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Comparativa HYPERNAKED 2021: senza esclusione di COLPI

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 08/08/2021 in Anteprime
Comparativa HYPERNAKED 2021: senza esclusione di COLPI
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Aprilia Tuono V4 Factory, BMW S 1000 R, Ducati Streetfighter V4 S, Kawasaki Z H2 SE, KTM 1290 Super Duke R, Triumph Speed Triple RS: la lotta per il predominio tra le hypernaked si infiamma con sei contendenti in lizza, di cui quattro tutte nuove. Seguiteci su strada e in pista per eleggere la regina del 2021!

Ci sono moto più comode e tutto sommato quasi altrettanto efficaci, come le crossover. Ma se ti piace guidare senza magari precluderti una puntata in pista ogni tanto, cerchi un certo tipo di adrenalina e trovi soddisfazione anche solo nel possedere la moto più maschia in circolazione, beh: allora le hypernaked non hanno rivali. A volte derivano dalle moderne superbike e a volte no, ma in comune hanno tonnellate di cavalli, ciclistiche sopraffine e soprattutto una personalità debordante. Grondano fascino da ogni bullone, e ogni volta che le abbiamo parcheggiate insieme si sono formati capannelli di curiosi, non necessariamente motociclisti.

Ecco: in queste moto è riassunta in un certo senso l’essenza più pura della moto moderna, un giocattolo costoso che appaga desideri sofisticati. Servono su strada centottanta o duecento cavalli? Assolutamente no, e infatti ti ritrovi a muoverti in quinta o in quarta anche sulle strade extraurbane veloci, o a impostare mappe intermedie per stemperarne un po’ il vigore, gestibile ma tutt’altro che rilassante. Eppure il senso di queste moto sta proprio qui, nel loro essere eccessive in un mondo sempre più assennato e ragionevole. Potenti, vistose, aggressive, le hypernaked hanno il fascino delle belve feroci o delle donne pericolose: un tipo di fascino che nessuna legislazione riuscirà mai a spegnere.

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In queste moto è riassunta l’essenza più pura della moto moderna, un giocattolo costoso che appaga desideri sofisticati. Servono su strada centottanta o duecento cavalli? Assolutamente no... Eppure il senso di queste moto sta proprio qui, nel loro essere eccessive in un mondo sempre più assennato e ragionevole. Potenti, vistose, aggressive, le hypernaked hanno il fascino delle belve feroci o delle donne pericolose: un tipo di fascino che nessuna legislazione riuscirà mai a spegnere

Due ruote allo stato puro

Non è un caso che il panorama della categoria si sia quest’anno arricchito: tornano tutte le protagoniste del 2020, qualcuna pesantemente rivista e qualcuna ritoccata in occasione della Euro5; e si aggiungono BMW e Triumph, che aggiornano modelli ormai vecchiotti per rilanciarli sulla scena. Manca la MV Agusta Brutale RR, la cui versione aggiornata non era disponibile in tempo utile per la prova, ma abbiamo comunque sei moto eccezionali che raggiungono il loro obiettivo seguendo strade diverse: motori V2, triple, V4 e 4 in linea, aspirati e sovralimentati, telai a traliccio oppure in alluminio o parziali di tipo “front”, sospensioni tradizionali oppure elettroniche, sovrastrutture minimal o più estese e ovviamente tutta l’elettronica più aggiornata che c’è.

Le prestazioni annunciate sono tutte strabilianti, e per verificarle le abbiamo come al solito messe alla prova su strada, in pista e nella ormai leggendaria Drag Race. Prima di partire, però, è bene come al solito far chiarezza sulle condizioni della prova. Tanto per cominciare, come al solito abbiamo pareggiato le condizioni di aderenza a terra calzando tutte con una sola copertura, le recentissime Pirelli Diablo Rosso IV che abbiamo utilizzato sia nel nostro test su strada che nella prova in pista. 

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Le prestazioni annunciate sono tutte strabilianti, e per verificarle le abbiamo come al solito messe alla prova su strada, in pista e nella ormai leggendaria Drag Race.

Quest’ultima è stata svolta anche stavolta nel nostro impianto ASC di Vairano di Vidigulfo (PV), che abbiamo però utilizzato nella configurazione più lunga possibile, aggiungendo un lungo e veloce cappio nella parte sud, in fondo al rettilineo. A Vairano le nostre naked le abbiamo portate due volte: una per prendere sensazioni e tempi anche con l’aiuto dell’ospite di lusso Tommaso Marcon, pilota della Moto2, e una per la Drag Race. Scintille in entrambi i casi fra le concorrenti più agguerrite, e cioè... tutte!

Come sempre nelle nostre comparative, il nostro giudizio finale è a 360°, quindi i risultati in pista sono solo un tassello della valutazione globale di queste moto, che verranno usate prevalentemente in strada; sono comunque sempre un riscontro utilissimo per mettere in luce aspetti difficili da valutare su strada.

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Nessuna è rimasta ferma

Facciamo un riepilogo della situazione tecnica. Con l’arrivo della Euro5 anche le moto che sulla carta sono rimaste immutate, come la Ducati e la KTM, hanno inevitabilmente ricevuto aggiornamenti al motore. In particolare la Streeetfighter V4 ha nuovi condotti di scarico e una mappatura diversa, più libera nelle prime marce; i valori di coppia e potenza sono stati confermati, ma con la prima 2.000 giri più in basso e la seconda un po’ più in alto rispetto a prima.

