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Cinque e più cilindri
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Quattro cilindri sembrano il massimo, ma c’è stato (e c’è) chi va oltre. Un fenomeno comunque limitato, e destinato in gran parte a motociclette di gran lusso o da competizione. Ripercorriamo la storia dei motori super-frazionati, cercando di capire come
Quattro cilindri sembrano il massimo, ma c?è stato (e c?è) chi va oltre. Un fenomeno comunque limitato, e destinato in gran parte a motociclette di gran lusso o da competizione. Ripercorriamo la storia dei motori super-frazionati, cercando di capire come sono fatti e perché non hanno la diffusione che ci si potrebbe aspettare.
di Alberto Dell'Orto
Il motori con più di quattro cilindri sono sempre stata merce rara nel settore motociclistico, ma non sono mancati esempi anche notevoli di raffinatezza e di anticonformismo tecnico.
Il primo motore a più di quattro cilindri montato su una motocicletta è il Miller del 1895, uno stellare a cinque cilindri installato all?interno della ruota motrice e ruotante insieme con essa (l?albero motore era invece fisso e fungeva anche da perno delle ruota).
L?idea verrà ripresa negli anni ?20 dalla tedesca Megola, per un modello prodotto in serie che aveva la particolarità di avere la trazione (e dunque il motore) sulla ruota anteriore: pare che la guidabilità non fosse esattamente il suo punto di forza... intanto, già nei primi anni del secolo l?americano Curtiss aveva montato un motore V8 sulla sua motocicletta, mentre negli Anni trenta l?italiano Galbusera presenterà il suo prototipo a otto cilindri a V e due tempi.
Fino al dopoguerra, dunque, gli iper-frazionamenti sono utilizzati per effettuare record di velocità (Curtiss) oppure per realizzare prototipi di lusso che facciano sfoggio di soluzioni tecniche complesse e prestigiose. Solo a partire dagli anni Cinquanta, specialmente in reazione all?imbattibilità della favolosa Gilera Quattro da GP, incomincia nelle competizioni la corsa al frazionamento. A parte il mitico motore Guzzi 500 V8, ancora oggi un simbolo di lucidità progettuale, coraggio tecnico, tecnologia produttiva, vale senz?altro la pena di ricordare i motori 125 a cinque cilindri e 250/350 a sei cilindri che la Honda preparò alla fine degli anni Sessanta per arginare (con successo) la nuova minaccia dei due tempi con scarico a espansione. Anche la MV (con due sei cilindri di 350 e 500 cc) e la Benelli (con un 250 a otto cilindri) cercheranno di buttarsi nell?arena, ma i loro progetti verranno abortiti con le limitazioni di frazionamento e numero di rapporti imposti dal regolamento a partire dal 1970.
Dalle corse alla produzione
Le moto da corsa, dunque, tornano a un massimo di quattro cilindri, ma non passa molto tempo che, nel 1975, De Tomaso fa debuttare la sfortunata Benelli 750 Sei, la prima a essere prodotta in serie con quel frazionamento, a cui farà seguito un’altrettanto infausta versione di 900 cc, povera di prestazioni e ricca di problemi. Intanto i giapponesi preparano la risposta: nel 1978 la Honda propone la CBX 1000, con distribuzione bialbero a quattro valvole e sei carburatori, una vera "astronave" per l’epoca, e la prima moto di serie a superare i 100 CV dichiarati.
Nello stesso anno, per correre nelle gare di durata, la Laverda fa scendere in pista una bella 1000 con sei cilindri a V disposti longitudinalmente: un grande esempio di scuola tecnica italiana, penalizzato purtroppo dalla trasmissione ad albero e dalla non rosea situazione finanziaria della Casa di Breganze, che ne annunciò più volte una piccola serie di repliche mai realizzate. All’alba degli anni Ottanta la Kawasaki appare con la massima espressione tecnologica dell’epoca: la Z 1300, con sei cilindri in linea, raffreddamento a liquido e 120 CV. Nella seconda versione la moto si fregia (prima nel panorama moto di serie) di impianto di iniezione, ma ciò non riesce a far dimenticare la massa spropositata, la ciclistica almeno perfettibile e la completa mancanza di un riparo aerodinamico.
