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Un missile elettrico

di Alan Cathcart, foto di Kevin Wing il 13/10/2010 in Moto & Scooter

100 kW, accelerazione insuperabile, 2 ore di ricarica ogni 110-140 km. Queste le caratteristiche uniche della Mission One, ipersportiva a corrente alternata

Un missile elettrico
Come spesso accade quando si parla di iniziative dal nobile scopo, guidare una motocicletta elettrica su strada viene subito associato a cose come recarsi al lavoro in bicicletta o iniziare una dieta alimentare. Tutte attività attraverso le quali è possibile aiutare la salvaguardia del nostro pianeta, ma che sicuramente non sono particolarmente divertenti.
Questo perché tutte le "e-bikes" attualmente presenti sul mercato cercano di essere innanzitutto politicamente corrette, piuttosto che visceralmente emozionali, al di là del fatto di possedere o meno prestazioni e durata delle batterie adeguate. Il panorama dei mezzi a due ruote con emissioni zero sta comunque per cambiare e la frustrazione derivante dal fatto che saranno più lenti di quelli a carburante verrà in parte mitigata dal denaro che si risparmierà facendo a meno della benzina.
Con una velocità di poco superiore ai 100 Km/h e un'accelerazione pari a 20 secondi per coprire i 400 metri, la Brammo Inertia, o la Zero S, tanto per citare le due "e-bike" attualmente più performanti, hanno una caratterizzazione funzionale piuttosto che emozionante, mentre lo scooter Vectrix è senza dubbio un'alternativa interessante per l'uso quotidiano, dal momento che offre prestazioni analoghe, ma con l'aggiunta di una protezione e una praticità superiori, e senza contare l'ausilio della retromarcia per i parcheggi!
Guidare un veicolo elettrico, poi, risulta poco appetibile per chi è abituato a guidare moto supersportive, che, oltre ad andare veloci, aggiungono un emozionante sottofondo "musicale" da parte di aspirazione e scarico. Convincere questi motociclisti che un rumore ancora più entusiasmante è il cosiddetto "sound of silence", il silenzio assoluto, accompagnato giusto dall'attrito dei pneumatici e dal leggero rullio della catena di trasmissione, è una sorta di missione impossibile, perché stiamo comunque parlando di qualcosa di dignitoso dal punto di vista dinamico, ma poco eccitante.
Ecco dunque qual è l'obiettivo della californiana MM (Mission Motors, con sede a San Francisco), che nel maggio 2011 ha in programma la presentazione della prima supersportiva elettrica, la Mission One, venduta nella versione Premier Limited al prezzo di 68.995 dollari, tasse escluse. Un prodotto tutt'altro che a buon mercato, dunque, che crea più di un interrogativo sulle reali motivazioni che dovrebbero spingere un potenziale cliente a entrarne in possesso.
A suscitare il mio interesse nei confronti di questo modello è stato l'incontro con Jeremy Cleland sul lago salato di Bonneville lo scorso settembre, quando il pilota americano ha stabilito il nuovo record AMA di velocità per moto elettriche con oltre 240 Km/h in sella al prototipo di una moto stradale. Quello stesso mezzo che tre mesi prima (vale a dire dieci settimane dopo il suo primo test su strada) aveva concluso al quarto posto il TTXGP, sull'Isola di Man, per mano di Tom Montano, alla media di oltre 118 Km/h su un singolo giro di oltre 60 Km con partenza da fermo.
Sono dunque stato invitato dallo stesso Cleland presso la sede della MM per scoprire più da vicino com'è nata e, soprattutto, come va questa velocissima moto elettrica.
Un missile elettrico
La Mission One al TT
La baia di San Francisco rappresenta un'area molto interessante per quanto riguarda l'energia alternativa, visto che vi è un'alta concentrazione di aziende impegnate nel trasporto a emissioni zero, come la Tesla Electric di Palo Alto, produttrice di auto sportive, e la Zero Motorcycles di Santa Cruz, mentre la Mission Motors è situata a Dogpatch, quartiere storico di San Francisco, adesso noto come Mission District. E' lì che il presidente della MM, Edward West, e altri 15 dipendenti hanno dato vita, iniziando a lavorare circa un paio di anni fa, a quella che il grande libro dei record identifica come la moto elettrica stradale più veloce del mondo.
Rispetto alla record ottenuto a Bonneville, la veste estetica della moto è stata profondamente rivista del designer svizzero Yves Behar. Il risultato soddisfa certamente l'obiettivo iniziale, che era quello di "creare un prodotto completamente diverso da qualsiasi altra cosa presente sul mercato, con un look altrettanto distintivo.", ma è anche dinamicamente efficace, come ho avuto modo di scoprire in prima persona guidando la Mission One per un giorno intero, in tutte le condizioni possibili, dove questa supersportiva elettrica ha dimostrato di essere tranquillamente in grado di raggiungere e mantenere velocità superiori ai 160 Km/h.
