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Prove della redazione

Test a Testa Honda NT1100 DCT ES VS Yamaha Tracer 9 GT AMT: chi è meglio per viaggiare? (VIDEO)

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 01/09/2025 in Prove della redazione
Test a Testa Honda NT1100 DCT ES VS Yamaha Tracer 9 GT AMT: chi è meglio per viaggiare? (VIDEO)
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Importanti novità per due delle viaggiatrici più amate: la Honda NT1100 diventa più bella da guidare con le sospensioni semiattive, mentre la Yamaha Tracer 9 diventa più comoda grazie a una nuova sella e al cambio automatico Y-AMT. Le strade sembrano convergere, ma quale dei due pacchetti alla fine è migliore?

Succede a volte che ci si incontri arrivando da strade diverse. E così la Honda NT1100, che deriva dalla Adventure Africa Twin, e la Yamaha Tracer 9 GT, che deriva dalla naked MT-09, si incontrano definitivamente quest’anno a parità di dotazioni e, se vogliamo, anche di aspetto. Perché dopo anni in cui la Honda aveva la palma del look più anticonvenzionale del segmento, oggi Yamaha la raggiunge introducendo i fari matrix led che da un lato sono un’esclusiva nel mercato, ma dall’altro regalano alla Tracer9 un colpo d’occhio “alieno”.

Dicevamo del confronto tecnico: la NT1100 ha portato per prima la bandiera del cambio automatico, col sistema a doppia frizione DCT, mentre Yamaha introduceva già nella scorsa generazione della Tracer 9 le sospensioni semiattive. Per il 2025, Honda guadagna le sospensioni semiattive e Yamaha il cambio automatico, e i conti sono pari.

Resta, come ai tempi d’oro delle Case giapponesi, che la stessa filosofia è declinata in modi diversi praticamente in tutto: Honda ha un motore bicilindrico tutto bassi e medi con la distribuzione monoalbero Unicam, il telaio in acciaio, le sospensioni Showa, i freni Nissin; Yamaha ha un tricilindrico bialbero entusiasta nel salire di giri, il telaio in alluminio, le sospensioni KYB, i freni semi-monoblocco Sumitomo; e potremmo andare avanti a lungo.

L’obiettivo per entrambe offrire il miglior equilibrio possibile tra gusto di guida e comfort, il che spiega il perché di questa convergenza anche se la NT1100 resta più comoda e la Tracer 9 più bella da guidare. Ma rispetto alla generazione precedente, la Honda è diventata più bella da guidare e la Yamaha più comoda… confusi? Venite con noi per questo nuovo Test a Testa!

Test a Testa Honda NT1100 DCT ES VS Yamaha Tracer 9 GT AMT: chi è meglio per viaggiare? (VIDEO)

Come sono fatte: Honda NT1100 DCT ES

Come abbiamo detto, la provenienza di queste due moto ne spiega l’indole. La NT deriva dalla piattaforma Africa Twin con una operazione che avevamo definito – scherzando, ma solo fino a un certo punto – di “motardizzazione”: ruote da 17”, sospensioni con minor escursione, quote ciclistiche più svelte con un cannotto meno inclinato.

A questa ricetta, finora un po’ penalizzata dalla estrema morbidezza dei comparti motore e sospensioni, la NT1100 DCT ES aggiunge per il 2025 quel po’ di pepe necessario per renderla più divertente: un motore un po’ più brioso, grazie anche ai continui aggiornamenti nelle logiche del cambio DCT, e sospensioni semiattive che assicurano finalmente anche sostegno nella guida impegnata.

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Honda NT1100 DCT ES

da 16.890 euro f.c. 

Aggiornato per il 2025 a Euro5+, con più coppia ai medi e un rapporto di compressione più alto, oltre a un imbiellaggio irrobustito, il bicilindrico parallelo fasato a 270° di Honda eroga 102 CV a 7.500 giri con 112 Nm a 5.500 giri ed è ormai un protagonista del mercato da molti anni, anche se soprattutto grazie all’Africa Twin, Adventure che molti usano da tourer. Per chi di lasciare l’asfalto non ne vuole proprio sapere, Honda propone questa sorta di variante più brillante nella guida e bassa di sella (siamo a 820 mm), pur se resta più alta di una classica sport-tourer.

