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Se pensate che le moto elettriche siano roba da sfigati, dovreste provare le Can-Am Pulse e Origin

Siamo andati in Austria per provare le nuove Can-Am Pulse e Origin e visitare lo stabilimento Rotax dove sono prodotti i loro motori (elettrici). Un’azienda dalle spalle larghe che ha portato a due modelli interessanti dal punto di vista tecnico, ma ancor prima filosofico
Oggi parliamo di un grande sfoggio di bravura tecnica, davvero notevole e giustificato dalla volontà di rilanciare un marchio glorioso, seppur dalla breve esistenza: Can-Am.
Attiva dal 1973 al 1987, Can-Am è stata molto popolare nel ricco mercato americano dell’off-road. Quel “Can” sta per Canada, dove ha sede il potente Gruppo BRP che possiede, oltre a Can-Am, marchi come Rotax, Manitou, Ski-Doo. Un colosso del settore “recreational”, nel quale fattura quasi 9 miliardi di dollari all'anno con quad, motoslitte, moto d’acqua e via dicendo (per dare un’idea, l’intero Gruppo Piaggio fattura circa 2 miliardi di dollari).
La gamma e la potenza di fuoco di BRP spiegano non solo molte delle unicità tecniche della rinata Can-Am, ma anche la domanda strategica che bisogna porsi a monte di ogni scelta tecnica: perché recuperare un marchio sostanzialmente defunto per spenderlo su due moto elettriche? E perché farlo adesso?

La sirena della mobilità elettrica
Sono domande che, in un modo o nell’altro, ci riportano all’articolato discorso che stiamo facendo ormai da tempo, dopo anni di tranquillo tran-tran Europa – Giappone e di confronti instradati sempre sugli stessi binari tecnici e strategici.
Oggi però nessun grande costruttore può ignorare la prospettiva della transizione elettrica. BRP produce veicoli sostanzialmente indifferenti alle sirene della sostenibilità, e per decenni è tranquillamente rimasta fuori dal mondo moto, avendo strutturato diversamente il suo business. Ma ora che assiste alla trasformazione radicale dei prodotti e della concorrenza, non può rischiare di non esserci nel mondo elettrico: l’alternativa è trovarsi impreparata e rischiare di scomparire quando la transizione arriverà.
E se non arriverà? Beh, tutti si aspettano che sia solo questione di tempo: il problema è saper (e poter) aspettare. E a differenza delle tante startup nate con progetti anche molto interessanti negli ultimi 20 anni, Can-Am può sostenere un settore in perdita anche molto a lungo: lo ha dimostrato con il 3 ruote Spyder, bizzarro veicolo di cui non c’era alcuna richiesta al momento della sua comparsa, ma che oggi fa numeri interessanti e ottimi profitti per l’azienda. Can-Am promette di avere la pazienza per fare lo stesso con le sue moto elettriche, costruendosi nel l’immagine, la rete di concessionari e infine raggiungendo la clientela che si prefigge di trovare.


Due moto globali per una clientela tutta da inventare
Clientela che, inutile negarlo, non pare al momento particolarmente orientata all’elettrico, in generale in Europa e in particolare in Italia, anche se le cose stanno lentamente cambiando: la cross Stark Varg è stata un successo immediato, i giapponesi hanno iniziato a scoprire le loro carte e si aspetta ovviamente l’arrivo in forze dei cinesi. Ma finora i numeri dell’elettrico restano scoraggianti: tolti gli scooterini, in Italia tra il 2019 e il 2023 si sono venduti appena 600 pezzi.
Questi numeri sembrano contraddire una legge classica dell’economia, la legge di Say secondo la quale ogni offerta crea la propria domanda. Ma nonostante nell’offerta elettrica non siano mancate le proposte accattivanti, la domanda non si è mai formata. BRP, però, alla legge di Say ci crede fermamente, e forte dell’esperienza fatta con (ad esempio) lo Spyder pensa di sapersi “costruire” una clientela: non solo con il prodotto ma con i servizi connessi.
Si parte ad ogni modo dal prodotto, le Can-Am Pulse e Origin: due moto a batteria su cui BRP ha lavorato a lungo per mettere a punto un powertrain modulare, intelligente e capace di resistere al clima canadese, che come sappiamo non è particolarmente mite. Tornando all’inizio del nostro discorso, i tecnici BRP hanno fatto veramente un gran bel lavoro, sfruttando al massimo la loro presenza globale: a parte le celle, acquistate giocoforza in Cina così come i magneti del motore, il powertrain riflette la presenza globale di BRP: software e motore studiati e realizzati in Austria da Rotax, batteria realizzata in Canada, moto completa assemblata in Messico.

