della normativa, verrà affrontata la questione dei cosiddetti airbag universali, cioè quelli che vengono venduti come “utilizzabili sotto a ogni tipo di giacca”. Dire questo, senza aver effettuato i dovuti test, significa infatti ingannare il consumatore.

La giacca dovrà essere testata assieme all’airbag per la quale è stata dichiarata compatibile per verificare che le performance dell’airbag non siano limitate dalla presenza della giacca e soprattutto che siano garantiti gli spazi vitali al di sotto della giacca. Non tutte le giacche Lo possono garantire, a meno che non venga verificato in laboratorio. Non cambieranno invece le soglie minime di attivazione: l’airbag dovrà avere un tempo di riconoscimento dell’incidente, sommato al tempo di attivazione, non superiore ai 200 millisecondi. Né cambieranno le soglie di forza massima trasmessa alla schiena, che per il livello 1 non dovrà essere superiore a 4,5 kiloNewton, e 2,5 per il livello 2 (in questo caso minore è la forza trasmessa, meglio è per la schiena; ndr). Per fare un raffronto, un paraschiena rigido di livello 2 non deve superare i 9 kN.

Ma è vero che un airbag che si gonfia prima è meglio di uno che impiega più tempo? La risposta è no, se entro certi limiti. La norma infatti non prevede un litraggio minimo. Pertanto un produttore può dichiarare un tempo di attivazione di pochissimi millisecondi, che però nasconde un trucco. Ovvero che impiega molto meno tempo di altri concorrenti, gonfiando però un sacco più piccolo o proteggendo una zona limitata. E, fino a quando la volumetria non sarà un’opinione, è meglio avere un sacco (e quindi, un volume di aria pressurizzata) più grande, che uno più piccolo.

La stessa misurazione del volume viene spesso calcolata a tavolino, ma è misurando il sacco airbag inserito nella suo alloggiamento tessile che è possibile darne il volume reale (ad esempio, pressurizzandolo con una certa quantità di gas o riempiendolo d’acqua). Ma a oggi nella normativa non è necessario dichiararlo, per cui siamo nella terra di nessuno in cui ognuno può dire ciò che vuole, senza che nessuno lo contesti. “In fase di revisione sarebbe opportuno inserire questo elemento - dice Fabio Colombo, da 20 anni uno degli “expert” del WG9, gruppo di lavoro comunitario focalizzato anche sulla standardizzazione europea degli airbag - nell’ottica di una maggiore trasparenza nei confronti dell’utente finale”.

 

Airbag da moto: le tre domande chiave
Generatori di gas all'interno degli airbag (foto Marcello Mannoni)

2. COSA SUCCEDE CON GLI AIRBAG ELETTRONICI?

Se per l’airbag ad attivazione meccanica molti paletti sono già stati piantati dalla EN1621/4, sul fronte dell’elettronico siano di fronte a una landa desolata. Nella quale i pirati e i predatori possono dichiarare ciò che vogliono, sfruttando una delle leve più usate dal marketing, ovvero quella secondo cui “una cosa elettronica è meglio di una meccanica”. Ma comparare i due dispositivi è sia inutile, sia molto difficile. Non è un caso che, mentre una procedura di certificazione validata esiste per gli airbag meccanici, al momento è del tutto a discrezione per quelli elettronici. Ma ben presto la EN1621/5 arriverà. E il concetto di “ben presto”, per i tempi dei gruppi di lavoro comunitari, significa non prima di tre anni. Anche perché vi sono da mettere in chiaro alcune cose.

La complicazione principale arriva dall’algoritmo matematico (ossia il complesso software che decide se e quando attivare l’airbag) che non è certificabile in laboratorio. L’algoritmo è un elemento vivo, in continuo sviluppo, che per bisogno di funzionare e migliorarsi ha bisogno di dati, elementi, ricorrenze. Un ente di certificazione non ha gli strumenti né le competenze per dire se una stringa di codice sia corretta oppure no. Semmai, è possibile capire in fase di certificazione se un airbag elettronico funziona, e in quali circostanze si attiva, stabilendo dei parametri ben precisi e validi per tutti. Al giorno d’oggi gli airbag elettronici, per quanto evoluti, hanno software che riconoscono ed attivano l’airbag solo gli incidenti che avvengono a certe velocità o secondo precisi angoli di impatto, mentre ignorano alcuni casi. Ogni produttore è libero di sviluppare al meglio il proprio algoritmo, ma sarebbe corretto che venissero dichiarati all’utente in maniera chiara i tipi di incidente riconosciuti.

 

MANCA UNA PROCEDURA DI CERTIFICAZIONE PER GLI AIRBAG ELETTRONICI. IN ATTESA CHE VENGA APPROVATA, OGNUNO SI MUOVE COME CREDE. E QUALCUNO NE APPROFITTA

I produttori con una credibilità (in particolare gli italiani Alpinestars e Dainese, che da anni portano avanti raffinate ricerche su algoritmi proprietari) lo dichiarano chiaramente nei libretti di istruzione.

