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Italjet Dragster 700 Twin: più di uno scooter, un sogno a occhi aperti +VIDEO

Federico  Garbin
Federico Garbin il 18/09/2025 in Prove della redazione
Italjet Dragster 700 Twin: più di uno scooter, un sogno a occhi aperti +VIDEO
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Dal viaggio intorno al mondo con la Ducati 175 alla nascita di Italjet, dalle mini moto al rivoluzionario Dragster 700 Twin: una storia fatta di visione, passione e sfide impossibili, raccontata attraverso il ricordo personale di chi ha vissuto questa avventura da vicino

Italjet Dragster 700 Twin: più di uno scooter, un sogno a occhi aperti +VIDEO

Parlarvi del Dragster 700 Twin senza citare o ripercorrere, almeno in parte, il percorso professionale (che si intreccia con una vita fantastica) di Leopoldo Tartarini, significherebbe lasciare un vuoto in una storia meravigliosa. Sì, perché Leopoldo è stata una figura davvero romantica nel mondo delle moto, un uomo che – come lui stesso mi disse molti anni fa – ha sempre inseguito più il consenso che non il denaro, più un’idea che non il calcolo matematico. I modelli esposti nella sala che ha accolto la presentazione stampa del nuovo Dragster ne erano, anzi sono, un esempio lampante. 

 

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Il viaggio inizia con un ostacolo

La storia professionale di Leopoldo, se volete, inizia con un incidente che gli impedì di ottenere la licenza da pilota. Questo dopo una carriera che era appena iniziata, ma che già vantava due importanti vittorie: una Milano–Taranto e un Motogiro

Tartarini non si perse d’animo e, in accordo con i vertici Ducati, decise di intraprendere un viaggio intorno al mondo. Era il 1957, la moto era una Ducati 175, e il suo compagno di viaggio era l’amico Giorgio Monetti, assodato in piazza a Bologna, dove i ragazzi della compagnia di Leopoldo usavano incontrarsi. Questo viaggio eroico, avventuroso, talvolta tragico – almeno nei panorami visti – ha lasciato un segno nel cuore di quest’uomo. E soprattutto la volontà di fare qualcosa per sé. Leopoldo, all’epoca, era concessionario Ducati, ma questo non gli bastava.

 

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Guardare a Est, prima di tutti

Guardò lontano, a Est (come si fa ora), e decise di contattare la MZ per iniziare a costruire moto dotate di questi motori che all’epoca erano particolarmente vincenti. Dovete considerare che allora la MZ si trovava nella parte più inaccessibile dell’Europa (Germania dell'Est, infatti MZ è l'acronimo di Motorradwerk Zschopau), oltre la Cortina di ferro che aveva diviso in due il vecchio continente, con il fulcro sulla Germania e sulla città di Berlino. L’approvvigionamento dei motori era di per sé un’impresa, ma anche in questo caso Tartarini non si perse d’animo e – mi raccontò – con i motori nel bagagliaio della sua Lancia Appia, si fermava prima della dogana per smontarli completamente e passare il confine con solo “pezzi di ricambio”. Ital­emmezeta, non “Ital MZ”, è il nome corretto: Ital­emmezeta fu la denominazione che nasceva da quel rapporto con la MZ e qualcosa di quella che sarebbe stata una storia incredibile iniziava già a germogliare.

 

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L’epoca delle maxi e delle mini

Tartarini entrò anche nel mondo delle maxi moto, agli albori di questo segmento, con la Grifon 650, motorizzata Triumph. Anche qui, una storia da raccontare, perché la sua moto era bella, era prestazionale, e attirò le invidie di altri costruttori italiani. Osteggiarono in tutti i modi l’omologazione di questo veicolo. Leopoldo ce la fece, come riuscì ad aprire il mondo delle mini moto, grazie al riverbero di un ricordo: quella due ruote in miniatura che suo padre gli costruì e da cui nacque tutto. Anche questo fu un successo, perché arrivò per primo, perché venne aiutato nella distribuzione da Clymer, l’editore di tutti i manuali d’uso e manutenzione di moto di tutto il mondo, e perché trovò nell’appoggio della Franco Morini Motori la possibilità di produrre in scala quello che inizialmente era stato quasi un gioco: la costruzione di tre mini moto dedicate ai suoi figli, per giocare in giardino.

 

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I progetti speciali e l’intesa con Yamaha

Questo successo attirò anche l’attenzione di Yamaha, che stava già intessendo con Leopoldo fruttuosi rapporti commerciali, come ad esempio la Bucaneer 125 con motore bicilindrico. A continuare a percorrere la storia professionale di questo appassionato bolognese, imprenditore per caso, avventuriero, inventore, provocatore, si scoprono tanti altri, incredibili, successi o pietre familiari. Ne cito ancora qualcuna, perché – come immagino abbiate già capito – la storia della Italjet ha una grande fascinazione per me, perché ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Leopoldo, e perché fu lui stesso a raccontarmela con una passione, una fiducia, un’eleganza, e un trasporto che solo chi ha vissuto veramente, in prima persona, queste emozioni può trasmettere. Questi oggetti che voglio menzionare sono: il Pack 3 del 1979, uno scooter in miniatura costruito in buona parte in materiale gommoso, che venne esposto anche al MoMA di New York; il progetto (poi brevettato) di un tre ruote basculante che si chiamava Scoop (e che non è stato mai prodotto); o la moto da trial che valse alla Italjet un titolo mondiale sfiorato, anche in questo caso osteggiato dalla concorrenza.