Più limitate le modifiche alla KTM. a cui è bastato riprogrammare la centralina del modello 2020 per rientrare nei parametri Euro5 senza perdita di prestazioni. Pure Kawasaki, potendo giocare sull’enorme riserva della sovralimentazione, ha confermato i valori 2020 per la più raffinata versione SE. Ci sono poi i modelli nuovi come l’Aprilia Tuono V4 Factory, la BMW S 1000 R e la Triumph Speed Triple RS, rivisti in tutti i comparti come vi raccontiamo più avanti.

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Giocattoli costosi 

Serve anche un commento sui prezzi, dove la politica delle Case è molto varia. Tutte hanno modelli più accessibili, ma la Aprilia Tuono V4 base da quest’anno si discosta molto dalla Factory per avvicinarsi al concetto di sport-tourer. La BMW esiste in una sola versione (in realtà tre leggere varianti legate al colore) che è poi possibile modificare a dismisura attingendo agli optional. Ducati e Kawasaki hanno versioni meno costose, senza sospensioni semiattive e altre chicche.

KTM offre una versione già molto ben equipaggiata, ma richiede di rivolgersi al catalogo degli optional anche per dotazioni importanti come il quickshifter e i pacchetti elettronici più completi. In più non offre le sospensioni semiattive nemmeno in opzione, come Triumph che però esce già completa di tutta l'elettronica. Alla fine questo rende l’inglese la moto più accessibile del gruppo, perché una BMW S 1000 R con il pacchetto “M” e le ruote in carbonio che la rendono davvero efficace in pista finisce per allinearsi alle concorrenti più costose. Alla fine il prezzo è più o meno lo stesso per tutte, con l’eccezione della Speed Triple RS che a parità di equipaggiamento e dotazioni è la più abbordabile.

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La Tuono V4 Factory , la veterana del gruppo si rinnova profondamente: potenza invariata, ciclistica ed elettronica aggiornate e linea più moderna

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Aprilia Tuono V4 Factory

Da 20.190 euro c.i.m.
In prova: 23.845 euro c.i.m.

Pur essendo una delle più anziane, nel 2020 ha combattuto fino all’ultimo con la Streetfighter V4 S perdendo ai punti nel gradimento generale, ma portandosi comunque a casa la Drag Race. La Tuono V4 Factory si presenta ora rinnovata in tutti i comparti: il motore mantiene la V più stretta di tutte (65°) e teste compatte per favorire quote telaistiche estreme. Grazie a bicchierini molle valvola più leggeri il limitatore sale da 12.500 a 12.800 giri/min; c’è un nuovo impianto di scarico e a dirigere le danze arriva la centralina Magneti Marelli ECU 11MPI. Invariate potenza e coppia massima: 175 CV a 11.350 giri/min e 121 Nm a 9.000 giri/min.

Il telaio è un doppio trave in alluminio di derivazione racing, abbinato a un nuovo forcellone con capriata di rinforzo inferiore, più lungo e rigido. Le sospensioni sono Öhlins con controllo semiattivo Smart EC 2.0, mentre l’impianto frenante conta su pinze Brembo M50 abbinate a dischi da 320 mm.

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APRC ultimo atto

L’elettronica APRC nell’ultima versione è integrata con la gestione motore Ride-by-Wire e la piattaforma inerziale a sei assi. Oltre al controllo di trazione, all’anti-wheelie, al launch control e agli altri ausili alla guida tutti cornering, prevede il controllo regolabile del freno motore AEB indipendente dalla mappa motore. Sei i riding mode disponibili, tre per la strada e tre per la pista.

Tutta nuova l’interfaccia, con diversi blocchetti e un pannello TFT da 5”  che hanno reso più moderna la Tuono insieme alla nuova linea, sempre con il cupolino fissato al telaio ma carene ora “strato su strato” con funzione aerodinamica. Il triplo gruppo ottico a LED ha funzionalità cornering. Aggiornata anche l’ergonomia con il serbatoio più sciancrato e la sella più lunga e imbottita.

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Una MotoGP da strada

La Tuono V4 ha da sempre la sua ragion d’essere nel come sa riportare su strada il feeling di una MotoGP, più ancora della Ducati che è l’altra “replica” tra le hypernaked. Appena sali è strettissima fra le gambe (fin troppo per la pista), persino più della twin KTM. Il suo V4 zoppica un pochino sotto i 3.000 come il Ducati, ma è regolarissimo con un filo di gas e quando apri, complice lo scarico Akrapovič, sprigiona ancora il suono che segue il lampo. Il suo motore abbina il meglio di un V2, se si cambia bassi, al meglio del V4 quando si vuole andare a limitatore: cosa che resta una faccenda da uomini veri.

Rispetto alla Streetfighter V4 S è un po’ più sensibile di sterzo sul veloce, e sul dritto non divora l’asfalto nello stesso modo; ma nella guida resta bellissima e almeno altrettanto gratificante, grazie anche all’elettronica ulteriormente affinata. Non è però altrettanto confortevole: dura di sella, con un assetto piuttosto seduto, scalda e vibra in modo viscerale, non fastidioso; un po’ fastidiosa è però la risposta al gas, così pronta anche in mappa Tour da farla scalciare in avanti nelle piccole buche, dove le sospensioni elettroniche si rivelano tarate sul rigido. Anche la protezione aerodinamica è buona ma non strepitosa, considerando la mezza carena. Insomma la Tuono non è particolarmente rilassante in generale, anche se poi con un filo di gas vai via liscio.

