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Suzuki RG 250 Gamma: dove tutto ebbe inizio

di Leslie Scazzola, foto di Marco Zamponi il 15/07/2015 in Moto & Scooter

Fu tra le prime vere repliche stradali delle duemmezzo da GP, con telaio in alluminio e motore bicilindrico a due tempi, cattivo e ancor oggi sorprendente. La guida riporta indietro nel tempo, a emozioni e sensazioni quasi dimenticate

Suzuki RG 250 Gamma: dove tutto ebbe inizio
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Dici “Suzuki RG" e non hai bisogno di altro. Tutto è chiaro, limpido nella memoria come fosse successo ieri: ripensi alle epiche battaglie nel Motomondiale, al suono metallico e cristallino del due tempi capace di farsi spazio tra i ricordi più nascosti, pronto a riaffacciarsi ogniqualvolta - ed è sempre più raro - lo senti anche solo da lontano. Era il 1983, e la Suzuki presentò la sua "duemmezzo". Una moto destinata a fare scuola tra le piccole cilindrate e per questo in grado ancora oggi di rappresentare un vero must per gli appassionati di tutte le età. Motore bicilindrico parallelo frontemarcia capace di 45 CV a 9.500 giri, telaio in alluminio a doppia culla, doppio freno a disco anteriore e appena 130 kg di peso a secco dichiarato. Gli ingredienti per ottenere una vera GP c'erano tutti, compresa una carenatura che richiamava le moto del Mondiale.
La Suzuki RG250 Gamma oggetto del nostro servizio è del 1987: si tratta della serie MK3 (le prime due versioni, datate 1983 e 1985, si riconoscono per una semicarena che lascia scoperto il motore), importata anche in Italia. Della dotazione tecnica di base abbiamo detto, ma non è tutto; la RG era equipaggiata anche con una forcella telescopica dotata di "antidive", sistema idraulico che limitava l'affondamento in frenata, ma che già alla fine degli Anni 80 venne abbandonato da tutti i costruttori.

Tra le caratteristiche salienti di questa moto spiccano ancora oggi le valvole di scarico elettroniche AEC (Automatic Exhaust Control), capaci di "riempire" il motore ai bassi regimi fornendo una migliore erogazione senza compromettere le prestazioni agli alti. La soluzione delle valvole allo scarico, importata dalle corse e già adottata dalla Yamaha RD 350 (altra belva a due tempi di quell'epoca) fu un passo in avanti importante nella tecnica dei motori a 2T, tanto da essere utilizzata da tutti i costruttori impegnati in questo campo. Il suono delle valvole di scarico che eseguono il check quando si ruota la chiave in posizione "on".

Leva di avviamento. Un colpo leggero e il bicilindrico si avvia, con una pulsazione zoppicante e una nube azzurrognola che ci avvolge ad ogni sgasata. Chiuso il comando dell'aria, necessaria per l'avviamento a freddo, il funzionamento si perfeziona sulle note di una sonorità dimenticata: e non è solo il sound a colpire, così come non è esclusivamente la fumata che fuoriesce dai silenziatori a sorprendere. C'è anche il profumo dell'olio sintetico che entra nelle narici, la fragranza densa e acidula che avvolge anche quando la moto è ferma.

Ci sono le vibrazioni, sempre presenti ma mai eccessive, che accompagnano ogni scalata, che sembrano studiate apposta per restituire la sensazione di essere in sella a un vero bolide da pista. L'amalgama di queste "vibrazioni emotive", oggi dimenticate, riporta indietro nel tempo, ai diciottenni che potevano guidare "solo" moto fino a 350 cc e che salivano su questi missili dal rumore gorgogliante magari per andare a scuola. Ma c'erano anche motociclisti scafati che al posto delle grosse e pesanti 4T sceglievano le 2T quasi fosse uno stile di vita, infischiandosene del maggiore consumo di carburante, dell'inquinamento e delle maldicenze relative all'affidabilità. Gli stessi che gioivano della maneggevolezza e dell'erogazione da GP.