Una moto più alta di baricentro può essere più facile da guidare: richiede di piegare meno, e i maggiori trasferimenti di carico possono essere efficacemente contrastati da un cambio fluido quale il DCT sicuramente è (per chi fosse appena atterrato da Marte, ricordiamo che è l’unico doppia frizione del mondo moto) e da sospensioni semiattive, peraltro particolarmente efficaci quali le Showa EERA sono sempre state. In entrambi i casi abbiamo logiche di controllo basate sulla piattaforma inerziale a 6 assi, che rendono cornering non solo ABS e TC, ma in un certo senso anche la cambiata: nel senso che in piega la NT1100 non cambia mai, se non lo richiede il pilota; una scelta fin troppo prudente, visto che col DCT anche le cambiate non scompongono praticamente mai l’assetto di questa Honda.

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Una Africa Twin più facile e divertente

Cannotto a parte, il telaio è lo stesso semiperimetrale in acciaio della Africa Twin, ma l’escursione delle sospensioni scende a 150 mm; il mono posteriore, assistito da leveraggi, è anche ad avvolgimento progressivo per aumentare la progressione. Generose le quote, con 1.535 mm di interasse per offrire grande abitabilità e capacità di carico, mentre l’avancorsa di 108 mm cerca di garantire una certa agilità, nonostante i 261 kg in ordine di marcia di questa moto (di cui 12 kg per le borse laterali). Le gomme sono Metzeler Roadtec 01 con misure da 120/70-17 e 180/55-17.

La sella più larga offre maggior spazio a bordo e un migliorato comfort, anche del passeggero; le valige laterali, di serie come il cavalletto centrale il portapacchi e le manopole riscaldate, sono più capienti, da 36 e 37 litri: adesso ci sta un casco integrale per lato. Il plexi è regolabile manualmente su quattro posizioni. Lato elettronica, oltre all’arrivo della IMU a 6 assi e delle sospensioni semiattive vanno citati il TFT touch da 6,5” con Apple Car Play e tre Riding Mode disponibili – Tour, Urban e Rain – ai quali si aggiungono due modalità User personalizzabili. La NT1100 eredita dall’Africa Twin anche le pulsantiere e l’interfaccia completissime, ma non proprio intuitive.

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Yamaha Tracer 9 GT Y-AMT

da 16.599 euro f.c.

Come sono fatte: Yamaha Tracer 9 GT AMT

Se la Honda ha un DNA da adventure, la Yamaha ha quello “dark side of Japan” della MT-09, una delle naked più stuzzicanti in circolazione. Addirittura troppo, tanto da essere stata “ammorbidita” a più riprese nel corso degli anni, sia nell’erogazione del motore via via più dolce che nelle quote ciclistiche e nell’ergonomia, sempre meno estreme.

Su questa strada la MT-09 è stata sempre preceduta dalla Tracer 9 (e anche dalla XSR900), più alta, lunga (interasse maggiore per via delle sospensioni con più escursione e del forcellone più lungo) e anche abitabile grazie a un telaietto dedicato: telaietto che per il 2025 cresce di ulteriori 50 mm, aumentando lo spazio a disposizione di pilota, passeggero e bagagli.

Il pezzo forte della Tracer 9 è da sempre il suo meraviglioso triple, che nelle ultime stagioni ha del tutto perso l’effetto on-off dei primi anni mantenendo un’erogazione sempre pronta, pulitissima e ben disponibile a scalare il contagiri. Questa versione Euro5+, che mantiene i condotti di aspirazione differenziati e tutte le migliorie delle ultime evoluzioni, eroga una potenza di 119 CV a 10.000 giri, con una coppia di 93 Nm a 7.000 giri: siamo decisamente più in alto rispetto alla rivale, sia nei valori che nel regime.

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Sospensioni, parabrezza, cambio: tutto elettrificato

Nonostante il manubrio alto, la Tracer 9 è quasi più una sportiva stradale che non una sport-tourer. Per questo utilizzo è invece perfetta la versione GT, che oltre a disporre di borse laterali di serie offre anche le sospensioni a controllo elettronico KADS, il parabrezza regolabile elettricamente, il sistema Smart Key che controlla anche tappo serbatoio e borse laterali e la connettività completa, con il cruscotto TFT da 7” che integra la connettività Garmin LinxBox per la navigazione con mappe.

La nostra versione Y-AMT offre frizione e cambio robotizzati: a differenza che sulla Honda, si basano su una meccanica tradizionale e non a doppia frizione e non sono controllati utilizzando i segnali della piattaforma inerziale. La Tracer 9 GT AMT aggiunge però l’ABS cornering, i blocchetti retroilluminati e le frecce a disattivazione automatica, oltre alle manopole riscaldate; è invece in opzione la sella riscaldata.