Una volta arrivato a Stinson Beach con partenza da San Francisco, ho effettuato una sosta di 90 minuti per ricaricare le batterie, approfittando dell'ottimo ristorante Sand Dollar (www.stinsonbeachrestaurant.com), per poi tornare indietro attraverso la Silicon Valley, sede di Apple, Google, Oracle e Yahoo!. Durante tutto il tragitto sono stato accompagnato da Seth LaForge, software engineer della MM, a bordo della sua Ducati 916, a testimonianza del fatto che molti dipendenti della Mission Motors sono motociclisti praticanti.
Questo test ha confermato il fatto che la Mission One è effettivamente diversa da qualsiasi altra moto realizzata in precedenza. Essa rappresenta infatti un veicolo a emissioni zero (anche se in realtà l'inquinamento si trasferisce in questo caso alle centrali che forniscono l'energia elettrica necessaria per caricare le relative batterie) divertente da guidare e capace di doti dinamiche simili a quelle di una Yamaha R1, un'Aprilia RSV4 o una Ducati 1198, pur non avendo la stessa agilità e la stessa maneggevolezza dei modelli a benzina.
Si tratta, insomma, di una vera moto ad alte prestazioni. A differenza delle altre e-bike, tuttavia, la Mission One emette un rumore caratteristico che la rende interessante anche rispetto ai mezzi tradizionali. Un suono che sottolinea il modo in cui divora l'asfalto in accelerazione, verosimilmente paragonabile a quello di una supersportiva da 1000 cc.
"Il rumore della Mission One è il risultato di una combinazione di suoni relativi al motore stesso, alla trasmissione primaria e a quella finale a catena. – spiega Edward West - In particolare, quest'ultimo è senza dubbio il più importante, che il Vectrix con trasmissione finale a cinghia, ad esempio, non ha".
Un missile elettrico
Devo ammettere che le mie aspettative nei confronti delle e-bike non erano particolarmente alte, dopo che avevo provato la Agni-Suzuki vincitrice del TTXGP, nello stesso finesettimana in cui si è svolto il Mondiale Superbike sul circuito del Nurburgring, lo scorso autunno. Quest'ultima, infatti, si era dimostrata stupefacente in accelerazione, ma anche incerta dal punto di vista della maneggevolezza a causa del peso eccessivo, frutto di una ciclistica ex GSX-R750 e di una coppia di motori elettrici dell'indiana Agni alimentati da una serie di batterie posizionate lateralmente per non interferire con il telaio. Una soluzione poco raffinata, ma evidentemente efficace, a giudicare dalla vittoria di Rob Barber, anche se l'erogazione tutt'altro che perfetta della sua moto, sembra attribuire questo risultato alla bravura del pilota, piuttosto che alle doti del mezzo.
Di sicuro, alla luce del test di San Francisco, se mi avessero detto che ad aggiudicarsi il TTXGP era stata la Mission One ci avrei creduto e, anzi, avrei pensato che le competizioni avevano senz'altro giocato un ruolo fondamentale nel suo sviluppo.
La posizione di guida è infatti particolarmente sportiva, con la sella piuttosto alta e il busto proteso in avanti, a raggiungere i manubri ancorati alla forcella Öhlins racing con steli da 43 mm. Tutto questo, naturalmente, serve a trasferire peso sulla ruota anteriore, anche se un certo carico va a gravare sulle braccia e sulle spalle, pur trattandosi di uno sforzo sopportabile. All'occorrenza, poi, è possibile appoggiare la mentoniera del casco sul serbatoio (che poi è il contenitore della batteria) mentre si affrontano i tratti rettilinei ad alta velocità, approfittando dell'ottima protezione aerodinamica offerta dal cupolino. Quest'ultima risulta carente solo per quanto riguarda la zona delle spalle, mentre i manubri hanno il difetto di provocare lo schiacciamento dei pollici di chi guida durante le inversioni a U.
Per avviare la moto, bisogna prima attivare un interruttore che, per motivi di sicurezza, anziché essere dove di solito si trova la chiave di avviamento, è nascosto dietro a un pannello della carenatura, in basso a destra, dopo di che vanno premuti contemporaneamente quello di massa, montato su un'apposita flangia fissata alla piastra di sterzo superiore, e quello di avviamento, posto sul cruscotto insieme ad altri tre pulsanti che attivano rispettivamente la pompa dell'olio con cui viene raffreddato il motore, quella dell'acqua che refrigera il regolatore di velocità (altrimenti detto controller) e le ventole dei radiatori supplementari
. Il controller sviluppato dalla MM rappresenta uno degli elementi più importanti del progetto Mission One. In pratica, esso prende la tensione e la corrente fornite dalle batterie e crea un'onda trifase che alimenta i motori da 350 V a corrente alternata, capaci di una potenza massima pari a 100 kW.