A metà degli anni Ottanta la Honda Goldwing passa a 1500 cc e al suo boxer si aggiungono altri due cilindri, mentre inizia l’avventura della Morbidelli V8, un progetto moderno e promettente che però è rimasto allo stadio di prototipo, pur se perfettamente funzionante. Oggi, solo due moto hanno più di quattro cilindri, e sono entrambe Honda: la Goldwing (nel frattempo cresciuta a 1800 cc) e la mattatrice della MotoGP, la RC211 con cinque cilindri a V. Quest'anno vedremo anche la Proton KR3 di Kenny Roberts, costruita sulla falsariga della Honda RC211V.
Perché più di quattro cilindri
Come abbiamo già ricordato negli articoli precedenti, più spinto è il frazionamento, maggiori sono la dolcezza e "rotondità" di funzionamento e la possibilità di erogare elevate potenze specifiche. Il miglioramento della fluidità di rotazione (almeno per i motori stradali, che devono privilegiare la guidabilità) è strettamente connesso al numero di combustioni e alla loro distribuzione all’interno dei giri necessari per far compiere un ciclo in ogni cilindro. Per chiarezza, siccome in due giri di albero motore (720°) si compie un’intero ciclo per cilindro nei motori a quattro tempi, in questo periodo avverranno cinque combustioni in un motore a cinque cilindri, sei in un motore a sei cilindri, e così via. Siccome la fase di combustione, quella in cui viene effettivamente prodotto del lavoro, dura meno dei 180° teorici assegnati all’espansione dei gas durante la seconda corsa discendente del pistone (la prima per convenzione è quella di aspirazione), il motore a cinque cilindri è il frazionamento minimo per cui un motore veda una parziale ma continua sovrapposizione delle fasi di combustione.
In pratica, in motori con sequenze di combustioni regolari (cioè con manovelle disposte in modo da portare alternativamente i pistoni a punto morto superiore con angoli di intervallo uguali), un motore a cinque cilindri non si trova mai nella condizione in cui nessuno dei gruppi termici stia effettivamente producendo lavoro. I vantaggi in termini di dolcezza e regolarità di funzionamento sono notevoli, e anche a livello di emissioni acustiche si ha un vantaggio, perché si riduce molto la rumorosità del comando della distribuzione e della trasmissione, non più sottosposti, come nei motori fino a quattro cilindri, a quegli "sbatacchiamenti" dovuti alle cicliche accelerazioni/decelerazioni tipiche dei regimi molto bassi (da un certo regime in poi, l’inerzia delle parti in movimento rotatorio riduce fin quasi ad annullare le variazioni di velocità angolare all’interno del ciclo).
Il risultato è un motore che vibra poco e può essere notevolmente più silenzioso di meccanica. La possibilità di erogare grandi potenze è un’altra delle conseguenze del frazionamento elevato: le masse in moto alterno, come pistoni, valvole, una frazione di ogni biella, sono contenute, e questo permette di raggiungere regimi più elevati prima che il pezzo raggiunga il limite delle sollecitazioni da inerzia che è in grado di sopportare; e sappiamo che l’equazione "più giri = più potenza" è quasi sempre verificata... Anche le corse di valore contenuto permettono di aumentare il regime corrispondente alle velocità critiche per il gruppo pistone/biella/manovella, in più l’albero motore ha manovelle meno "eccentriche" rispetto ai perni di banco, e questo va a vantaggio della rigidità (e dunque si può progettare un pezzo più leggero), della lubrificazione (l’olio che deve lubrificare le bronzine di biella subisce meno l’effetto di centrifugazione, a parità di regime) e della rapidità a salire di giri.
Gli svantaggi
Tutto rose e fiori, dunque? Non esattamente. Come facilmente intuibile, un motore cresce di complessità al crescere del frazionamento. Un motore più complesso è spesso più ingombrante, più pesante e sicuramente più difficile da progettare. Aumentando gli ingombri, infatti, si entra in un campo in cui la libertà del progettista si assottiglia e le scelte diventano spesso obbligate, anche quando magari si tratta di compromessi non proprio ideali dal punto di vista tecnico. La storia ha insegnato, per esempio, che un cinque o sei cilindri in linea trasversali (per tacere di un ipotetico otto-in-linea!) non sono proponibili nelle grandi cilindrate (quelle che più beneficierebbero del frazionamento spinto), perché gli ingombri trasversali, i pesi e l’aerodinamica ne soffrirebbero a tal punto da peggiorare in modo inaccettabile le prestazioni complessive del veicolo.
