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125 story: piccoli miti del passato

di Leslie Scazzola, foto di Marco Zamponi il 17/12/2015 in Moto & Scooter

Profumavano di gare e correvano come il vento erano le 125 sportive degli Anni 80 e 90. In sella a una di loro, un sedicenne si sentiva pilota e aveva nel polso un ordigno da... 170 km/h. Se non ve le ricordate, preparatevi a tornare indietro nel tempo e a scoprire le 125 di Aprilia, Gilera, Cagiva, Honda e Yamaha

125 story: piccoli miti del passato
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Erano piccole, ma solo nella cilindrata. Il tintinnio dello scarico e il fumo azzurro proveniente dalle voluminose espansioni erano, sono e resteranno una leggenda per chi ha vissuto questa affascinante era motociclistica. Le 125 sportive degli Anni 80 e 90 hanno segnato un'epoca: erano ammirate dagli occhi luccicanti dei sedicenni di allora (oggi 40enni o giù di lì) e apprezzate anche dai motociclisti più esperti. Toccavano i 170 km/h e nel misto seminavano modelli di cilindrate ben superiori. Erano moto "adulte", spinte da propulsori a due tempi talmente sofisticati da rappresentare ancor oggi lo stato dell'arte.

L'erogazione appuntita dei loro monocilindrici e le ciclistiche (rigide come cassapanche) le rendevano difficili da sfruttare e scomode per il tragitto casa-scuola. Però ti facevano sentire un dio in terra ogni qual volta infilavi la prima e schizzavi via al semaforo. Sembra storia remota, e per certi versi lo è. In realtà, ancora oggi quelle moto rappresentano delle pietre miliari, soprattutto se paragonate alle 125 attuali, castrate dalla normativa sulle patenti. Entrata in vigore nel 1996, la nuova regolamentazione prevedeva (e prevede) per i possessori di patente A1 un limite di 15 CV (11 kW) di potenza massima.

I sedicenni si ritrovarono così tra le mani delle 125 con la metà dei cavalli. La normativa era stata approvata già nel 1994 e quindi da allora le Case avevano iniziato a tirare i remi in barca. Che senso avrebbe avuto lo sviluppo? Era finita un'epoca irripetibile.

Una selezione difficile

Grazie alla disponibilità di alcuni amici che ci hanno messo a disposizione le loro moto conservate (o restaurate) con maniacale puntiglio e alla collaborazione del forum www.moto125.org, ne abbiamo portate in pista sei. Non sono contemporanee tra loro. C'è una Gilera KZ del 1986 contro una Honda NSR 125 R del 1993. In mezzo, una Gilera SP 01 (1989), un'Aprilia AF1 Replica (1989), una Yamaha TZR 125 R (1991) una Cagiva Mito (1992). 
La nostra selezione è trasversale, nel senso che abbraccia tutto quel decennio incredibile tra metà Anni 80 e metà Anni 90. Ognuna ha un buon motivo per essere stata scelta e vi spiegheremo il perché.
Non pretendiamo di esaurire l'argomento in queste pagine, vogliamo solo accendere i riflettori su quel mondo che non c'è piùucciso dalla legislazione, dai costi e anche dal buon senso. Il tutto per una nostalgica comparativa che ha lo scopo di far scendere una lacrimuccia a chi ragazzino non è più, ma anche per far capire ai più giovani dove affondano le radici della nostra passione.

Inizia un'epoca

Mezzi manubri e cupolini avevano già iniziato a spuntare sulle 125 sportive dei primi Anni 80, ma convivevano ancora con lunghi scarichi e ammortizzatori in coppia. Poi successe qualcosa. Sulla base dell'età anagrafica e dei gusti personali, ognuno di noi identifica un modello particolare quale reale capostipite della categoria di quelle 125 che segnarono un decennio di fuoco.
Per alcuni è la Honda NS 125 F in vendita dal 1985, con monoammortizzatore, telaio in tubi quadri, espansione con silenziatore racing e valvola parzializzatrice allo scarico. Per altri è la Gilera KZ 125 lanciata nel 1985 tra lo stupore generale: i suoi 26 CV e il design accattivante sviluppato dalla matita di Luciano Marabese procurarono notti insonni ai giovanissimi (e ai loro genitori), aprendo la strada a una evoluzione tecnica destinata a diventare leggenda.
All'epoca c'erano in giro le Cagiva Aletta Oro, le Aprilia ST (poi AS 125R) e la bicilindrica Malanca OB One tanto per fare degli esempi, ma la KZ rappresentò un tale elemento di rottura che da quel momento partì definitivamente la guerra alle prestazioni, capace di cancellare in un sol colpo freni a tamburo e soluzioni tecniche meno estreme in favore delle massime prestazioni.

Per questo l'abbiamo scelta come capostipite del fenomeno (e del nostro test). A quel punto, le aziende misero subito mano ai loro progetti: erano gli anni della Cagiva Freccia C9 e della sua carenatura integrale (indimenticabile il parafango anteriore avvolgente) e, nel 1988, delle prime Honda NSR 125 F (senza carenatura) e R (carenata), con telaio in alluminio e valvola di scarico elettronica. Un ruolo fondamentale nel settore lo recitò Aprilia, che con la sua Sintesi (1988) riuscì ad unire le eccellenti prestazioni del motore Rotax V 127 a una ciclistica estremamente raffinata: telaio in alluminio, forcella a steli rovesciati e impianto frenante da vera moto da corsa.