Una volta posizionato l'interruttore di massa su off, dunque, si è pronti per andare, ma bisogna sempre ricordarsi che la trasmissione è in presa diretta, perciò non è possibile rimanere fermi senza intervenire sull'impianto frenante. A tal proposito, la leva sul manubrio di destra aziona quello anteriore, composto da due dischi Brembo da 310 mm su cui operano pinze ISR a sei pistoncini, mentre quella sul manubrio sinistro, non essendoci la frizione, aziona l'impianto posteriore con pinza ISR a due pistoncini. Non è invece presente alcun freno di stazionamento, perciò non è possibile allontanarsi dalla moto lasciando il motore acceso. Inoltre, per l'impianto posteriore, la MM avrebbe forse fatto meglio a impiegare un comando da azionare con il piede destro, come sulle moto tradizionali.
A questo punto, per partire basta ruotare leggermente la manopola destra, caratterizzata da un comando dell'acceleratore di tipo ride-by-wire (del resto, cos'altro poteva esserci su una motocicletta elettrica?). In tal caso l'accelerazione è estremamente fluida e progressiva, mentre intervenendo sul "gas" con decisione la ruota posteriore tende addirittura a derapare, perciò è sempre meglio mantenere la moto il più dritta possibile quando si fa sul serio... Inoltre, grazie al fatto che la coppia massima (pari a 156 Nm) risulta disponibile non appena il motore inizia a girare, la Mission One è in pratica la moto più facile da impennare al mondo, pur non disponendo della frizione. Grazie poi alla sua silenziosità, questa e-bike permette di esibirsi in ogni genere di acrobazie anche in città, senza che nessuno chiami la Polizia infastidito dal troppo rumore…
Un missile elettrico
La Mission One risulta facile da guidare anche nel traffico. Non avendo la frizione, infatti, non crea problemi di affaticamento alla mano sinistra e richiede solo una gestione dolce dell'acceleratore. Del resto, a tali velocità è ancora difficile rendersi conto di cosa è capace il motore... Nell'ambito delle supersportive, infatti, non esiste nulla che possa competere con la Mission One in accelerazione. Un risultato davvero sorprendente se si pensa che stiamo parlando di una moto relativamente pesante, con un interasse di 1455 mm e un peso di 239 Kg (compresi l'olio e l'acqua necessari per il raffreddamento) distribuiti per il 53% sull'asse anteriore e per il 47% su quello posteriore (valore che in questo caso non viene influenzato dal consumo di carburante e, dunque, rimane costante).
Dal punto di vista dinamico, dunque, la sensazione è quella di un veicolo ben bilanciato, che ha potuto beneficiare della collaborazione tra la MM e lo specialista americano James Parker, famoso per aver progettato il telaio della Yamaha GTS. Le quote del traliccio in tubi d'acciaio che equipaggia la Mission One risultano pertanto corrette, anche se in fase di inserimento in curva non si riceve ancora il feeling necessario per fidarsi completamente dell'avantreno. Ottimo è invece il settaggio delle sospensioni Öhlins, peraltro completamente regolabili, che digeriscono bene le asperità dell'asfalto senza che la moto tenda a scomporsi.
Il contachilometri digitale è facile da leggere, così come il cruscotto che indica il dato più importante che c'è da sapere, ovvero quanta percorrenza consente la carica delle batterie. C'è anche un indicatore secondario che mostra la carica rimanente nelle batterie da 12 volt che alimentano la pompa dell'acqua, quella dell'olio, le ventole, i gruppi ottici e il display sul cruscotto. Le batterie da 12 volt vengono mantenute in carica da quelle principali, anche se durante il test il link che le collega ha smesso di funzionare quando, dopo un tragitto di circa 210 Km (inclusa la ricarica di 90 minuti a Stinson Beach), rimanevano ancora 50 Km di autonomia. Ciò conferma comunque quanto dichiarato dalla stessa MM, che garantisce una percorrenza di 110-140 Km ogni 2 ore di ricarica.