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NT1000 e Tracer 9 GT: chi è più alta e chi è pià stradale?

Tenendo a mente la faccenda della diversa origine, non stupisce che la Tracer 9 abbia meno escursione delle sospensioni rispetto alla NT1100: 130 mm contro 150 mm. La sella, ora più piatta e meglio imbottita, è però più in alto: 845 mm o 860 mm, per una posizione di guida più attiva. Il telaio in alluminio, abbinato a un forcellone in alluminio dedicato e più lungo, ha anche un interasse più corto (1.500 mm contro 1.535 mm) e minor avancorsa (106 mm contro 108 mm) rispetto alla NT1100. Mettiamoci anche il peso in ordine di marcia più basso di una trentina di kg, e non è difficile capire come la Yamaha sia più orientata alla bella guida rispetto alla Honda.

Partita con ausili alla guida indipendenti fra loro, Yamaha li ha ormai del tutto integrati in riding mode (YRC), che sulla Tracer 9 GT AMT sono 3 (Sport, Street, Rain) oltre a 2 personalizzabili da App: controllano mappe motore, ABS, TC e anche lo smorzamento delle sospensioni semiattive, mentre il cambio Y-AMT resta gestito separatamente in tre modalità: M (manuale), D o D+ (sportivo). Come sulla Honda, sono del tutto abolite le leve sul lato sinistro e la cambiata manuale è affidata a un paddle sul manubrio. Anche qui le gomme hanno misura 120/70-17 e 180/55-17, ma sono Bridgestone Battlax Sport Touring T32.

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Come vanno: ergonomia e protezione

Nonostante tutto l’avvicinamento, il diverso DNA e la diversa indole si sentono subito, ancor prima di partire. Nonostante abbia più escursione delle sospensioni, la Honda è come detto più bassa di sella, con un manubrio più lontano e pedane più avanzate: il busto è eretto, ma l’impressione generale è più da “poltrona”, cui corrisponde una protezione da vento e intemperie decisamente efficace: la NT1100 copre bene sia le spalle che le gambe, tanto è vero che se non diluvia è possibile rimandare di molto il momento di mettere l’antipioggia. Peccato solo che il plexi resti un po’ lontano dal busto e casco, consentendo la formazione di qualche vortice ad alta velocità.

La Yamaha accoglie in sella con una posizione come dicevamo più attiva: sella più alta (ma che essendo più stretta consente di toccare ugualmente bene a terra), pedane pure alte con gambe più raccolte e un po’ più di carico sul manubrio. Sia la sella che il manubrio sono nuovi: la prima è più imbottita, ma resta più consistente rispetto a quella della Honda; il secondo è un po’ più rivolto all’indietro, e rispetto alla NT1100 è più stretto. La distanza fra sella, manubrio e pedane è inferiore, determinando un’ergonomia più raccolta, comunque con busto tendenzialmente eretto. Buona anche in questo caso la protezione, anche se le gambe restano un po’ più esposte, come anche le spalle. Il plexi è molto esteso in verticale, specie quando rialzato, e devia completamente l’aria dal casco, ma è anche più stretto. In compenso la Tracer 9 GT ha due bei paramani, che in inverno sono sicuramente più efficaci nel proteggere le mani dal freddo rispetto ai deflettori della NT1100.

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Yamaha più leggera, Honda più lunga

La personalità delle due moto resta nettamente distinta: l’impressione, immediata e persistente, è che la Honda sia bassa, lunga e avvolgente la Honda e la Yamaha alta, corta e più leggera. In effetti ballano tra le due una trentina di kg, che si fanno sentire (rapporto peso/potenza di 1,93 kg/CV per la Tracer 9 GT contro 2,56 kg/CV per la NT1100), anche se in manovra la situazione è buona per entrambe grazie alla relativa facilità con cui si tocca terra, e anche al buon lavoro della gestione automatica delle frizioni, che consente di fare le inversioni solo parzializzando il gas.

A proposito di frizione e cambio, detto che i due motori sono ovviamente molto diversi, ci siamo accorti con questo test di quanto la presenza di un cambio automatico influenzi l’esperienza di guida: sia perché la cambiata è frequentissima sia perché le logiche di controllo di questi cambi cercano anche di far lavorare il motore in modo ottimale, quindi in regimi prefissati a volte al di là delle preferenze di chi guida.