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pur essendo uno strumento a misura di pilota, la tuono è facile per l’amatore

Animale da pista

In pista, come da copione, la Tuono è eccellente. Ha in assoluto la miglior trazione di tutte (come ha dimostrato nella Drag Race) e fa sempre tanta strada, anche se quest’anno a Vairano ha fatto registrare qualche pompaggio in uscita di curva, restando però sempre ben controllabile in accelerazione grazie a un’elettronica al top, precisa ma non invasiva.

E per quanto sia uno strumento a misura di pilota, grazie al suo ottimo amalgama tra telaio, motore ed elettronica è anche fra le più facili per l’amatore che vuole sfruttarne le prestazioni. Nonostante il gap di potenza con la Streetfighter V4 va comunque molto forte, ed è quella che ti mette più a tuo agio nel cercare i tuoi limiti.

 

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

267,4 km/h (26,3 s)

Accelerazione

  0-400 m

10,9 s (224,4 km/h)

  0-1.000 m

19,6 s (264,0 km/h)

  0-90 km/h

3,4 s (41,1 m)

  0-130 km/h

4,9 s (87,1 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

4,8 s (137,9 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,4 s (76,5 m)

  50-0 km/h

2,5 s (26,0 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

17,5 km/l

  Autostrada

16,5 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


212,5 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


202,5 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

51/49
  con conducente 47/53

 
 
IL RADAR

La Aprilia Tuono V4 Factory resta viscerale nelle sensazioni e al top in pista, anche se non abbiamo ritrovato il feeling quasi sovrannaturale della MY20. È comunque molto cresciuta nelle finiture, oltre ad essere fra quelle meglio dotate di serie.

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La precedente BMW S 1000 R era la moto della famiglia S che aveva meno scaldato i cuori, e a Monaco la hanno profondamente rivisitata

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BMW S 1000 R

Da 14.800 euro c.i.m    
In prova 22.630 euro c.i.m.

Pur avendo a disposizione il fantastico quattro in linea bavarese è la meno hyper del gruppo, non tanto per i “soli” 165 CV quanto per il look poco strillato. Ma nonostante l’impostazione da roadster stradale, la parentela con la S 1000 RR rimane stretta a partire dal motore, qui senza fasatura variabile ma comunque alleggerito di 5 kg e compattato: organi interni riposizionati, bielle più corte, distribuzione affinata, cambio integrato nel basamento con le ultime tre marce allungate; la frizione antisaltellamento è assistita in coppia e abbinata al sistema di gestione della coppia motore MSR. 

Il 1000 cc da 165 CV a 11.000 giri/min e 114 Nm a 9.250 giri/min è inclinato in avanti di 32° e con funzione strutturale nel telaio doppio trave in alluminio fuso, più leggero di 1,3 kg e più snello nella zona sotto il serbatoio. Riviste le quote, con una forcella più in piedi ma un interasse maggiore, e aumentato l’angolo di sterzo anche grazie a steli forcella ridotti da 46 a 45 mm. Nuova anche la geometria del leveraggio, abbinato a un mono ora più lontano dal calore del motore. Il controllo semiattivo DDC, affinato nel funzionamento delle valvole, è integrato nei riding mode ma personalizzabile con il pacchetto Dynamic Pro. Freni Nissin con pinze radiali e dischi da 320 mm e menzione per le ruote in lega, più leggere di 1,8 kg rispetto alle precedenti; con il pacchetto M si scende di un altro kg, quasi 3 kg con l’opzione in carbonio montata sul nostro esemplare.

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Elettronica integrata

Sempre molto completa l’elettronica BMW, che tuttavia resta “celata” in riding mode fortemente integrati. Ci sono la piattaforma inerziale a 6 assi e la gestione motore ride-by-wire, che abilitano una serie di ausili cornering di ultima generazione pur se in parte a pagamento, come l’opzione “Pro” che aggiunge l’MSR e la possibilità di intervenire di fino su risposta del gas, freno motore e anti-wheelie; a pagamento anche il quickshifter. 

Profondamente modificata anche la linea, con faro singolo cornering (in opzione) e fianchetti più filanti e aggressivi. Nel complesso la moto appare più piccola e puntata in avanti, oltre che più snella. Il quadro comandi è ora il classico TFT da 6,5” con tasti al manubrio grandi e chiari e la pratica rotella sulla sinistra; non manca la schermata "Sport" riservata alle BMW più sportive.

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Miss semplicità

La S 1000 R è stata forse la sorpresa di questa edizione. Si è allontanata dalla RR nel telaio, ma non nello straordinario motore: spinge fortissimo senza strappi o picchi, con dolcezza nella prima parte di erogazione per poi guadagnare grinta in modo sempre lineare, senza il cambio di carattere di Ducati o Kawasaki. Riprende in sesta da 1.800 giri senza un sussulto e allunga fino a 12.000: su strada puoi fare 100 km senza toccare cambio e frizione e per risposta al gas, regolarità, assenza di vibrazioni è al top

Questo motore rende la BMW la hyper più godibile su strada, anche se di sospensioni è sorprendentemente dura (specie la forcella) e l’ergonomia non è il massimo: molto raccolta, con le pedane vicine alla sella e il manubrio lontano per effetto del serbatoio lungo e largo. La sua forza è la neutralità: ti invita a giocare, non è stancante e da guidare è semplice, comunicativa, con tanta trazione e un’elettronica poco invasiva. Come spesso accade con BMW, il cambio è la cosa meno a punto: è piuttosto contrastato e non sempre asseconda in staccata. 

