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Cagiva e il DESIGN che dura nel tempo

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 11/02/2020 in Attualità
Cagiva e il DESIGN che dura nel tempo

A sorpresa, l’ultima edizione di Eicma ha proposto molte moto che richiamano modelli Cagiva degli Anni ‘80 e ’90. A noi le somiglianze sembrano evidenti… voi che ne dite?

Qualche nostalgico ricorda l’epoca gloriosa in cui le Case italiane, allora in grave ritardo sulle giapponesi, lottavano per arrampicarsi sul tetto del mondo. Ora ci sono arrivate, raggiungendo la parità tecnologica, di gamma e di prestigio: ma quegli anni erano per molti versi più esaltanti. Anni in cui si sentiva che si stava facendo la storia, nei quali Aprilia, Cagiva, Gilera e persino le filiali italiane di Honda e Yamaha diedero vita a una lotta serrata nel campo delle 125, che si spostò poi verso cilindrate via via maggiori.

Una escalation e una competizione furibonde, che come sempre avviene stimolarono ognuno a dare il meglio di sé. E molti modelli italiani di quegli anni, anche se magari hanno venduto meno dei loro omologhi giapponesi, sono diventati piccole o grandi pietre miliari a cui ancora oggi ci si ispira. Come nel caso di alcuni modelli Cagiva nati a Varese tra gli anni 80 e anni 90, dei quali all'ultimo Eicma abbiamo visto riprendere le linee: magari involontariamente, ma proprio perché quelle forme sono rimaste negli occhi e nella memoria di tutti.

<div class='descrGalleryTitle'>1.	Cagiva Elefant 900 i.e. – Ducati Scrambler Desert X</div><div class='descrGalleryText'><p>Ok, questa è facile. Perché la<b> Elefant</b> per la <b>Dakar</b> degli anni ’80 nasceva con il “pompone” bolognese di allora, visto che a Varese di motori adatti non ce n’erano. <b>Fu un azzardo</b>, dato che per quanto non particolarmente spinto, era un motore che nasceva per l’uso stradale; ma un azzardo vincente, grazie alla felice incoscienza dei Castiglioni, al valore dei tecnici italiani che lo misero a punto e <b>alla manetta di Edi Orioli</b>, che vinse contro le moto giapponesi e i piloti francesi quando sembrava impossibile. Poi <b>Ducati</b> e <b>Cagiva</b> hanno preso strade diverse, ma a Bologna si sentono un po' eredi di quella moto, e <b>l’omaggio dichiarato</b> che le hanno fatto a Eicma ha fatto sobbalzare molti cuori - a ragione. Il motore è proprio l’erede di quello di Orioli, lievitato a 1100 cc, addomesticato nell’erogazione e arricchito di un po’ di elettronica. La base tecnica è quella della <b>Scrambler 1100</b>, con un classico telaio in tubi e le sospensioni “alte” della <b>Desert Sled</b>. Ma <b>la magia la fa la linea</b> che riprende, nelle proporzioni, nei colori e nel doppio faro, quella della “Lucky Explorer” di allora. Scopri tutti i dettagli della <a href="https://www.dueruote.it/news/moto-scooter/2019/11/05/scrambler-ducati-desert-x-concept.html">Scrambler Desert X</a>!</p>
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1. Cagiva Elefant 900 i.e. – Ducati Scrambler Desert X

Ok, questa è facile. Perché la Elefant per la Dakar degli anni ’80 nasceva con il “pompone” bolognese di allora, visto che a Varese di motori adatti non ce n’erano. Fu un azzardo, dato che per quanto non particolarmente spinto, era un motore che nasceva per l’uso stradale; ma un azzardo vincente, grazie alla felice incoscienza dei Castiglioni, al valore dei tecnici italiani che lo misero a punto e alla manetta di Edi Orioli, che vinse contro le moto giapponesi e i piloti francesi quando sembrava impossibile. Poi Ducati e Cagiva hanno preso strade diverse, ma a Bologna si sentono un po' eredi di quella moto, e l’omaggio dichiarato che le hanno fatto a Eicma ha fatto sobbalzare molti cuori - a ragione. Il motore è proprio l’erede di quello di Orioli, lievitato a 1100 cc, addomesticato nell’erogazione e arricchito di un po’ di elettronica. La base tecnica è quella della Scrambler 1100, con un classico telaio in tubi e le sospensioni “alte” della Desert Sled. Ma la magia la fa la linea che riprende, nelle proporzioni, nei colori e nel doppio faro, quella della “Lucky Explorer” di allora. Scopri tutti i dettagli della Scrambler Desert X!