Questo è particolarmente avvertibile sulla Yamaha, dove il cosiddetto “override” (la possibilità di imporre al sistema la propria volontà) è limitato: l’Y-AMT non consente di mettere la marcia se il regime è troppo basso (ma a volte non lo fa nemmeno sopra ai 3.000 giri) e non scala la marcia se il gas è aperto, presumendo che la manovra non sia corretta; se però mi trovo in salita giù di giri a gas aperto e voglio togliere una marcia, il sistema non lo consente.

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DCT o Y-AMT? Pro e contro dei due sistemi

Da questo punto di vista, il DCT Honda è molto più tollerante: alla pressione sui tasti corrisponde quasi sempre l’esecuzione della richiesta, con la caratteristica dolcezza di azionamento. Il doppia frizione ha infatti un modo unico di raccordare i due rapporti, praticamente senza interruzione di coppia e quindi con una fluidità estrema, che consente ad esempio di cambiare rapporto a centro curva a qualunque velocità senza che la ciclistica ne risenta.

Detto questo, in generale abbiamo trovato un po’ più centrate le logiche di funzionamento dell’Y-AMT, che è comunque un sistema eccellente: si innesta su una meccanica molto precisa con decisioni quasi sempre allineate a quel che pensa il pilota. Tranne che in qualche circostanza dove la marcia viene tenuta un po’ troppo a lungo, in generale la mappa di base “D” mette le marce con un piglio moderatamente sportivo, quasi sempre quando lo si vorrebbe, e la “D+” è adatta alla guida sportiva. Gli innesti non sono fluidi come sul DCT, ma corrispondono a quelli di un ottimo quickshifter; a differenza che sulla Honda, può capitare però che l’Y-AMT cambi a centro curva, non ricevendo informazioni dalla IMU.

Abbiamo comunque a che fare con due sistemi molto a punto, che in questo momento sono i nostri preferiti: l’Y-AMT è il migliore tra i cambi robotizzati “classici” e il DCT offre qualcosa di diverso, forse meno sportivo nel feeling ma anche più efficace in termini di trazione. Volendo sintetizzare il nostro giudizio sulle logiche di controllo, il sistema Yamaha prende decisioni più vicine alle aspettative del motociclista, ma gli consente meno di intervenire; il sistema Honda è un po’ meno aderente a quello che farebbe il motociclista con il cambio, ma gli consente quasi sempre di modificare questa decisione.

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Trasmissione, erogazione, motore: che differenza!

Decisione che, come dicevamo, è molto presente nell’esperienza di guida. La NT1100 in mappa “D” segue ancora la filosofia dei primissimi DCT: cambiare a basso regime. Complice la grande coppia ai bassi del twin Unicam, il sistema cambia se possibile già a 3.000 giri e non è raro entrare nelle rotonde in quinta marcia, a meno di scalare manualmente. La situazione migliora decisamente in “S1”; per capirci, la mappa “D” di Yamaha sta tra la “S1” e la “S2” di Honda, e la “D+” corrisponde alla “S3”.

Questo per dire che il modo di viaggiare sfruttando sempre i bassi regimi della NT1100 è praticamente impossibile da replicare sulla Tracer 9 GT, che comunque non difetta certo di elasticità. Il triple di Iwata gira ovviamente più alto del twin di Kumamoto: le cambiate automatiche avvengono tipicamente a 4.000 anziché 3.000 giri, e a 130 km/h si viaggia a 5.000 giri contro 4.250.

I motori confermano il carattere che conosciamo loro: Honda ha molto corpo e Yamaha molto allungo; entrambi hanno una bella elasticità, ma sul fronte delle vibrazioni la Honda è quella che ne ha di più, avvertibili a bassa frequenza un po’ in tutte le condizioni ma mai veramente fastidiose; la Yamaha vibra a frequenza più alta, e in modo tutto sommato poco avvertibile.

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Scambio di coppie: la Honda prova a fare la Yamaha, e viceversa

La Tracer 9 GT è molto diversa dalla Tracer 9 base che avevamo guidato un anno fa: quella era quasi una sportiva stradale, questa è decisamente più orientata al turismo. La differenza la fa il vestito, con le carene ancora più avvolgenti, la sella più lunga e le borse di serie, ma anche le numerose dotazioni a partire dal display TFT, veramente ricchissimo di informazioni e opzioni di personalizzazione, con una interfaccia intricata ma comunque più intuitiva rispetto a quella della Honda, che non ha mai veramente risolto la scarsa comunicatività della struttura dei comandi e delle informazioni della piattaforma Africa Twin  / NT.