Can-Am Pulse e Origin: le peculiarità tecniche
So bene che i motociclisti sono meno interessati alle novità nella tecnologia elettrica che a quelle nella meccanica, ed è un peccato perché dietro al solo powertrain Can-Am c’è il lavoro di un team di sviluppo di un centinaio di persone – come quello della Ducati Panigale V4, giusto per dare un riferimento. Uno sforzo progettuale enorme, giustificato dal fatto che lo stesso powertrain, con pochi adattamenti soprattutto software, verrà impiegato su molti veicoli del Gruppo: altre moto, ma anche motoslitte elettriche e probabilmente quad.
Tanto per cominciare, il pacco batteria (da 8,9 kWh) è racchiuso da un involucro protettivo che ha anche funzione portante: ad esso sono fissati la sospensione posteriore e il cannotto di sterzo. Una soluzione che si era finora vista solo sul BMW C Evolution del 2012, e che ha consentito di contenere il peso in 177 kg per la Pulse e 187 kg per la Origin, circa 80 dei quali assorbiti dal corpo centrale che comprende batteria, inverter e caricabatteria (da 6,6 kW).
Questi tre elementi sono raffreddati a liquido, soluzione ancora rara sulle moto soprattutto per quanto riguarda la batteria, perché essendo molto efficienti, motore elettrico e batteria scaldano poco rispetto a un motore a benzina. D’altra parte, però, il calore è il fattore limitante nelle prestazioni del motore elettrico, e la batteria funziona al meglio sotto i 60 °C, possibilmente 40°C: questo limita molto la differenza di temperatura rispetto all’ambiente esterno e ne complica il raffreddamento, che come sui motori termici serve a garantire prestazioni più stabili e maggior durata degli organi interni. La soluzione BRP è estremamente efficace, tanto è vero che Can-Am garantisce la batteria per 5 anni o 50.000 km.

Catena in bagno d'olio integrata nel monobraccio
Il powertrain canadese è completato da un motore sincrono a magneti permanenti e flusso radiale, l’architettura più diffusa nei veicoli elettrici ma che oltre al raffreddamento a liquido vede qui molti dettagli interessanti. È un motore compatto, razionale nella costruzione e ottimizzato per la sua potenza di 35 kW – 47 CV, così da non complicare troppo le cose: ad esempio la circolazione del liquido refrigerante è solo esterna allo statore ma non passa fra le spire, e l’inverter è un classico IGBT, non un SiC come quelli delle recenti hypercar elettriche da 1000 CV con le loro mostruose correnti. Anche la tensione di funzionamento di 250 V è nella media. Tra le soluzioni più interessanti, il rotore composto da tre strati ruotati fra di loro di 2°, in modo da generare un lieve sfasamento nei campi magnetici che consente di rendere la rotazione più fluida, soprattutto quando si riprende da bassa velocità.
Privo di cambio e frizione, il motore è montato subito a valle del perno del forcellone monobraccio e solidale al forcellone stesso, che contiene anche la trasmissione. Questa atipica soluzione rimanda al mondo delle motoslitte, che BRP ben conosce: all’interno del carter c’è una classica catena, che lavora in bagno d'olio e scorre su un tensionatore automatico. In sostanza, lavora in condizioni ottimali: tensione sempre ideale, niente polvere e umidità, ingrassaggio costante. Ciò la rende praticamente priva di manutenzione: si controlla l’olio ogni 10.000 km e si fa un’ispezione per l’usura a 25.000 km, e questa è tutta la manutenzione richiesta per la Pulse e per la Origin, a parte la sostituzione di gomme e pastiglie freno.