Nella storia delle 125 sportive però spetta ancora a Gilera sparigliare le carte: con la SP 01 (1989) la Casa di Arcorepropone infatti una vera moto da competizione con targa e fari, con prestazioni da riferimento e soprattutto un design ripreso dalle moto da GP dell'epoca. La SP 01 aveva manubri spioventi, carenatura che lasciava in vista il telaio a doppio trave in acciaio e che possedeva un'essenzialità di forme lontana anni luce dalle sovrastrutture integrali viste fino ad allora. Questa Gilera segnò un nuovo standard per la categoria, diventando il punto di riferimento grazie anche ai 30 CV promessi dal rinnovato propulsore. Una moto estrema, nata per colpire al cuore gli appassionati e pronta a scendere in pista, con poche concessioni all'impiego di tutti i giorni.

Fu guerra totale: le Case impegnate nel settore (praticamente tutte) proseguirono l'aggiornamento dei loro progetti arrivando a commercializzare, con le sigle SP, modelli sviluppati per le gare Sport Production che, diciamolo chiaramente, nessuna affinità avevano con l'impiego casa-scuola. In quel campionato italiano, una sorta di SBK delle 125, le Case spesero budget faraonici. In teoria si correva con moto derivate dalla serie, ma il successo in pista garantiva anche quello sul mercato. Vennero commercializzate serie limitate ancora più estreme, per soddisfare la fiche d'omologazione racing. E nella Sport Production correva "il figlio di Graziano Rossi". Un certo Valentino.

Aprilia, dopo la AF1 Replica del 1989 che aveva i colori della 250 ufficiale di Loris Reggiani, e dopo la AF1 Futura del 1990, realizzò la ancor più estrema versione SportPro. Cagiva, fresca di presentazione della sua C12 con cambio a sette marce (!), scese in pista con la versione SP vestita con i colori Lucky Explorer e dotata di un enorme carburatore da 37 mm. Honda non fu da meno e nel 1991 presentò la NSR 125R SP, che nella rincorsa al contenimento del peso arrivò a sacrificare il "bottoncino" per l'avviamento a pedale.

Intanto, nel 1990, era arrivato un altro modello destinato a fare storia: Cagiva aveva presentato la Mito, una moto concettualmente nuova, che della precedente Freccia C12 conservava solo l'evoluto propulsore. Splendidi il telaio in alluminio, la carenatura integrale (ma in un primo momento la moto venne presentata in versione naked) e il design, mutuato dalle 500 GP varesine impegnate nel Mondiale. Gli ingredienti c'erano tutti e il successo fu immediato, grazie anche a soluzioni tecniche decisamente avanti coi tempi. Un esempio? Telaio e forcellone della Mito attuale sono gli stessi di allora… Erano gli inizi degli Anni 90 e il settore delle 125 sportive era un fiume in piena: circolare in sella a una Aprilia AF1, Cagiva Mito, Gilera SP 01 o a una Honda NSR per un giovane motociclista voleva dire essere figo a prescindere, con buona pace di quanti non riuscivano a corrompere i genitori per l'acquisto. 

L'impegno economico era in effetti notevole, considerando i prezzi lievitati già oltre i 6.000.000 di lire. In quegli anni non c'erano l'IPad o lo Smartphone, e in realtà nemmeno il cellulare. Le attenzioni dei sedicenni erano tutte dedicate alle moto che erano percepite, oltre che come mezzo per affermare la propria libertà, anche come "status symbol", come si diceva allora.
Esclusi i piloti che le usavano per quel che erano nate, cioè correre in pista, i più semplicemente le sfoggiavano: contavano i cavalli e i km/h rilevati dalle riviste dell'epoca, mostrati con orgoglio durante le discussioni tra amici. E per quanto ai sedicenni fosse vietato trasportare il passeggero, gli scomodissimi sellini posteriori ospitarono fidanzate e amici.
Nel 1991 si schierò anche Yamaha, con la TZR 125 R. La moto venne sviluppata dalla sede italiana (allora si chiamava Belgarda). Prestazioni al top e un design da moto "adulta" ne decretarono un buon successo, seguito a ruota da quello della Aprilia RS Extrema (anno 1992) che si proponeva con una ciclistica completamente nuova e un motore da 35 CV, ennesimo record di categoria. Anche Suzuki scese in campo con la sua 125 RG Gamma, dall'innegabile family feeling con la vendutissima RGV 250. Non ebbe successo, a causa di scelte tecniche meno estreme per il motore e per la ciclistica, con telaio a doppio trave in acciaio.

Honda fu l'unica a non estremizzare la ricerca delle prestazioni, esasperate solo nella specialistica NSR 125 SP. Le versioni della NSR non espressamente dedicate alle corse brillavano più che altro per la trattabilità del propulsore in funzione dell'impiego stradale. L'ultima evoluzione del progetto, datata 1992, fu la Raiden, caratterizzata da un telaio in alluminio a "zeta" accomunato al precedente dalla tecnologia costruttiva Alcast. Le due travi principali pressofuse erano unite tra loro con bulloni invece che con le classiche saldature. Di lì a breve fu la volta della nuova NSR 125 R carenata, dotata di un propulsore meno prestante rispetto alla concorrenza (30 CV la potenza massima dichiarata) ma più elastico e sfruttabile su strada.

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