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se avesse un po’ di personalità e di potenza in più, sarebbero dolori per tutte

Grandissima ciclistica, le manca qualche CV

In pista la S 1000 R è rigorosa e facile da portare al limite: c’è un picco negli ultimi 3.000 giri ma comunque ben gestibile, e la ciclistica è quasi al livello di Aprilia: ottima la precisione assicurata dal telaio, ottima la trazione e un bellissimo feeling di guida, che la rende davvero efficace tra le curve. Le altre sembrano tutte Mr Hyde, lei è un dottor Jekyll che meriterebbe forse un po’ di personalità estetica e qualche cavallo in più: potrebbe senz'altro giocarsela fino in fondo per la vittoria.

 

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

259,9 km/h (26,9 s)

Accelerazione

  0-400 m

10,9 s (222,2 km/h)

  0-1.000 m

19,8 s (254,4 km/h)

  0-90 km/h

3,2 s (39,0 m)

  0-130 km/h

4,7 s (83,5 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

4,2 s (122,6 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,4 s (77,4 m)

  50-0 km/h

2,5 s (24,5 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

17,8 km/l

  Autostrada

16,4 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


198,8 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


189,5 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

53/47
  con conducente 48/52

 
 
IL RADAR

La BMW S 1000 R, all’opposto, di serie è una moto piuttosto diversa rispetto a quella in prova, anche se la sostanza è quella. Certo è che l’elettronica completa di tutte le opzioni a pagamento, il pacchetto M Competition e i cerchi in carbonio la rendono davvero efficace anche in pista, dove strappa uno dei voti più alti nonostante la potenza più bassa fra le moto in prova, e la dichiarata vocazione da roadster stradale.

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Dopo un solo anno, la Ducati Streetfighter V4 si presenta non solo in un accattivante abito total black, ma anche con aggiornamenti a motore ed elettronica che la rendono più matura

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Ducati Streetfighter V4 S

Da 23.640 euro c.i.m.
In prova: 23.712 euro c.i.m.

Pensavamo di non trovare novità sulla Streetfighter V4 dopo solo un anno; e invece oltre alla affascinante livrea “Dark Stealth” riservata alla versione S, la hyper bolognese riceve con la omologazione Euro5 una frizione affinata, collettori della bancata posteriore più corti e piccoli, mappe di erogazione nelle marce basse riviste e un po’ più “libere” per compensare lo scarico più strozzato. Infatti sono invariate le prestazioni: 208 CV a 13.000 giri/min e 123 Nm a 9.500 giri/min, ovvero ben 2.000 giri più in basso di prima. Ci sono poi nuove pompe freno anteriore e frizione, derivate dalla Superleggera V4.

Come la Tuono, la Streetfighter ha l’alesaggio da 81 mm delle MotoGP, ma una corsa maggiore per avere più coppia nell’uso stradale. Il suo V4 da 1.103 cc ha l’angolo di 90° e l’ordine degli scoppi irregolare “twin pulse” per ricordare un bicilindrico, l’albero motore controrotante, corpi farfallati ovali con doppi iniettori e gestione ride-by-wire. È montato inclinato di 42° all’indietro e con funzione portante nel telaio di tipo “front”; solo il telaietto reggisella è fedele al classico traliccio in acciaio Ducati. Le sospensioni della versione S sono Öhlins: forcella NIX-30, mono TTX-36 collegato al monobraccio da un leveraggio e gestione semiattiva Smart EC 2.0. La S vanta poi i leggeri cerchi Marchesini a 3 razze forgiati, mentre i freni sono Brembo con pinze monoblocco Stylema e dischi da 330 mm all’anteriore. 

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Elettronica al top

La linea è caratterizzata dal compatto faro incassato nelle ampie “spalle” e dalle ali biplano, che nella vista frontale danno alla Streetfighter V4 un che di ragnesco. L’ergonomia è lontana da quella della Panigale, con una sella molto morbida che ha obbligato a rivedere il serbatoio nella zona posteriore e pedane più basse.

L’elettronica è al meglio di quanto sappia fare Ducati, e cioè moltissimo: gestione full ride-by-wire, IMU a 6 assi e una coorte di sistemi elettronici avanzatissimi, tutti cornering e che sorvegliano frenata, trazione (con tanto di slide control), impennate, partenze e freno motore. Il tutto regolabile con semplicità dal display TFT da 5” attraverso tre riding mode personalizzabili e dei tasti al manubrio retroilluminati.

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Stratosferica

Anziché ridimensionarsi, vicino alle rivali questa Ducati si esalta. Sali ed è alta di sella, puntata in avanti ma tutt’altro che scomoda, se non la più comoda: sella morbida, manubrio largo, bella protezione dall’aria. Ha il cambio migliore, corto e morbido a ogni velocità, e nella prima parte del contagiri il motore è dolce: ticchetta davvero come un V2 ma con una risposta al gas perfetta, come del resto tutto il pacchetto elettronico. Ci vai a spasso senza sentirti in imbarazzo, è tutto accordatissimo e addirittura semplice: non strappa, non freme come una bicilindrica.

Poi però arriva la soglia dei 10.000 giri, e la Streetfighter si trasforma in una belva furente, per quanto mai selvaggia: la rapidità nel prendere giri è stupefacente, e la spinta così forte che è inevitabile appendersi un po’ al manubrio; ma tra erogazione ed elettronica gli alleggerimenti dell’avantreno sono minimi. Va superforte e frena superforte, anche se il “bite” immediato in stile Ducati finisce per sporcare un po’ gli ingressi, a meno di essere impegnati fra i cordoli.