<div class='descrGalleryTitle'>2.	Cagiva Elefant 750 – Husqvarna NORDEN 901</div><div class='descrGalleryText'><p>Un po’ meno prevedibile era che la NORDEN 901, prima stradale di grossa cilindrata presentata da&nbsp;<b>Husqvarna </b>da quando ha spostato le tende a Mattighofen, richiamasse così tanto la Elefant bicilindrica. Se prendiamo le colorazioni blu notte dell’endurona di Varese, <b>la somiglianza è in effetti impressionante</b>, nonostante siano passati quasi trent’anni. Ovvio, le differenze in termini di dotazioni e tecnologia sono abissali: la austro-svedese è basata sulla piattaforma&nbsp;<b>KTM 790 Adventure R</b>&nbsp;con ruota anteriore da 21”, sospensioni WP e telaio a traliccio con, in funzione portante, <b>il motore più recente sviluppato in Austria</b>: il twin parallelo con Ride By Wire gonfiato nella cilindrata fino a 889 cm3. A completare il tutto, un pacchetto elettronico allo stato dell’arte. Ci ha però sorpreso che un gruppo “design-oriented” come quello austriaco proponesse una moto <b>con proporzioni così simili a quelle della vecchia Elefant</b>, specie nella vista laterale. Che i tanti anni passati sul lago di Varese abbiano lasciato traccia nel&nbsp;DNA di Husqvarna? Scopri come è fatta la nuova&nbsp;<a href="https://www.dueruote.it/news/moto-scooter/2019/11/06/husqvarna-norden-901-concept.html">NORDEN 901</a>!<br>
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2. Cagiva Elefant 750 – Husqvarna NORDEN 901

Un po’ meno prevedibile era che la NORDEN 901, prima stradale di grossa cilindrata presentata da Husqvarna da quando ha spostato le tende a Mattighofen, richiamasse così tanto la Elefant bicilindrica. Se prendiamo le colorazioni blu notte dell’endurona di Varese, la somiglianza è in effetti impressionante, nonostante siano passati quasi trent’anni. Ovvio, le differenze in termini di dotazioni e tecnologia sono abissali: la austro-svedese è basata sulla piattaforma KTM 790 Adventure R con ruota anteriore da 21”, sospensioni WP e telaio a traliccio con, in funzione portante, il motore più recente sviluppato in Austria: il twin parallelo con Ride By Wire gonfiato nella cilindrata fino a 889 cm3. A completare il tutto, un pacchetto elettronico allo stato dell’arte. Ci ha però sorpreso che un gruppo “design-oriented” come quello austriaco proponesse una moto con proporzioni così simili a quelle della vecchia Elefant, specie nella vista laterale. Che i tanti anni passati sul lago di Varese abbiano lasciato traccia nel DNA di Husqvarna? Scopri come è fatta la nuova NORDEN 901!

<div class='descrGalleryTitle'>3.	Cagiva Elefant2 125 – Husqvarna 701 ENDURO LR </div><div class='descrGalleryText'><p>La cosa sembrerebbe confermata da un’altra sorpresa dell’ultimo Eicma, la versione “Long Range” della <a href="https://www.dueruote.it/foto/moto-scooter/2019/11/06/husqvarna-701-enduro-lr.html"><b>701 ENDURO</b></a>. La moto nasce con il serbatoio <b>integrato nel telaietto reggisella </b>in composito, soluzione tipicamente Husqvarna,&nbsp; cui questa variante aggiunge un secondo serbatoio in posizione tradizionale. E proprio la soluzione scelta per la linea del serbatoio pare inequivocabilmente… <b>Cagiva</b>, con le due “appendici” del serbatoio piramidale che scendono verso il basso come sulla <b>Elefant2 125</b> che molti ex sedicenni ricorderanno bene. Poi certo, anche in questo caso i 35 anni di distanza si vedono tutti anche solo a livello di design, <b>nei raccordi perfettamente filanti </b>tra sella e serbatoio o tra mascherina e parafango anteriore, per non parlare dei fianchetti (sempre influenzati dalla presenza del telaietto autoportante). Ma, come dire: <b>il “sapore” di quella moto </b>rimane.</p>
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3. Cagiva Elefant2 125 – Husqvarna 701 ENDURO LR

La cosa sembrerebbe confermata da un’altra sorpresa dell’ultimo Eicma, la versione “Long Range” della 701 ENDURO. La moto nasce con il serbatoio integrato nel telaietto reggisella in composito, soluzione tipicamente Husqvarna,  cui questa variante aggiunge un secondo serbatoio in posizione tradizionale. E proprio la soluzione scelta per la linea del serbatoio pare inequivocabilmente… Cagiva, con le due “appendici” del serbatoio piramidale che scendono verso il basso come sulla Elefant2 125 che molti ex sedicenni ricorderanno bene. Poi certo, anche in questo caso i 35 anni di distanza si vedono tutti anche solo a livello di design, nei raccordi perfettamente filanti tra sella e serbatoio o tra mascherina e parafango anteriore, per non parlare dei fianchetti (sempre influenzati dalla presenza del telaietto autoportante). Ma, come dire: il “sapore” di quella moto rimane.