Il motore della Suzuki RG 250 trotta con regolarità a ogni regime, anche se il contagiri parte da 3.000 giri. La progressione è buona, ma non certo esaltante, almeno finché la lancetta non sale a quota 7.000: le valvole aprono, il bicilindrico "entra in coppia" e dà il calcio nel sedere, come si diceva allora. Lascia da parte ogni velleità turistica per prodursi in un allungo vigoroso, con la lancetta del contagiri che schizza oltre 10.000, per poi esaurire la sua verve un attimo dopo. Bello, anzi, entusiasmante, così come la scarica di adrenalina che regala l'urlo proveniente dai silenziatori di scarico, che d'improvviso si fa invadente e minaccioso. Il cambio a sei marce è preciso negli innesti (anche se la leva ha una corsa piuttosto lunga) e permette di sfruttare bene la limitata erogazione utile.

Le difficoltà maggiori provengono dalla posizione in sella, con i manubri alti e vicini al piano seduta. Le pedane sono estremamente avanzate rispetto agli standard di oggi. Sembra una turistica la Suzuki RG 250 Gamma, se confrontata a una sportiva di oggi: comoda, ospitale e lontana dalle prestazioni della produzione attuale. Il bello però di possedere una moto così è proprio nella sua originalità meccanica e nel fascino senza tempo: con pneumatici di sezione ridotta e una frenata appena discreta, è difficile oggi pensare a un impiego mirato al divertimento tra le curve. E invece la Gamma divertiva e diverte.

Agile, agilissima: la piccola Suzuki entra in curva davvero col pensiero, ma in compenso appare ballerina e non troppo precisa in traiettoria, mettendo in mostra qualche ondeggiamento sul veloce che se all'epoca veniva circoscritto alla voce "reattività della ciclistica", ora appare quantomeno anacronistico. In accelerazione sullo sconnesso "sbacchetta" imprecisa col manubrio, ma lo facevano tutte...

Chi oggi compra una moto così lo fa per sfizio, per possedere un oggetto dal gusto forte. La Suzuki RG250 Gamma oggi è un oggetto di culto: portatela davanti al vostro abituale ritrovo di appassionati e capirete immediatamente il perché.

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Suzuki RG 250 Gamma: dove tutto ebbe inizio
L'ultima versione della Suzuki RGV Gamma 250

di Andrea Padovani

La Suzuki RG 250 Gamma, siglata MK1, è stata presentata nel 1983, un anno prima della quattro cilindri da 500 cc. Questa prima versione veniva offerta solamente con la mezza carenatura e venne sostituita tre anni dopo dalla MK2, che sfoggiava un "vestito" integrale (offerto come optional) e una ciclistica rivista nelle quote.

La moto del nostro test (del 1987) è in buone condizioni generali, con circa 25.000 km all'attivo ed è in vendita a 3.600 euro. La cifra richiesta per una moto così è dettata dall'ormai scarsa reperibilità sul mercato e dalla difficoltà di trovarla originale. Alla fine del 1987 arrivò il modello RGV: l'estetica riprendeva quella della versione "RG", ma il motore era un più moderno V2 invece di quello frontemarcia delle versioni precedenti.

La rivoluzione si completerà l'anno successivo con un'estetica nuova e una ciclistica ispirata a quella delle "duemmezzo" GP. La RGV 250 Gamma prodotta tra il 1988 e il 1990 adotta, infatti, un più dimensionato telaio a doppio trave in alluminio.
Nel 1991 viene presentata l'ulteriore evoluzione (foto 4), ancor più leggera e potente: si riconosce dall'andamento delle espansioni di scarico, che escono entrambe sul lato destro della moto, e dal forcellone, definito a "banana" per il caratteristico andamento del braccio destro. Lo step successivo arriva nel 1993: la V del ropulsore passa da 90° (di tutte le versioni precedenti) a 70°, viene rivista la spaziatura del cambio e il forcellone abbandona l'andamento curvilineo. L'ultima release della RGV 250 Gamma arriva nel 1996 ed è proposta anche nella versione SP: supera i 60 CV di potenza massima per un peso dichiarato di 139 kg.

Una curiosità: nel 1986 la Gamma venne approntata anche in una versione speciale dedicata al team di Formula 1 Walter Wolf Racing, di proprietà dell'omonimo magnate del petrolio. Veste grafica a parte, la RG250 Walter Wolf era identica al modello di serie, con la sola differenza del guscio coprisella del passeggero offerto di serie. Questo modello, destinato al mercato americano, non arrivò mai in Italia.

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