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davvero una gran moto, complessivamente un gradino sopra sia in pista che in strada

Divertente ed efficace

Qui il pezzo forte è come sempre il motore, i cui ultimi 2.000 giri sono davvero impressionanti. Ma in generale la Streetfighter V4 S ha un set-up di base e un’elettronica eccellenti e una frenata superlativa: a livello di resa dinamica è a livello della Tuono V4 Factory, grazie al motore può essere anche più divertente ma necessita di un polso più raffinato per sfruttarne tutto il potenziale.

Per ottenere il meglio devi farla andare davvero forte; ma anche senza esagerare resta divertente, e addirittura gentile su strada. E oltre a funzionare benissimo, è la più premium nell’aspetto. Insomma a Bologna hanno fatto proprio un lavorone: è bella, ben fatta e va molto bene, sia piano che forte. Davvero una moto straordinaria.

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

264,4 km/h (26,3 s)

Accelerazione

  0-400 m

10,9 s (227,1 km/h)

  0-1.000 m

19,5 s (262,2 km/h)

  0-90 km/h

3,2 s (37,2 m)

  0-130 km/h

4,8 s (80,1 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

3,5 s (101,5 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,3 s (76,0 m)

  50-0 km/h

2,5 s (24,3 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

16,2 km/l

  Autostrada

15,5 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


208,0 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


199,9 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

53/47
  con conducente 49/51

 
 
IL RADAR

La Ducati Streetfighter V4 S, che l’anno scorso aveva ottenuto i voti più alti, si conferma la naked con il gradimento complessivo più alto grazie agli ulteriori passi avanti fatti in questi dodici mesi che hanno permesso di limare i (pochi) tratti acerbi del progetto. Non è la più immediata in termini di feeling, ma sulla distanza si mostra non solo gratificante per le sue prestazioni, ma anche sorprendentemente confortevole.

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La Kawasaki Z H2 SE è migliorata in freni e sospensioni, ora semiattive, la giapponese fa un bel passo avanti anche se il suo perché resta il motore sovralimentato

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Kawasaki Z H2 SE

Da 21.240 euro c.i.m.
In prova: 21.240 euro c.i.m.

Più che la omologazione Euro5, per la quale era già predisposta, la Z H2 si è regalata per il 2021 le pinze Brembo Stylema e le sospensioni semiattive Showa EERA, entrambi utili a tenere a bada la strabordante spinta del quattro in linea sovralimentato da 200 CV a 11.000 giri/min e 137 Nm di coppia a 8.500 giri/min. 

La hyper nipponica affida tutto il suo fascino all’esclusiva sovralimentazione con compressore centrifugo, che per conservare la compattezza richiesta su una moto riesce a fare a meno di un intercooler e di un sistema di lubrificazione separato. Alimentata da un condotto sul lato sinistro della moto, la girante da 69 mm di diametro porta fino a 2 bar di pressione addizionale al 1000 giapponese, relativamente a corsa lunga con i suoi “soli” 76 mm di alesaggio. 

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Telaio a traliccio, elettronica integrata

Lo stile della Z H2 resta unico: sulla SE (disponibile solo nel classico abbinamento nero-verde brillante) il condotto che alimenta la girante è lucidato a specchio, accentuando il design asimmetrico sui due lati che converge nel cupolino solidale al telaio. Che per quanto snello, non riesce a celare tutta la complessità meccanica che rende la Z H2 SE la moto su cui più si avverte la larghezza nella parte centrale.

Lo snello telaio a traliccio, scelto anche per migliorare la dissipazione di calore del motore, ospita quest’ultimo in posizione pressoché verticale, e in funzione parzialmente portante. La forcella Showa SFF-CA da 43 mm e il mono BFRC lite sono gestiti dall’algoritmo semiattivo EERA integrato nella organizzazione globale dell’elettronica di bordo KCMF, che prevede tre riding mode più uno personalizzabile e coordina il controllo di trazione, il launch e wheelie control e la frenata, tutti cornering. La filosofia di Kawasaki è di ridurre la pletora di regolazioni possibili al minimo, per cui anche la pulsantiera sui due bracciali e il TFT da 4,3” sono meno esuberanti rispetto alle concorrenti.

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Nuovi turbamenti

La posizione di guida è comunque fra le più comode, con la sella morbida e il busto eretto per effetto del manubrio che si protende all’indietro. La Z H2 SE è forse l’unica del gruppo che potrebbe sembrare rilassante... fino a quando non si avvia il suo motore, per il quale “spaventoso” è l’aggettivo più appropriato. Allunga le braccia in tutte le marce, più di tutti gli altri, e nonostante le sospensioni elettroniche determina vistosi alleggerimenti di sterzo se si ha il fegato di tenere aperto il gas (anche non tutto). 

Certo, puoi dire qualcosa delle quote ciclistiche che fanno sì che nelle rotonde lo sterzo chiuda un po’, lamentare le sporgenze sotto il serbatoio che ti costringono a guidare con le ginocchia larghe o notare il buon comfort garantito dalle Showa EERA; ma il protagonista assoluto è sempre il motore H2, che fa dimenticare tutto il resto. Come il BMW sa riprendere in sesta da 1.800 giri senza rifiuti, poi con una lieve vibrazione entra in azione la girante e il mondo di colpo si accorcia. Puoi andare con un filo di gas, ma la sua risposta impone sempre attenzione: non ti dà un attimo di tregua anche andando piano.

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puoi parlare delle sue quote o delle forme, ma il protagonista indiscusso resta sempre il motore sovralimentato h2

Pista? Solo per divertimento

Con più peso e meno luce a terra delle altre, la Z H2 è dichiaratamente la meno votata alla pista. Le sospensioni elettroniche aiutano la SE a restare più composta ma in curva tocca presto, e le inerzie la fanno allargare un po’ di più e la ostacolano in frenata e nei cambi di direzione.