Can-Am Pulse e Origin: orgogliosamente elettriche
Si capisce insomma perché i designer abbiano voluto verniciare la batteria in giallo fluo: la Pulse e la Origin sono orgogliosamente elettriche e non vogliono far nulla per nasconderlo. Anche la costruzione è perfettamente razionale per moto che hanno poca energia a bordo, come tutte le elettriche: le Can-Am sono leggere e soprattutto snelle, sia nella sagoma che nella sezione delle gomme, e ricordano nelle dimensioni le Zero di penultima generazione. Questo ha conseguenze sull’abitabilità, in particolare sulla Pulse che può ospitare anche piloti sopra i 190 cm, ma è più adatta a chi non supera i 180 cm mentre la Origin, decisamente più alta e lunga, è più abitabile anche per le taglie XL.
Con un interasse di 1.417 mm, un’avancorsa di 101 mm e a gomme Dunlop Sportmax da 110/70-R17 e 150/60-R17, la Pulse sfodera una notevole agilità, grazie anche al peso contenuto in 177 kg. La ciclistica è completata da sospensioni con forcella rovesciata KYB da 41 mm, non regolabile, e mono ZF Sachs con registro del precarico. I freni sono J.Juan con disco singolo anteriore e pinza assiale a 4 pistoncini, con ABS Bosch. Completa l’elettronica, con controllo di trazione regolabile, 4 riding mode e l’enorme TFT touch da 10,25” con connettività completa. La sella è a soli 785 mm e le prestazioni brillanti con 0-100 in 3,8 secondi, anche se l’autonomia si ferma a 130 km nel ciclo WMTC e circa 160 km in città.
La Can-Am Pulse è disponibile in versione bianca ad un prezzo di 16.299 euro, nella più ricca versione “Carbon Black” a 17.299 euro e nell’allestimento ’73 con vernice argento, badge ’73, parabrezza, cornice DRL e strisce per le ruote a 18.699 euro. È disponibile anche in versione A1 da 11 kW, con prestazioni di fatto poco diverse.

Can-Am Origin: la crossover compatta
La Origin è più alta e lunga, per effetto delle ruote a raggi da 21”-18”, della maggiore escursione delle sospensioni (255 mm contro i 140 mm della Pulse) e del cannotto di sterzo più aperto, per un’avancorsa di 118 mm. Il risultato è un interasse di 1.503 mm, da media abbondante, e un’altezza sella di 865 mm che la rende decisamente meno accessibile per chi è meno lungo di gamba, pur se il peso resta contenuto (187 kg) e la sagoma snella.
Sulla Origin sono state fatte scelte più in linea con il DNA off-road di Can-Am, montando sospensioni KYB più tecniche con mono completamente regolabile e gomme strette (90/90-R21 e 120/80-R18) e molto tassellate (Dunlop D 605), anche se ci sembrano più adatte le Mutant offerte in alternativa, a meno di non avere in mente molto fuoristrada. Ci sono anche due riding mode dedicati (per un totale di 6) e ABS e TC completamente disinseribili.
Decisamente più abitabile, la Origin paga qualcosa in termini prestazionali, con 4,3 secondi nello 0-100 km/h e un 10% di autonomia in meno. Anche per lei tre livelli di allestimento: bianca da 16.899 euro, nera da 17.899 e edizione 73 da 19.199 euro.

