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1948: un'Ombra Nera da 200 all'ora

di Alan Cathcart, foto di Kyoichi Nakamura il 14/12/2007 in Moto & Scooter

La Vincent 1000 Black Shadow fu il primo veicolo di serie terrestre a poter vantare un simile primato. Per questo i pochi esemplari rimasti valgono oggi cifre pazzesche

1948: un'Ombra Nera da 200 all'ora
Oltre mezzo secolo fa, la Vincent Black Shadow era il veicolo stradale, in assoluto più performante che si potesse acquistare. Con una velocità massima di 200 km all'ora, superiore anche a quella della Jaguar XK120, la più veloce automobile dell'epoca, la Shadow rappresentava la prima Superbike dell'era moderna.
Gli innumerevole successi raccolti dalla Vincent nelle gare su strada e i numerosi record di velocità stabiliti traevano origine dalle caratteristiche estreme del suo bicilindrico a V di 50°.
Nessun altro mezzo a due ruote poteva competere, secondo gli standard dell'epoca, con le prestazioni e la guidabilità della sportiva da 998 cc realizzata dall'ingegnere australiano Phil Irving, colui che in seguito avrebbe progettato il motore Repco V8 con il quale Jack Brabham e Denny Hulme vinsero poi due di titoli mondiali in Formula 1 nel 1966 e 1967, vale a dire dieci anni dopo che il marchio Vincent aveva cessato la sua attività.
L'ultima moto stradale prodotta dalla Vincent fu appunto la Black Shadow Serie C, costruita in appena 1507 esemplari realizzati tra il dicembre del 1948 e la chiusura della fabbrica, avvenuta nel 1955.
Secondo quanto riportato dai documenti in possesso del Vincent Owners Club, l'ultima motocicletta prodotta all'interno di quel lotto è il bellissimo esemplare riprodotto in queste immagini, che è stato messo all'asta durante il Classic Bike Show di Stafford con appena 28.000 miglia sul suo bellissimo tachimetro da 5 pollici di diametro e fondoscala da 150 miglia all'ora. Prima che l'asta fosse battuta, però, il suo proprietario Nigel Brown mi ha permesso di spendere un giorno familiarizzando con questo straordinario pezzo di storia nei dintorni di Hertfordshire, a nord di Londra, dove l'ultima Black Shadow Serie C costruita dalla Vincent ha "soggiornato" per molti anni, a circa 20 miglia da Stevenage, dove sorgeva la fabbrica in cui quell'esemplare ha preso forma nel febbraio del 1955.
Io stesso ho posseduto una Vincent molti anni fa, ma devo confessare che non ho mai rimpianto il giorno in cui ho venduto la mia Rapide Serie C (la versione meno elaborata, prodotta in un gran numero di pezzi). Quest'ultima era naturalmente ben lontana dalle splendide condizioni in cui si trova la Black Shadow di Nigel e, pur disponendo di ottime prestazioni, era incredibilmente difficile da mettere in moto. Basti dire che l'unica volta, nei due anni che l'ho posseduta, in cui sono riuscito ad avviarla al primo colpo di pedivella è stata il giorno che l'ho venduta!
Tuttavia, dopo aver provato la Black Shadow di Brown, mi sono reso conto che, forse, non ho mai dato alla mia Vincent la possibilità di dare il meglio di sé. L'accuratissimo restauro del quale è stato protagonista l'esemplare di Nigel, infatti, si traduce nel poter beneficiare con maggior affidabilità e soddisfazione delle performance del bicilindrico inglese, davvero considerevoli anche in rapporto agli standard attuali.
Quando la temperatura non è troppo bassa, il motore parte al primo colpo, ma Nigel ammette che anche lui deve penare un po’ prima di avviare la sua Vincent durante la stagione invernale. Inoltre, nonostante che il comando del cambio a quattro marce, posto sul lato destro, sia secco e preciso, non è troppo facile mettere in folle, anche per via della frizione, caratterizzata da un’azione di tipo on/off. Ciò significa che, al semaforo, è quasi inevitabile che la Black Shadow si spenga. In tal caso, bisogna prima sollevare la pedana di destra, tirare fuori la leva del kickstarter, agire sull’alzavalvole posto sul lato sinistro del manubrio e scalciare sperando che tutto vada per il meglio!