Il suo vero limite restano comunque le pedane e lo scarico bassi, perché la ciclistica è sana e il motore sovralimentato avrebbe tante qualità anche tra i cordoli: ma è come un leone ingabbiato da una ciclistica e un’elettronica troppo conservative. Aspetti che non emergono mai nell’uso stradale, anche molto sportivo, dove il quattro di Akashi rende la Z H2 SE fra le più belle naked da guidare su strada.

 

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

265,3 km/h (26,8 s)

Accelerazione

  0-400 m

11,0 s (217,7 km/h)

  0-1.000 m

19,9 s (257,3 km/h)

  0-90 km/h

3,2 s (38,2 m)

  0-130 km/h

4,9 s (87,4 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

4,1 s (119,3 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,5 s (79,8 m)

  50-0 km/h

2,6 s (24,5 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

16,5 km/l

  Autostrada

15,8 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


240,0 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


229,6 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

52/48
  con conducente 48/52

 
 
IL RADAR

Come nel caso di Ducati, prestazioni e comfort sono i punti forti anche della Kawasaki Z H2, che è comunque molto diversa dalla bolognese come mostrano i voti spostati dal lato della praticità rispetto all’efficacia di guida, soprattutto tra i cordoli che la giapponese non ama frequentare.

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La KTM 1290 Super Duke R è cambiata di meno dal 2020 mantiene tanta personalità e una insospettabile docilità su strada, mentre in pista richiede polso

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KTM 1290 Super Duke R

Da 19.020 euro c.i.m.
In prova: 21.268 euro c.i.m.

A Mattighofen hanno sfogato i loro pruriti sportivi sulla Super Duke RR, edizione limitata andata esaurita in un solo giorno; ritroviamo così la 1290 Super Duke R del 2020, con qualche ritocco al motore per soddisfare limiti Euro5 già alla portata e una sola razza posteriore color arancio. 

La Super Duke R è l’ultima hyper a tenere alta la bandiera del bicilindrico, con il suo V75° lievitato fino a 1.301 cc: maxi-alesaggio di 108 mm, doppie candele, corpi farfallati Keihin da 56 mm. La distribuzione a levette oscillanti e rivestimento DLC come sulla BMW ha le valvole di aspirazione in titanio, mentre i condotti sono assistiti da camere di risonanza. Gli enormi collettori di scarico (60 mm posteriore, 54 mm anteriore) portano i gas al silenziatore che, come per molte rivali, era la versione opzionale fornita da Akrapovič. Invariati con la Euro5 i valori di 180 CV a 9.500 giri/min e ben 140 Nm a 8.000 giri/min.

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Traliccio e monobraccio

Il telaio è un traliccio con il motore in funzione portante, completato da un telaietto misto in alluminio e composito e da uno scultoreo forcellone monobraccio. Come sempre in casa KTM, il comparto sospensioni è affidato a WP che ha fornito il pacchetto APEX, privo di gestione semiattiva ma dalle regolazioni molto facili grazie ai registri azionabili a mano.

Lato elettronica anche KTM non scherza, specie da quando ha messo piede in MotoGP. La 1290 Super Duke R sfrutta la piattaforma inerziale a 6 assi per rendere meno invasivi i tanti sistemi di supporto alla guida, organizzati in 4 riding mode. Ci sono il traction control e l’ABS cornering, il controllo del freno motore MSR (optional) e in modalità Track si possono regolare gli interventi su una scala a 9 livelli. Anche il pannello TFT da 5” e i comandi al manubrio sono di ultima generazione e semplici da usare.

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Muscoli pazzeschi, ma...

Nonostante l’aspetto da overdose di steroidi, la 1290 Super Duke R è molto accogliente: la sella è larga e ben posizionata (non troppo morbida, ma a catalogo ce ne sono diverse più comode), il manubrio da 760 mm è ottimo per posizione e dimensione e il largo serbatoio assicura una discreta protezione dall’aria pur in assenza di carenature. L’austriaca mostra però meno benevolenza verso il passeggero, appollaiato su un trespolo alto e stretto.

Stretta di fianchi, larga di spalle, muscolosissima, l’austriaca strilla “Ready to Race” ma su strada in realtà è tutt’altro che estrema, con un’ergonomia comoda e sospensioni che assorbono bene le asperità pur se la forcella, molto cedevole nel primo tratto, poi “mura” un po’ in frenata. Il motore vibra tanto, ma ha una progressione lineare e fa sentire tutta la sua potenza solo agli alti; meglio però impostare la risposta del gas più dolce (persino in pista!), perché la sua spinta può scomporre la moto se non si dosa con attenzione il gas. Una volta il bicilindrico aveva tanta schiena e mettevi una marcia in più dei quattro cilindri; oggi ne metti una in meno, perché spinge rapporti così lunghi che per strada è difficile aver bisogno della sesta, e spesso anche della quinta.

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stretta di fianchi, larga di spalle, la Super duke r urla a tutti “ready to race” ma in realtà è sorprendentemente fruibile

Velocissima, divertente, non estrema

In pista la KTM è leggera ed efficace: le WP settate “track” lavorano bene, frena forte e in precorrenza è precisa; poi però la spinta del suo mega twin, croce e delizia, mette in difficoltà gomme e assetto, e l’elettronica deve intervenire per tenere a terra la ruota anteriore. Ci ha sorpreso la logica del sistema MSR: in inserimento riduce il freno motore via via che l’angolo di piega aumenta, liberando completamente la moto al punto di corda quando ci si aspetterebbe l’opposto: non aiuta a trovare scorrevolezza nelle S veloci, quando si guida piegando tanto.