Maxi-schermo da 10,25" con connettività al top
In comune tra le due l’interfaccia affidata a un enorme schermo TFT touch da 10.25". È concepito come un vero e proprio computer di bordo in stile automobilistico, con una grafica chiara e intuitiva (il touch si disattiva per sicurezza superati i 5 km/h). Ma gli ingegneri canadesi hanno fatto sfoggio di originalità persino negli accessori “LinQ Nano”, un sistema di fissaggio rapido universale senza attrezzi (già adottato da altri veicoli Can-Am) che consente di fissare il plexi o le borse senza attrezzi, con dei pratici manettini in plastica, che nel caso delle borse si possono poi chiudere a chiave.
È insomma davvero un bel progetto, tarato su dimensioni e prestazioni da patente A2: potenza di 47 CV, quote da media compatta e peso come abbiamo visto nella media (siamo ben sotto molte twin 500 cinesi). Il motore non prevede cambio, ma offre la retromarcia e una intelligente funzionalità di rigenerazione “attiva”: in pratica, oltre al normale freno motore quando si chiude il gas è possibile, ruotando la manopola al contrario, aumentare ancora la decelerazione e la rigenerazione. Un sistema molto comodo, che permette di fare a meno dei freni nella maggior parte delle situazioni e che finora nessuno aveva utilizzato, anche perché coperto da un brevetto della defunta Vectrix (che lo chiamava DAaRT) che è scaduto da poco.
Come detto, sia motore che batteria sono raffreddati a liquido e questo consente anche di spingere in fase di ricarica senza stressare le celle: con i 6,6 kW del caricabatteria integrato i tempi di ricarica sono dell'ordine di 50 minuti per il classico 20-80% alla colonnina (Tipo2), di 3 ore e 10 minuti con la normale presa Tipo 1.

Can-Am Pulse: come va la naked elettrica canadese
Abbiamo potuto guidare le due elettriche canadesi sulle strade austriache, in condizioni piuttosto varie: piccole città, tortuose strade in mezzo ai boschi sotto la pioggia e veloci superstrade con fondo asciutto, ricavandone impressioni piuttosto complete (è mancato soltanto l’off-road per la Origin).
La Pulse accoglie a bordo con una ergonomia come detto molto compatta e un po’ – ma giusto un po’ – “americana”, con le braccia molto distese e le pedane appena più avanzate di quanto ci si aspetterebbe. Un assetto col busto meno ruotato in avanti rispetto a una naked europea o giapponese, e che forse spiega il feeling un po’ atipico dell’avantreno, che manifesta una certa sensazione di pesantezza. Sensazione che a onor del vero scompare appena in movimento, lasciando spazio a una guida estremamente intuitiva e che conferma l’agilità promessa da quote e coperture.
Come su molte elettriche, il feeling è quello di una moto con masse molto centralizzate. Bassa, corta e leggera, la Pulse scende rapidamente in piega e tiene bene la linea, anche se abbiamo guidato a briglie non più sciolte di tanto. Avevo qualche pregiudizio sul motore integrato nel forcellone: un componente molto pesante che finisce per gravare – pur se in quota ridotta dalla posizione molto vicina al perno – sulle masse non sospese.

Trasmissione veramente al top
Devo invece ammettere che mi sbagliavo: non ci sono reazioni anomale della ciclistica, né sulle sconnessioni né nei cambi di direzione, mentre la catena richiusa nel carter sembra una soluzione fantastica: perfettamente silenziosa e dolce quanto una cinghia, è in compenso perfettamente reattiva nella risposta. Una delle migliori trasmissioni che mi sia capitato di provare, senza contare che il monobraccio fa sempre la sua figura.
Tolta la strana sensazione di avantreno pesante alle bassissime velocità, la ciclistica della Pulse sembra nata sana a livello di geometrie, perlomeno alle velocità consentite dal powertrain A2. L’assenza di un telaio vero e proprio non si fa sentire, le risposte ai movimenti dello sterzo e allo spostamento di peso sono naturali, e a occhi chiusi la moto sembra più vicina a una classica moto a benzina che non a una delle ultime potenti, ma anche pesanti, elettriche che ci è capitato di guidare.
Ottima anche la qualità di risposta al comando del gas, con una spinta mai brusca ma sempre corposa in qualunque mappa. Le sospensioni sono tarate sul sostenuto, in particolare al posteriore, ma senza diventare poco confortevoli, mentre la frenata assicurata dall’impianto J.Juan è adeguata, pur senza essere particolarmente potente.