<div class='descrGalleryTitle'> 4.	Cagiva V-Raptor 1000 – Kawasaki Z H2</div><div class='descrGalleryText'><p>Gli estimatori delle <b>Cagiva</b> che furono non si trovano però solo in Europa: persino il Giappone si fa vivo, con la<b> <a href="https://www.dueruote.it/news/moto-scooter/2019/10/23/kawasaki-z-h2-2020.html">Kawasaki Z H2</a></b>. Una moto che <b>sperimenta nuove soluzioni</b>&nbsp;estetiche per una naked di alte prestazioni, con una struttura che carena parzialmente il faro protendendosi all’indietro verso il serbatoio… <b>come sulla Cagiva V-Raptor</b>, audace moto di rottura con la quale Miguel Galluzzi, dopo che Cagiva aveva ceduto il marchio bolognese, cercò di sviluppare <b>un linguaggio stilistico diverso </b>da quello che aveva portato al successo la&nbsp;Ducati Monster. A parte le differenze nella struttura del motore, che sulla Kawasaki è un 4 in linea con compressore, anche qui <b>le analogie stilistiche sono moltissime </b>e&nbsp;la differenza più grande è nel codino: Buell non aveva ancora imposto lo stile agile e minimalista che oggi va per la maggiore. La V-Raptor aveva in sé un po’ di <b>Giappone</b>, dato che il suo bicilindrico a V era di origine Suzuki (quello che, riveduto e corretto, equipaggia oggi la<b> <a href="https://www.dueruote.it/prove/anteprime/2020/01/29/suzuki-v-strom-1050-2020.html">V-Strom 1050</a></b>): che in Kawasaki abbiano deciso di mettere un po’ di Italia nella <a href="https://www.dueruote.it/news/moto-scooter/2019/10/23/kawasaki-z-h2-2020.html">Z H2</a> per pareggiare i conti?</p>
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4. Cagiva V-Raptor 1000 – Kawasaki Z H2

Gli estimatori delle Cagiva che furono non si trovano però solo in Europa: persino il Giappone si fa vivo, con la Kawasaki Z H2. Una moto che sperimenta nuove soluzioni estetiche per una naked di alte prestazioni, con una struttura che carena parzialmente il faro protendendosi all’indietro verso il serbatoio… come sulla Cagiva V-Raptor, audace moto di rottura con la quale Miguel Galluzzi, dopo che Cagiva aveva ceduto il marchio bolognese, cercò di sviluppare un linguaggio stilistico diverso da quello che aveva portato al successo la Ducati Monster. A parte le differenze nella struttura del motore, che sulla Kawasaki è un 4 in linea con compressore, anche qui le analogie stilistiche sono moltissime e la differenza più grande è nel codino: Buell non aveva ancora imposto lo stile agile e minimalista che oggi va per la maggiore. La V-Raptor aveva in sé un po’ di Giappone, dato che il suo bicilindrico a V era di origine Suzuki (quello che, riveduto e corretto, equipaggia oggi la V-Strom 1050): che in Kawasaki abbiano deciso di mettere un po’ di Italia nella Z H2 per pareggiare i conti?

e se vi è venuta un po' di nostalgia... ecco in rassegna le Cagiva Elefant che negli Anni 80 e 90 ci hanno fatto sognare!

<div class='descrGalleryTitle'>Cagiva Elefant</div><div class='descrGalleryText'><p>Il progetto&nbsp;Cagiva Elefant&nbsp;nasce dalla passione e dalla competenza di&nbsp;<b>Roberto Azzalin&nbsp;</b>e dalla voglia di&nbsp;Cagiva, allora proprietaria di&nbsp;Ducati, di partecipare <b>ai grandi raid africani</b> che, all’inizio degli&nbsp;Anni 80, stavano vivendo il loro periodo più florido e vedevano impegnate, in forma ufficiale, tutte le più grandi Case motociclistiche.</p>
<p>Quello di&nbsp;Cagiva&nbsp;fu un inizio con il botto. Era il&nbsp;1985 e Auriol&nbsp;(che l’anno precedente correva con BMW e fu ingaggiato <b>in modo decisamente rocambolesco</b>, promettendogli una moto che ancora non esisteva…), fu fermato a pochi chilometri dal traguardo da un guasto meccanico: bucò un pistone ma riuscì comunque a concludere il rally in ottava posizione.</p>
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Cagiva Elefant