La Tracer 9 GT invoglia insomma meno a mangiar curve e più a raggiungere mete lontane rispetto alla sorella senza le borse, ma resta una moto gratificante nella guida. La parola più corretta è “emozionante”, perché la differenza rispetto alla Honda la fanno sì i 17 CV in più e 30 kg in meno, ma la fanno soprattutto il timbro e l’erogazione del suo motore, che ha perso l’irruenza dei primi anni ma non i lati migliori del suo carattere.

La NT1100 con sospensioni attive, comunque, è molto migliorata e decisamente più efficace dal punto di vista della guida. È ora una di quelle moto di cui dici che la ciclistica meriterebbe un motore diverso, se non fosse che come sempre Honda lavora per armonizzare al massimo tutti i comparti delle sue moto. Senz’altro la ciclistica della NT1100 è bilanciatissima e rende la moto facile da guidare ma anche insospettabilmente svelta tra le curve, dove la spinta del motore non manca mai; quel che manca è appunto un po’ la parte emozionale, perché il modo di reagire e di muggire del 1100 Honda non ha molto – per non dire nulla – di sportivo.

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La miglior moto da viaggio: Honda o Yamaha?

Naturalmente, però, chi prende in considerazione una NT1100 non è in cerca di comportamento sportivo, e questa bella guida è già più o meno tutto quel che desidera. Contano di più aspetti in cui questa moto sa davvero eccellere: protettività, abitabilità, capacità di carico, comfort. Tutte voci in cui la Honda spunta voti più alti rispetto alla Yamaha, che è un’ottima sport-tourer con, come tutte queste moto, qualche compromesso in più tra sport e turismo: plastiche più attillate, misure più compatte, valigie meno capienti e un motore più potente e reattivo, ma che ha bisogno di girare più alto per muoversi svelti.

A questo proposito, la Tracer 9 GT è senz’altro intuitiva da guidare sportivamente, ma richiede più impegno anche nella guida di tutti i giorni: il motore ha meno corpo ai medi, e la ciclistica va accompagnata in piega più di quanto lo richieda la Honda, che scende in curva praticamente col solo pensiero, complice forse anche il largo manubrio. A livello di comfort le Showa EERA sono sempre state al top, capaci di lasciare le sospensioni molto libere e irrigidirle solo quando serve; le KYB KADS ci sono comunque sembrate altrettanto a punto, perlomeno nelle situazioni che abbiamo incontrato, anche se la taratura di base, coerentemente con l’impostazione della moto, è più morbida sulla Honda e un po’ più sostenuta sulla Yamaha.

Per chi viaggia è importante anche la voce dei consumi, e diciamo che le due moto sono allineate, con un leggero vantaggio Yamaha che, per quanto più potente, può contare su un motore di cubatura inferiore e meno kg da spostare: mediamente abbiamo misurato 20,4 km/l per la Honda e 21,2 km/l per la Yamaha, che scendono di circa 1,5 km/l nell’uso autostradale (rilevati sempre con valigie montate). Con serbatoi da 20,4 litri (Honda) e 19 litri (Yamaha) abbiamo circa 400 km di autonomia a disposizione.

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Conclusione: And the Winner is...

In conclusione, chi vince questo Test a Testa? Come al solito il compito è arduo. Parliamo di due ottime moto, davvero complete e interessanti anche alla luce di prezzi elevati, ma non stratosferici come quelli raggiunti da certe crossover: 16.890 euro f.c. per la NT1100 DCT ES e 16.599 euro f.c. per la Tracer 9 GT AMT. Come dire che la scelta, da questo punto di vista, è questione di gusti.

Per il 2025 la Honda è diventata più bella da guidare e la Yamaha è diventata più comoda, ma restano ben distinte nel comportamento: se per voi è primario il comfort e vi piace stare 14 ore in sella meglio la Honda, se vi piace di tanto in tanto divertirvi alla guida meglio la Yamaha.

Due grandi moto a un prezzo ragionevole ma noi, come abbiamo fatto altre volte, diamo un mezzo punticino in più alla Tracer 9 GT, proprio perché sa regalare quel pizzico di emozione in più a cui, da vecchi motociclisti, siamo sempre affezionati.

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