Molto spesso, gli appassionati parlano dei CV come se, ai fini della guida, rappresentassero il parametro più importante, quando in realtà sono la coppia e il modo in cui essa viene erogata a fare la differenza, dal momento che l'accelerazione dipende da questi due elementi. Con 100 kW a 6.500 giri, infatti, la Mission One equivale una supersportiva di 600 cc ma, pur pesando il 50% in più, riesce ad accelerare molto più rapidamente, grazie ai 156 Nm disponibili su tutto l'arco di erogazione che le consentono di bruciare al semaforo qualsiasi cosa abbia un targa, scooter compresi, cui la e-bike della MM assomiglia dal punto di vista dinamico per via della trasmissione diretta. Ad ogni modo, nel tentativo di sfruttare al massimo questo tipo di moto, è facile ritrovarsi a gestire la manopola destra come un interruttore piuttosto che come un potenziometro, quando in realtà non è questo lo stile di guida più redditizio.
La trasmissione primaria del motore è costituita da un sistema a ingranaggi planetari con rapporto fisso, perciò, prima di affrontare una curva, basta concentrarsi sulla frenata, sulla scelta della traiettoria e sulla successiva accelerazione. A tal proposito, bisogna sottolineare l'ottimo lavoro svolto dalle pinze ISR a sei pistoncini, che consentono alla Mission One di rallentare in poco spazio e in modo estremamente stabile nonostante il peso delle batterie, coadiuvata dal valido settaggio delle sospensioni.
Un missile elettrico
A creare qualche problema in frenata è stato viceversa il sistema che recupera parte dell'energia cinetica dissipata durante la fase di rallentamento del veicolo per ricaricare le batterie, consentendo un aumento dell'autonomia fino al 14%. All'inizio, infatti, la MM aveva settato il dispositivo in modo troppo aggressivo, con il risultato che, chiudendo il "gas", il freno motore risultava eccessivo, impedendo alla moto di scorrere tra una curva e l'altra nei tratti misti. Per fortuna che, "armato" di computer portatile, Seth LaForge è intervenuto sulla moto mettendo le cose a posto, pur se a scapito di qualche minuto di autonomia, infatti, adesso la Mission One si guida in modo fluido ed efficace, potendo parzializzare a piacimento l'acceleratore nelle curve pronti a guizzare in avanti.
Tutto ciò la rende simile a una moto tradizionale, con il non trascurabile vantaggio della sua straordinaria reattività in accelerazione. In questo caso, infatti, non c'è bisogno di scalare un paio di marce per far entrare il motore nella sua fascia di utilizzo ottimale, ma basta ruotare il polso destro e reggersi forte!
Pertanto, sarebbe importante che i futuri clienti della MM fossero in grado di intervenire personalmente sulla messa a punto del controller senza l'ausilio di un personal computer, in modo da adattare la Mission One al loro stile di guida e in base alle varie condizioni di utilizzo. L'azienda americana potrebbe adottare, ad esempio, un commutatore regolabile su quattro posizioni che permetta di accedere ad altrettante configurazioni preimpostate, senza contare le infinite possibilità offerte da un mezzo di questo tipo in merito a sistemi come il controllo della trazione, l'anti-wheeling, il ride-by-wire, ecc... A quanto sembra, comunque, c'è già chi sta lavorando a qualcosa di simile, solo che si tratta di un progetto ancora in via di sviluppo e la MM preferisce non fare anticipazioni.
In ogni caso, la Mission One rappresenta un passo fondamentale nell'evoluzione della moto sportiva. Un passo che, in futuro, potrebbe ridefinire il nostro modo di pensare a come spostarci su due ruote in maniera veloce e divertente. "Ciò che mi ha spinto a lavorare qui non è stata la sfida legata all'azzeramento delle emissioni inquinanti di un veicolo, quanto la presa di coscienza che il mondo è cambiato molto negli ultimi dieci anni. – spiega l'amministratore delegato della MM, Jit Bhattacharya - Non possiamo più sfruttare le risorse energetiche del pianeta come se fossero infinite, ecco perché si sente parlare sempre più spesso di moto elettriche. Siamo alla ricerca di alternative al petrolio e al carbone, cose sulle quali abbiamo basato la nostra economia preoccupandoci semplicemente della loro disponibilità, prima ancora di considerare le questioni legate alle emissioni e all'ambiente. L'energia elettrica rappresenta una risposta, indipendentemente dal tipo di risorse che utilizzeremo in futuro, come l'energia nucleare, quella eolica, i gas naturali, ecc. Il principio alla base della Mission One è semplice: per anni abbiamo associato i veicoli elettrici al concetto di rinuncia a qualcosa in nome dell'ecologia, facendo i conti con mezzi più pesanti, più lenti e con poca autonomia. Il pubblico, però, deve capire che la situazione è cambiata e il modo migliore per convincerlo è quello di realizzare qualcosa che lo colpisca, che non credeva possibile e che, viceversa, adesso può toccare con mano. Questa è la Mission One: con essa vogliamo dimostrare che non sempre sono necessari dei compromessi per attuare un cambiamento e iniziare una rivoluzione".
Missione compiuta.
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