Il progetto Cagiva Elefant nasce dalla passione e dalla competenza di Roberto Azzalin e dalla voglia di Cagiva, allora proprietaria di Ducati, di partecipare ai grandi raid africani che, all’inizio degli Anni 80, stavano vivendo il loro periodo più florido e vedevano impegnate, in forma ufficiale, tutte le più grandi Case motociclistiche.

Quello di Cagiva fu un inizio con il botto. Era il 1985 e Auriol (che l’anno precedente correva con BMW e fu ingaggiato in modo decisamente rocambolesco, promettendogli una moto che ancora non esisteva…), fu fermato a pochi chilometri dal traguardo da un guasto meccanico: bucò un pistone ma riuscì comunque a concludere il rally in ottava posizione.

<div class='descrGalleryText'><p>La&nbsp;Cagiva Elefant di serie fu prodotta in svariate cilindrate, <b>anche 125 e 200 cc;</b>&nbsp;ma quelle che ricordiamo con più affetto furono le “350” e “650” del 1985 (caratterizzate da una componentistica molto ricercata) e, soprattutto, le “750” e “900” dei primi anni novanta.<br>
Le “900” erano <b>equipaggiate con i&nbsp;bicilindrici Ducati&nbsp;</b>raffreddati ad aria da 904 cc e montavano l’iniezione elettronica Weber-Marelli simile a quella impiegata sulle supersportive Ducati della serie “851”. La “750” montava invece dei carburatori Mikuni da 38 mm, utilizzati anche sulla versione AC della 900, presentata nel 1993. Fra le versioni più interessanti ricordiamo <b>la&nbsp;900 Lucky Explorer del 1993</b>, realizzata in solo 1.000 esemplari numerati e firmati da Edi Orioli; la 900 GT, canto del cigno del modello prima della messa in produzione della&nbsp;Gran Canyon; e <b>la&nbsp;Marathon&nbsp;del 1994</b>: una serie speciale in tiratura limitatissima dedicata ai piloti privati. Era caratterizzata da una livrea bianca, componentistica da gara e dal motore “944”, alimentato da carburatori Keihin FCR.</p>
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La Cagiva Elefant di serie fu prodotta in svariate cilindrate, anche 125 e 200 cc; ma quelle che ricordiamo con più affetto furono le “350” e “650” del 1985 (caratterizzate da una componentistica molto ricercata) e, soprattutto, le “750” e “900” dei primi anni novanta.
Le “900” erano equipaggiate con i bicilindrici Ducati raffreddati ad aria da 904 cc e montavano l’iniezione elettronica Weber-Marelli simile a quella impiegata sulle supersportive Ducati della serie “851”. La “750” montava invece dei carburatori Mikuni da 38 mm, utilizzati anche sulla versione AC della 900, presentata nel 1993. Fra le versioni più interessanti ricordiamo la 900 Lucky Explorer del 1993, realizzata in solo 1.000 esemplari numerati e firmati da Edi Orioli; la 900 GT, canto del cigno del modello prima della messa in produzione della Gran Canyon; e la Marathon del 1994: una serie speciale in tiratura limitatissima dedicata ai piloti privati. Era caratterizzata da una livrea bianca, componentistica da gara e dal motore “944”, alimentato da carburatori Keihin FCR.

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Se la Elefant è stata un'icona della produzione Cagiva, la Raptor rappresenta un modo diverso di concepire la naked secondo la Casa di Schiranna... Qui sotto ecco i modelli più rappresentativi compresa l'esclusiva XTra Raptor

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  • ANDRI-973
    Sarò di parte, ma a me ancora oggi piacciono più le Cagiva delle "repliche" e delle varie scopiazzature... La passione e l'anima che ci hanno saputo mettere a Schiranna gli altri se le sognano!!
  • nicolamn
    senza nulla togliere alle elefant bi-faro che comunque riprendevano concetti già visti sulle honda africa twin e yamaha supertenere, la vera vetta del design Cagiva fu la grand canyon 900. Come pure la più piccola 600, protagonista nel secondo capitolo della saga di Jurassik Park. Le raptor invece avevano secondo me delle personalizzazioni estetiche troppo fini a se stesse.

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