Sempre divertentissima, la Super Duke R conferma prestazioni esuberanti, soprattutto in uscita di curva; nel complesso però non dà la stessa sensazione di immediatezza e confidenza di BMW o Ducati: è costruita su un concetto che la rende più maschia, ma anche più complicata quando la si vuole sfruttare fino in fondo.

 

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

259,0 km/h (26,9 s)

Accelerazione

  0-400 m

10,9 s (219,6 km/h)

  0-1.000 m

19,9 s (253,6 km/h)

  0-90 km/h

3,1 s (36,6 m)

  0-130 km/h

4,7 s (86,2 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

5,3 s (152,0 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,4 s (77,9 m)

  50-0 km/h

2,7 s (24,4 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

16,4 km/l

  Autostrada

16,9 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


210,0 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


200,4 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

50/50
  con conducente 47/53

 
 
IL RADAR

La KTM 1290 Super Duke R si conferma un grandissimo attrezzo votato al divertimento, che ha peraltro più senso cercare su una naked rispetto alla pura prestazione in pista. Radar tondeggiante, senza voci in cui sia la migliore ma è sempre lì e soprattutto con zero punti deboli.

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Triumph Speed Triple RS

Da 17.800 euro c.i.m.
In prova: 17.800 euro c.i.m.

La Speed Triple è la veterana della categoria. Esiste fin dal 1994, sempre costruita attorno al suo vistoso tre cilindri: alta, corta e soprattutto impertinente. Con la RS MY21 questa moto iconica fa un altro passo avanti, trovando sia più facilità nell’uso stradale che più attitudine in pista. La linea è stata rivista con moderazione: il doppio faro appena più accigliato, il codino più snello, il serbatoio più semplice. È cambiata più dentro che fuori.

Fra i motori più longevi in circolazione, il triple è cresciuto nelle misure (1.160 cc), nella potenza (180 CV a 10.750 giri/min, +30 CV) e nella coppia (125 Nm a 9.000 giri/min). Più leggero di 7 kg e con meno masse in movimento, ha guadagnato 650 giri grazie alla distribuzione a levette oscillanti, e in generale più spinta ai medi e alti regimi. Completamente nuovo lo scarico, che torna basso e singolo e guadagna una valvola interna. La frizione antisaltellamento assistita in coppia è stata rivista, il cambio compattato e ruotato come hanno insegnato i giapponesi. 

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Niente semiattive, ma tutto il resto è di serie

La ciclistica prevede ancora un telaio in alluminio fuso con piega superiore, ma è tutto nuovo nella geometria e più leggero. Confermato il forcellone monobraccio, che su tutte le Triumph RS lavora con sospensioni al top: forcella Öhlins NIX 30 e mono TTX36, gli stessi di Aprilia e Ducati ma senza gestione elettronica. Al top anche i freni con pinze Brembo Stylema sui dischi da 320 mm e leve regolabili MCS. Quanto all’ergonomia, la moto è più snella sia di serbatoio che di sella e ha un manubrio più largo di 13 mm rispetto al classico manubrio un po’ strettino delle Speed. Anche le pedane sono più strette, per aumentare la luce a terra senza compromettere il comfort.

Lato elettronica, la Speed RS ha tutto quello che le ultime Triumph offrono, e cioè tanto: siamo al livello delle migliori, con piattaforma inerziale a 6 assi, ABS e traction cornering, wheelie control. Cinque i riding mode, che prevedono anche una modalità track. La gestione è affidata a un pannello TFT da 5” e a pulsantiere sul manubrio ben congegnate e retroilluminate. Di serie ci sono anche il quickshifter e il sistema keyless.

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Charme inglese

Una volta la Speed Triple era la moto più maschia e muscolosa; vicina a Ducati e KTM, ora sembra sobria: meno hooligan e più upper class. Fra le più piacevoli su strada, ha come sempre un gran bel motore: scalda e vibra un po’ ma gli si perdona tutto per la disponibilità a girare in qualunque marcia. È sempre una bella via di mezzo, anche se con cilindrate ormai tutte oltre i 1.000 non ha quella marcia in più che ha tra le medie: i quattro in linea sono più fluidi e i V4 hanno più personalità. 

La Speed resta comunque godibilissima, dolce anche ai bassi e mai feroce. Quando si spalanca il gas ha un momento di esitazione (che scompare in mappa Sport) e come la BMW e la KTM non fa sentire la sua potenza finché non si cerca la zona alta del contagiri. Rispetto alle Triumph “big block” che conosciamo da anni è molto più leggera e agile – lo senti subito nei cambi di direzione – e non mostra sensibilità di avantreno nonostante l’assenza di ammortizzatore di sterzo, segno che le quote telaistiche sono ben scelte. Peccato per le sospensioni un po’ dure nell’uso stradale e per la trasmissione che rimanda qualche colpo nel chiudi/apri. 

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una volta era la moto più maschia e muscolosa di tutte: ora la speed triple sembra quasi sobria, ma resta impertinente nell'animo e divertente da guidare

Fun bike, non race replica

Questa moto non è mai stata una pistaiola pura, ma piuttosto una fun bike; ha comunque fatto grossi passi avanti anche fra i cordoli, dove la ciclistica si conferma ben bilanciata e l’elettronica... su misura di strada: taglia sempre tanto se non si mette la mappa Track. In questo caso tutto funziona meglio, anche percé il triple sta anche qui in mezzo tra la brutalità del twin KTM e l’allungo dei quattro, il che lo rende piuttosto semplice da gestire. Non spinge come le altre ma è molto svelta, forse addirittura la più agile del gruppo nei cambi di direzione, e ci puoi andar forte senza fatica.