Ugualmente, una collocazione longitudinale, che pure risolverebbe i problemi di aerodinamica e limitazioni di angoli di piega, pone dei limiti improponibili alla definizione di un interasse compatibile con il tipo di guidabilità a cui oggi è obbligatorio fare riferimento, oltre a rendere significativamente più complessa l'adozione di una trasmissione a catena. L’unica strada percorribile, dunque, appare quella dei motori a V, ma entrano in gioco i costi, che non possono che aumentare di pari passo con il numero dei cilindri, o quasi. Nei motori a V, poi, bisogna prevedere due comandi della distribuzione, e spesso non è semplice realizzare un’impianto di scarico che unisca efficienza e facilità di collocazione all’interno del progetto.
Vibrazioni: quali e quante
Un altro dei vantaggi da sempre enumerati per i motori con molti cilindri è la facilità di ottenere al contempo combustioni equidistanti e una notevole equilibratura intrinseca. Un cinque cilindri in linea con manovelle a 72°, un sei in linea con manovelle a 120°, un sei a V di 60° con manovelle pure a 60° e un eventuale otto cilindri in linea (mai proposto in campo motociclistico per evidenti ragioni) sono per esempio motori intrinsecamente molto bene equilibrati, mentre in un 8 a V di 90° le cose si fanno un po’ più complesse. Infatti in questo caso si può realizzare l’albero con manovelle a 180° (cioè su un piano solo) oppure a 90° (cioè su due piani ortogonali): la prima soluzione è avvantaggiata dai costi di produzione (è più semplice da realizzare per forgiatura), ma ha lo svantaggio di vibrare di più, perché il motore si comporta, in pratica, come se si trattasse di quattro bicilindrici a V di 90° affiancati, e quindi ne risultano squilibrate le coppie del secondo ordine (cioè generate quando la manovella si trova a 90° rispetto all’asse del cilindro) che non possono essere equilibrate staticamente (cioè co contrappesi), ma solo da un eventuale contralbero. Come si nota, anche in quest’ultimo caso le vibrazioni dei super-frazionati sono modeste, il che li rende particolarmente interessanti sotto l’aspetto del comfort.
Oggi e domani
Come già visto, le strade per montare motori con più di quattro cilindri sulle motociclette sono già state ampiamente investigate. In effetti, a parte la Goldwing 1800 (che con la sua stazza e il suo prezzo se lo può permettere...) e qualche piccola serie di special statunitensi con motore automobilistico, dopo l’ubriacatura di cilindri dei primi anni Ottanta non sembra che tecnici e costruttori siano interessati a imbarcarsi in avventure tecniche e commerciali dagli esiti tutt’altro che certi. In particolare non si sente il bisogno di aumentare le prestazioni degli attuali motori con un ulteriore frazionamento, e anche dal punto di vista del comfort di guida, i due contralberi di equilibratura adottati dalla Honda sulla sua CBR 1100 XX sembrano proprio il massimo che abbia attualmente senso mettere in produzione.
Insomma, oggi come oggi appare molto più semplice e redditizio sviluppare un quattro cilindri con la personalità che serve, piuttosto che scontrarsi con tutti i limiti di configurazioni che, in ultima analisi, non si sposano altrettanto bene con le esigenze motociclistiche. Appare però altamente probabile che le Case sfruttino l’esperienza e il traino pubblicitario della neonata MotoGP per proporre delle race-replica estremamente sofisticate; se i regolamenti e la ricerca tecnologica renderanno vincente, come già apparso quest’anno, il frazionamento a cinque cilindri (inevitabilmente a V stretto per motivi di ingombro), tanto da far parlare anche di un motore Suzuki realizzato con questo schema, c’è da giurare che i Costruttori non si lasceranno sfuggire l’occasione di sfoggiare all’interno della propria gamma fiori all’occhiello così carichi di valori tecnici e d’immagine. Staremo a vedere...
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