 

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Dagli anni difficili al boom degli scooter

Nel 1982 Italjet passò in amministrazione controllata: erano anni in cui il mondo della moto non aveva ancora preso una direzione chiara, in cui al Salone di Milano si potevano sentire distintamente i passi di chi camminava, in cui le case giapponesi iniziavano a dettare legge con modelli iconici che diedero il “la” a storie incredibili… Negli anni ’90 ci fu il boom degli scooter, boom che la Italjet e Leopoldo non si fecero scappare. Nacquero in questo decennio alcuni degli scooter più famosi e apprezzati del panorama. A Bologna, in Italia, questo movimento era un po’ il fulcro stilistico, con Malaguti e proprio con Italjet. In questo periodo possiamo ricordare lo Velocifero, il Formula 50, e proprio lui, il primo Dragster.

 

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Formula 50: la storia e un ricordo

Voglio spendere due parole sul Formula 50, perché è stato il mio primo mezzo a motore, e perché introdusse in questo segmento delle soluzioni tecniche incredibili. Su tutto, il monobraccio anteriore, che si era già visto sulla Honda Elf da competizione, che ebbe un limitato successo, sulla Yamaha GTS 1000, che ebbe poche attenzioni, e sul Malaguti Fifty Evolution (!!!), e che Leopoldo seppe interpretare in una forma diversa. Lo scooter era rigidissimo perché il monobraccio non era ammortizzato, ma la funzione elastica era affidata a una barra di torsione. Allo stesso tempo era efficace nella guida, anche se – in termini motoristici – pagava il dazio rispetto alla concorrenza motorizzata Minarelli, soprattutto nella versione raffreddata a liquido. Un giorno d’agosto, il Formula 50 raddoppiò: nella cilindrata e nel numero dei cilindri. Leopoldo decise di unire due motori e creare il primo scooter bicilindrico a due tempi, dopo il Rumi Formichino. Anche in questo caso chiamò la Franco Morini, e venne allestito il prototipo. Come mi disse lo stesso Tartarini: “Non andava forte, ma cantava come una sirena.” Era così. Posso dirvelo da possessore anche di questo modello.

 

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Il ritorno del Dragster: oggi

Facciamo ora un salto a piè pari nei primi anni 2000, che furono più che altro periodi in cui Leopoldo mise il suo genio e la sua inventiva sui piatti altrui. E arriviamo a oggi. Sì, perché quello che ho provato oggi è il Dragster 700 Twin, che arriva dopo il 125 e il 300, e che ridefinisce – e amplia – la parola scooter.L’intreccio con il mondo delle moto è più che evidente nelle soluzioni tecniche, ma vorrei che sorvolaste con me (almeno per ora) su quello che questo scooter è, per addentrarci in un’essenza diversa: quello che questo scooter rappresenta.

Ed è per questo che vi ho raccontato questa storia: se guardate il Dragster con gli occhi di chi, almeno in parte, conosce un po’ questa incredibile storia, scoprirete che ogni soluzione, ogni dettaglio, ogni stranezza è frutto (o almeno può essere giustificata) con la storia di un’azienda che ha sempre voluto dire qualcosa di nuovo. E non importa se molti di voi, leggendo, non si troveranno d’accordo con le soluzioni adottate su questo scooter.Ritorniamo indietro di qualche riga, riprendiamo le testuali parole di Leopoldo: “Ho sempre cercato il consenso più che il successo.” E allo stesso modo cerchiamo di uscire dai confini nazionali: Italjet è un brand italiano che ha enorme successo nel mondo, anche in quell’Est che è diventato oggi estremo, che va ben oltre quella Cortina che abbiamo conosciuto sui libri di storia.

 

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Come va? Come un sogno d’infanzia

Come va questo Dragster 700 bicilindrico? Beh, ho fatto qualche giro sul circuito di Imola, ma devo dirvi la verità: un filo di commozione sgorgava dagli occhi, lambiva il mio sorriso. Nella storia di Italjet, in quel marchio riportato sulla piastra di sterzo, c’è il motivo per cui sono qui ora a fare ciò. C’è una passione che non si è mai sopita, c’è la volontà di inseguire una velocità che il mio Formula 50 non mi ha mai regalato a sufficienza. Una velocità che inseguivo adottando soluzioni fattibili, come quando – rubando il tubo di scarico della lavatrice di casa di mio nonno – pensai che avrei potuto guadagnare qualcosa dotando il mio scooter di una presa d’aria dinamica. O come quando andavo in giro aspirando da un lunghissimo tubo collegato al carburatore da 19 (rubato a un SWM) per creare la depressione necessaria ad aprire il rubinetto della benzina.

E allora io, di questo Dragster 700 Twin, non posso darvi un giudizio imparziale: lo trovo bellissimo, nelle sue linee arzigogolate che caricano il frontale, nelle soluzioni tecniche che miscelano con sapienza e buon gusto il mondo della moto a quello dello scooter. In questo motore, che finalmente mi regala (almeno su questi rettilinei) quella velocità che tanto caparbiamente ho cercato, 25 anni fa. Oppure in questo cambio a sei marce, che non ha nulla a che fare col mondo degli scooter, e che rende questo mezzo un oggetto più bello che utile, ma che mi permette – allo stesso tempo – di decidere quando fermare quell’urlo che si alza dai due scarichi Akrapovič posizionati proprio sotto il mio sedere.

E in questa ciclistica c’è ancora quella rigidità e quella precisione che già conoscevo e che ancora ricordo. Una frenata che mi fa affrontare con serenità le curve di un tracciato che non ricordo a sufficienza. 

Vorrei altro? Sì: che tutto questo durasse un po’ di più. E 14.000 euro da spendere, senza dover rendere conto a nessuno, se non a quel me stesso che non è cambiato, ancora. Ciao Leopoldo. E grazie.

 

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