 

LE PRESTAZIONI

Velocità

 
  A 1.500 m

241,6 km/h (27,6 s)

Accelerazione

  0-400 m

11,0 s (218,3 km/h)

  0-1.000 m

20,1 s (242,2 km/h)

  0-90 km/h

3,3 s (39,1 m)

  0-130 km/h

4,9 s (87,9 m)

Prova sorpasso

  80-130 km/h

4,1 s (118,8 m)

Frenata

  130-80 km/h

2,3 s (77,2 m)

  50-0 km/h

2,5 s (25,7 m)

Consumo

  Urbano

non rilevato

  Extraurbano

17,6 km/l

  Autostrada

18,1 km/l

Peso

  In ordine di marcia
  e serbatoio pieno


199,6 kg

  In ordine di marcia
  e 5 litri di carburante


191,8 kg

Distribuzione masse
  senza conducente

52/48
  con conducente 47/53

 
 
IL RADAR

La Triumph Speed Triple RS torna ai livelli più alti in una categoria in cui la precedente versione aveva ormai accumulato un po’ di ritardo: più leggera e potente, mostra un progetto ben bilanciato come mostra il radar molto tondo. In pista è divertente, ma il meglio lo dà su strada.

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Le impressioni sulla pista di Vairano del pilota della Moto2 che ha fatto da ospite d'onore di questa edizione della comparativa hypernaked

Pista, palestra, Instagram e YouTube: Tommaso Marcon si divide fra la carriera da pilota – gare e allenamenti – e i suoi canali social, dove è uno degli sportivi italiani più seguiti nel mondo delle due ruote. Dopo essersi fatto le ossa nel CIV e nel CEV, nelle ultime stagioni ha corso in MotoE e in Moto2, quest’anno sulla MV Agusta F2 del team Forward Racing.

Ventun’anni, originario di Cittadella in provincia di Padova, Marcon è un tipo diretto con un sorriso contagioso. Lo abbiamo coinvolto nel nostro test in pista per una giornata rovente in tutti i sensi, che ha poi raccontato sui suoi canali social. A Vairano Tommaso ha percorso con ogni moto un warm-up e poi 5 giri, di cui 2 lanciati in “time attack”. La procedura è stata ripetuta due volte, con le versatili Pirelli Diablo Rosso IV e con le più specialistiche Diablo Supercorsa SP; in questo caso manca Triumph, fermata da un contrattempo dell’ultimo minuto durante il montaggio delle Supercorsa. Oltre a dare davvero tantissimo gas (potete vederlo dal video su YouTube), Tommy ha ricavato delle impressioni “da pilota” su tutte le moto, che riportiamo qui di seguito.

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Aprilia “Una moto ciclisticamente stupenda, che per esprimersi appieno ha bisogno di piste larghe e veloci, da Mondiale. In uscita di curva ha avuto dei pompaggi che non mi aspettavo, specie con le Diablo Rosso IV; ma la ciclistica è sana e infatti ho girato ‘scarico’ di elettronica. Non è potentissima ma frena molto bene, è la migliore in inserimento e la più immediata nel feeling insieme alla BMW”.

BMW “Tanta roba, mi ha fatto divertire come un matto. Certo rispetto a motori come Ducati o Kawasaki va piano, ma ha una gran ciclistica. Trovo che le moto con il classico perimetrale in alluminio siano le più efficaci in pista, e comunque le più facili da interpretare. Qui in più c’è un’armonia con motore e trasmissione che la rende la migliore a centro curva, ha quel bellissimo momento in cui riprendi il mano in gas e ti mette completamente a tuo agio, compostissima. Ed è quella che dà il feeling più immediato”.

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Ducati “Nel warm-up non mi aveva impressionato, se non per la potenza: mi sembrava un po’ un motore con le ruote. Quando però ho iniziato a farla lavorare, mi ha davvero stupito. Va veramente bene, sfrutta benissimo le gomme e più vai forte meglio lei funziona, anche in frenata dove fa paura. Mi ha fatto divertire molto ma non è la più comunicativa, il feeling ha tardato a venire”.

Kawasaki “Avrebbe un motore da pista, ma ciclisticamente è la meno pistaiola. Guidata rotonda funziona bene e in mano a un amatore non avrebbe problemi anche in pista, ma se guidi da pilota tocca presto e il suo limite nei tempi arriva da lì. Anche l’elettronica è a misura di strada: l’anti-wheeling entra tanto ma tardi, e lascia scomporre l’avantreno”.

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KTM “Con tutta quella coppia di sicuro fa paura tra i tornanti, ma in pista nel complesso è meno redditizia quando vuoi andare al limite. Il telaio non è il più preciso, mentre mi sono piaciute le WP tradizionali, che hanno comunque un feeling diretto, senza filtri tra te e la ruota e sono più facili da interpretare”.

Triumph “Bello il rumore che fa, mi ricorda la mia Moto2! Un bel compromesso tra pista e strada, molto equilibrata di ciclistica; anche lei va benissimo per divertirsi e pochi amatori arriveranno al suo limite, ma se si tratta di andare forte fra i cordoli ovviamente le derivate da moto Superbike fanno un altro mestiere”.

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