Sono rimasto talmente stupito per la facilità con cui la Black Shadow si è messa in moto, che mi sono scordato di abbassare di nuovo la pedana destra. Per fortuna che il tassista dietro di me se ne è accorto e me lo ha fatto notare con un bel colpo di clackson prima che mi mettessi in marcia... Probabilmente, anche lui possedeva una Vincent.
Anche il padre di Nigel Brown, Dan, ne aveva una. Egli comprò infatti una Rapide Serie C durante i primi anni Cinquanta. La tenne quasi sempre nel garage della sua casa a Forest Hill, a sud est di Londra. All’epoca, poche persone potevano permettersi la macchina, ma molte utilizzavano la moto come mezzo di trasporto giornaliero, spesso condividendo il proprio garage con un gruppo di amici o conoscenti, proprio come faceva Dan. Ad ogni modo, il motivo per cui la sua Vincent andava decisamente meglio rispetto ad altre Rapide (compresa la mia) era dovuto al fatto che a curarne la messa a punto era Cliff Brown, fratello del guru delle elaborazioni su base Vincent: George Brown. La “Nero” motorizzata Vincent e la “Super Nero” sovralimentata, entrambe impiegate nelle gare di accelerazione in Gran Bretagna dove hanno dettato legge per oltre venti anni, furono opera di Cliff.
Frustrato dal fatto di essere costantemente battuto dalla Rapide di Dan Brown, un suo amico, Frank Stanyon, commissionò alla Vincent stessa la realizzazione di una Black Shadow Serie C che gli fu consegnata nel febbraio del 1955 dal rivenditore di zona, Jack Surtees, uno dei più grandi piloti di sidecar (rigorosamente su base Vincent) della Gran Bretagna e padre della futura leggenda della velocità, John.
Quest’ultimo, infatti, iniziò la sua carriera lavorando all’interno dell’officina del padre, prima di lavorare come apprendista all’interno della fabbrica Vincent, per la quale diventò pilota e collaudatore del prototipo monocilindrico Grey Flash di 500 cc: in pratica, una sorta di metà della Black Shadow. Il successo che conseguì in sella alla Vincent lo portò a diventare pilota ufficiale della Norton Manx nei GP, poi a conquistare sette titoli mondiali con la MV Agusta e, infine, a vincere un titolo in Formula 1 con la Ferrari, ma questa è un’altra storia...
Per la sua moto, Stanyon preferì montare i più avvogenti parafanghi di matrice turistica uguali a quelli della Rapide di Dan Brown, gli stessi che compaiono oggi, cinquantadue anni dopo, al posto di quelli più sportivi con la quale la Shadow veniva allestita di serie. Stanyon guidò la Black Shadow per un paio d’anni, dopodiché, alla fine del 1956, la vendette al terzo inquilino del garage di Forest Hill: il proprietario di una Vincent Comet, John Carmalt, il quale percorse la maggior parte delle 28.000 miglia segnate attualmente sul tachimetro dell’esemplare in questione.
Carmalt è passato a miglior vita nel 1994, così sua sorella ha offerto la moto a Dan Brown, l’unico rimasto in vita tra i membri che condividevano il garage di Forest Hill. Tuttavia, quando Brown accettò, la moto era ridotta in pezzi, essendo stata disassemblata in seguito a un incidente accaduto nel 1969 e mai più rimontata.
“Mio padre aveva già perfettamente restaurato una Rapide nel 1980, pertanto conosceva bene i migliori specialisti britannici in tema di Vincent che gli potevano permettere di riportare al suo antico splendore la Black Shadow – spiega il figlio di Dan, Nigel – Tutte le volte che sono andato a trovarlo nei tre anni successivi all’inizio del restauro potevo vedere la moto che prendeva forma, oltre a constatare il suo crescente entusiasmo per la possibilità di lavorare su un mezzo che aveva desiderato per più di quaranta anni. Purtroppo, mio padre è venuto a mancare nel 1999, prima che potesse vedere la sua opera completata. Così mi sono sentito in dovere di proseguire il suo lavoro, grazie anche all’aiuto di Colin Jenner della Conway Motors. Adesso, la Black Shadow è tornata ad andare esattamente come nel 1955”.