Gioie e dolori della rigenerazione attiva
Parlando di decelerazione, dobbiamo fare un lungo discorso sulla rigenerazione attiva. Scegliendo il livello massimo, diventa anche più efficace del freno posteriore, il che porta ad affidarsi al solo comando del gas sia per accelerare (ruotando avanti) che per decelerare (ruotando indietro). Il che è confortevole e funziona bene nella maggior parte dei casi, ma diventa un’abitudine non troppo sana. Non tanto nella guida impegnata, dove si rinuncia presto alla rigenerazione attiva, che non rallenta abbastanza e soprattutto non attiva il trasferimento di carico, necessario per avere grip sulla ruota anteriore: sicché la situazione si risolve da sola.
È invece un’abitudine insidiosa proprio nella guida rilassata, perché se capita di aver bisogno di una frenata intensa, per non parlare di un panic stop, si perde un po’ l’istinto di tirare la leva destra (sì, il cervello umano è pigro). Vien piuttosto da pestare sul pedale del freno posteriore, ruota però già impegnata dal freno motore e che non può quindi dare più di tanto. Sarebbe probabilmente utile avere un ABS “rear-to-front” che spostasse un po’ di carico sull’anteriore, ma al momento questa funzionalità non è prevista. Come tutte le comodità, anche la rigenerazione attiva va insomma usata con giudizio.
A livello di interfaccia, non abbiamo avuto il tempo di giocare più di tanto con il grande display, sicuramente molto chiaro nelle informazioni e ben leggibile in ogni condizione di luce. Lo si controlla con numerosi tasti sul bracciale sinistro, ma la situazione è tutt’altro che intricata e si impara ben presto a padroneggiare il sistema. Piuttosto, ci è sembrato un po’ lento a reagire in alcune condizioni, ad esempio quando si spegne la moto o quando cambia la luminosità ambiente, e soprattutto è montato troppo vicino al serbatoio sulla Pulse, risultando molto basso e costringendo a distogliere lo sguardo dalla strada più di quanto si vorrebbe. Sulla Origin, invece, la situazione è molto migliore.

Can-Am Origin: adventure sul serio
Passando alla adventure, a livello di abitabilità e di ergonomia è come detto molto più “europea”. Decisamente alta di sospensioni e baricentro, non è per questo meno naturale della sorella, pur se anche in questo caso abbiamo un avantreno un po’ strano, stavolta ad alte velocità dove serve più forza del previsto per scendere in piega; va detto che le D 605 non sono certo gomme stradali, e sarebbe giusto provare la Origin con le Mutant.
Il rumore di rotolamento delle gomme tassellate vanifica anche la silenziosità della trasmissione, pur se la Origin resta una moto con cui è gradevole fare strada: è comunque molto agile e, se dotata del plexi regolabile in opzione, anche ben protettiva (la palpebra di serie devia l’aria fino a circa metà busto). Sono disponibili anche paramani, manopole riscaldate, faretti, borse e tutto quel che serve per viaggiare; l’unico limite viene dall’autonomia reale di un centinaio di km, un po’ pochi per una viaggiatrice.
Eccoci quindi al dunque: la Pulse e la Origin sono due moto ben progettate e ben costruite, a cui non mancano originalità e appeal. Scontano però, ancor più del listino elevato, la limitazione dell’autonomia che di fatto le confina all’utilizzo urbano o poco più, a meno di pianificare con grande scrupolo le ricariche (il che leva un po’ del senso di libertà della moto). A mio giudizio una batteria da 12 kWh, taglia ormai comune, avrebbe migliorato sensibilmente la versatilità di queste moto, pur facendo lievitare un po’ il peso. Ma Can-Am ha le idee chiare sul percorso da fare e le spalle larghe per sostenerlo. Per il momento non ci resta che complimentarci per il lavoro fin qui svolto e aspettare i prossimi sviluppi e i prossimi modelli, per i quali ci è stato detto che non ci vorrà molto.









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