Ma per alcuni soggetti che si comportano seriamente, c’è una giungla di costruttori che non è così scrupolosa: “Ci sono casi di produttori di dispositivi ad attivazione elettronica che posizionano importanti indicatori di anomalia del sistema airbag sulla schiena, o in altri luoghi difficilmente visibili, per cui l’utente continua a viaggiare senza sapere che l’airbag è in default - dice Colombo - purtroppo siamo nella fase del vale tutto, e a essere danneggiati sono i consumatori quando i dispositivi airbag sono progettati male. Mai come oggi una normativa dedicata agli airbag elettronici è urgente, soprattutto per allontanare i produttori di basso livello dal mercato”. Anche perché il concetto di “elettronico” aggiunge complessità a una materia piena di variabili come l’incidente su una moto. L’elettronica introduce fattori terzi e non controllabili dall’utente che possono pregiudicare il funzionamento del dispositivo, come un segnale Gps scadente che non attivi i sensori, o una batteria non sufficientemente carica.

Nello stesso gruppo di lavoro europeo non mancano pressioni contrastanti. Da un lato c’è chi spinge affinché la futura normativa sugli airbag elettronici sia più restrittiva sui tempi di attivazione, quasi a voler dimostrare implicitamente che l’elettronico ha qualcosa di più rispetto al meccanico. Dall’altro altri produttori che non controllano direttamente la tecnologia installata sui propri dispositivi (magari perché la acquistano all’esterno) invece vorrebbero una normativa al ribasso e che non introduca ulteriori punti di complessità. Ma ancora, e qui si torna a un punto focale, se non vi è certezza del reale volume dell’airbag che si è appena gonfiato, siamo di nuovo nel campo delle strategie di marketing. E in questo settore rischia non vincere la sicurezza, ma solo chi ha più soldi da spendere in comunicazione. Nell’indecisione, come conferma Colombo, il criterio per scegliere un airbag sicuro è sempre e solo uno: “Prenderne uno almeno certificato EN 1621/4”.

 

Airbag da moto: le tre domande chiave
L'airbag ad attivazione elettronica Alpinestars TechAir 5

3. PERCHE' IN COMMERCIO ESISTONO ANCHE DISPOSITIVI NON CERTIFICATI?

A oggi, gli unici due produttori ad avere airbag meccanici certificati secondo la normativa vigente sono due: gli italiani Motoairbag (di livello 2, che produce sia con marchio proprio, sia per altri brand) e Spidi (che è di livello 1 con un airbag associato a un protettore rigido). Per quanto riguarda invece i dispositivi ad azione elettronica, in assenza di una normativa dedicata, ognuno si arrangia come può. E, anche in questo caso, c’è una differenza sostanziale tra i vari produttori. Da un lato ci sono soggetti come Dainese e Alpinestars, che si rivolgono agli enti certificatori e utilizzano gli standard esistenti, cercando per quanto possibile di appoggiarsi alla 1621/4 e inserendo in allegato alla certificazione un protocollo specifico legato al proprio algoritmo.

Tanti altri, invece, approfittano dell’incertezza normativa. Emblematico il caso di alcune aziende francesi (In&Motion, Helite, Bering su tutte), che hanno avuto un’idea che sa tanto di protezionismo: hanno sfruttato una opposizione formale della sola Francia nei confronti della attuale normativa 1621/4 e si sono compilati un Protocollo di test valido solo in Francia, i cui criteri sono così laschi e poco stringenti che è stato definito come “irresponsabile” dalla Comunità europea. E alla fine l’opposizione formale è stata anche ufficialmente respinta.

 

PERCHé C'è CHI COMMERCIA ANCORA PRODOTTI COL SOLO MARCHIO CE? IL PROBLEMA è CHE LA EN1621-4 NON è UNA NORMA ARMONIZZATA

Sta di fatto che in questi anni i produttori transalpini hanno potuto vendere indisturbati sui mercati europei i loro prodotti, senza alcuna certificazione specifica se non il semplice “CE” che non ha nulla a che vedere con la EN1621-4. Una pacchia che avrebbe giù dovuto finire ad aprile 2019: in virtù di un regolamento europeo del 2017, al costruttore è vietato dichiarare “protettivo” un capo che non lo è ai sensi della norma di riferimento (nel nostro caso, la EN1621-4): per i trasgressori sono previste ammende pesantissime, fino all’arresto.E saranno previste sanzioni anche per chi in futuro commercializza prodotti non conformi.

Dove sta l’inghippo? Il problema è squisitamente burocratico: la EN1621-4 non è ancora una normativa armonizzata, ossia recapita unanimemente dai vari Stati membri della Comunità europea. Fatto che permette a qualcuno di procedere in ordine sparso. A danno dei molti produttori che investono in tecnologia e sviluppo: “Sono 25 anni che sviluppiamo airbag elettronici e siamo stanchi della giungla di false informazioni messe in giro ad arte da tanti sedicenti costruttori - dice Massimiliano Mirabella di Dainese - attendiamo una norma che valorizzi brevetti e tecnologie, e ne certifichi l’efficacia”. Non dimentichiamo che qui non c’è in ballo solo la commercializzazione di prodotti, ma soprattutto la protezione della salute di ciascuno di noi.

 

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