Una volta montati in sella alla Vincent, la si scopre bassa e stretta. In pratica sembra molto più piccola di una moto capace di spingersi fino a 200 all’ora. Tuttavia, la posizione di guida non è eccessivamente raccolta. I comandi sono a portata di mano e il pilota è ben inserito nel corpo macchina, come voleva la consuetidine dell’epoca. Il manubrio in un solo pezzo è piuttosto dritto e stretto, con le estremità rivolte verso l’alto in modo da determinare un’impugnatura adatta alle lunghe percorrenze, oltre a offrire una leva discreta per affrontare le curve più strette.
La guidabilità della Vincent alle basse andature non è da primato: la risposta della forcella alle asperità del terreno è infatti piuttosto approssimativa, soprattutto a moto inclinata. La situazione migliora all’aumentare dell’andatura. Paradossalmente, a velocità più elevate la precisione dello sterzo cresce e con essa la sensazione di sicurezza. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se un genio come John Britten, che purtroppo non è più tra noi, ha sviluppato, circa trenta anni più tardi, uno schema simile a quello della Vincent per definire l’avantreno della sua bellissima V-1000.
Per gli standard dell’epoca, comunque, le doti di guida della Vincent sono eccellenti. Questo vale anche per la sospensione posteriore, che si avvale di un sistema Cantilever composto da un singolo ammortizzatore idraulico e da due molle poste sotto la sella che smorzano le sollecitazioni meglio di qualsiasi altra cosa potesse farlo negli anni Cinquanta. Anche rapportato ai giorni nostri, comunque, il comfort di marcia offerto da questa moto è più che accettabile.
E’ comunque il motore di 998 cc, con la sua coppia generosa e il suo sound inconfondibile, il vero protagonista della moto di Nigel Brown. Il bicilindrico in questione sviluppa 55 CV a 5700. Un valore che all’epoca in cui la moto fu creata lasciava letteralmente a bocca aperta. L’accelerazione è progressiva, piuttosto che repentina, ed è accompagnata da una discreta spinta. All’inizio, bisogna prendere un po’ la mano con la frizione e il cambio prima di azzeccare il giusto tempismo per innestare le marce.
Ad ogni modo, sentire il suono del sistema di scarico di tipo due in uno che echeggia dentro il casco mentre si spalanca il gas in accelerazione è qualcosa di elettrizzante. La lancetta del tachimetro sale rapidamente e, anche se non è previsto un contagiri, ciò non costituisce un problema. La gran coppia a disposizione, infatti, consente di cambiare a orecchio senza grossi problemi, se non addirittura di inserire il rapporto più alto e gestire l’andatura con il solo comando dell’acceleratore. Così facendo, si capisce come nei primi anni Cinquanta non esistesse nulla in grado di competere con questa moto.
A onor del vero, la frenata è l’unico punto debole della Vincent. Essendo perfettamente originale, La Black Shadow di Brown è equipaggiata con dei piccoli freni a tamburo da sette pollici, due davanti e uno dietro. Anche utilizzandoli tutti e tre contemporaneamente e in modo piuttosto deciso, però, la decelerazione che ne consegue è appena sufficiente. Oltrettutto, se si comincia a frenare ripetutamente, l’impianto perde presto parte della sua già debole efficacia. E’ questa l’unica vera pecca della Vincent rapportata agli standard attuali, il limite che impedisce a chi intende utilizzarla su strade aperte al traffico di godersela fino in fondo. Con un mezzo di questo tipo, quotato tra 55.000 e oltre 110.000 euro, non sono infatti ammesse frenate di emergenza... Va comunque considerato che probabilmente a livello tecnico nessuna funzione di guida ha fatto così grandi passi in avanti negli ultimi cinquanta anni, come la frenata. Un elemento ovviamente tanto più importante quanto maggiore è la velocità del veicolo cui è riferita.
Al di là di questo, comunque, la Black Shadow di Nigel Brown non rappresenta solo un oggetto del desiderio per i collezionisti più facoltosi, ma un mezzo di trasporto che per molti aspetti è ancora tremendamente attuale, nonostante siano passati più di cinquanta anni dalla sua costruzione. L’augurio è che il suo nuovo, fortunato proprietario la utilizzi regolarmente, godendo delle sue fantastiche performance, piuttosto che chiuderla in casa come un banale “pezzo” d’arte contemporanea.
1948: un'Ombra Nera da 200 all'ora
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