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Ducati 900 Supersport

il 21/05/2002 in Moto & Scooter

Leggera e maneggevole, offre una guida divertente, supportata dall’erogazione del motore. Dotazione tecnica di prim’ordine, ma prezzo e finiture stridono un po’

di Alberto Dell'Orto, foto Alberto Cervetti

Supersport è un nome impegnativo, soprattutto se a portarlo è una Ducati: la mente corre subito alle poderose 750 e 900 degli anni Settanta, all’epoca le eredi più somiglianti della moto vittoriosa alla 200 Miglia di Imola del 1972, e oggi prede ambitissime dei collezionisti. Nome riproposto nel 1990 per una nuova 900, preceduta l’anno prima dalla 750 Sport. Ma si tratta ancora di modelli non particolarmente aggiornati, dotati di cerchi da 16" e di una guida all’epoca tipicamente Ducati, fatta di stabilità piuttosto che maneggevolezza.

Nel 1991, ecco la svolta: sulla scorta della (notevole) esperienza fatta con la 851, viene presentata la 750 Supersport, ed è una rivoluzione. Compatta nelle forme, tesa all’essenzialità e alla leggerezza, costituirà la base per una serie di successo proposta in altre quattro cilindrate: 350, 400, 600 e 900. Ridisegnata per il debutto nel 1998, la 900 SS della nostra prova non è, in realtà, una moto del tutto nuova: mantiene come base il progetto (e dunque anche il "sapore" delle guida) del modello precedente, ma con una serie tanto numerosa di modifiche, da definire di fatto un nuovo "livello evolutivo", pur mantenendo quella essenzialità formale e sostanziale delle migliori sportive all’italiana.

La linea disegnata da Terblanche richiama direttamente l’indimenticata Supermono, mentre telaio e, soprattutto, motore sono stati aggiornati per garantire guidabilità e prestazioni di alto livello. Notevole in questo senso la presenza di un ammortizzatore Ohlins al retrotreno, anche se 10.600 euro (pure se chiavi in mano), sono una pillola non facilissima da deglutire.

L’aspetto di spartanità è notevole: c’è tutto ma solo quello che serve, ed è notevole il contrasto tra la furba semplicità di alcune soluzioni (fissaggio del trasparente del cupolino e del cuscino del serbatoio, per esempio) e il pregio di materiali e lavorazioni, a partire dall’impeccabile verniciatura, per finire alla piacevole (e durabile) zincatura tropicalizzata della bulloneria.

Tutto, insomma, sprizza essenzialità e attenzioni all’efficacia della moto nella sua interezza: strumentazione racing analogica con contagiri senza zona rossa, pompe Brembo serie Oro al manubrio, fusioni in lega leggera impeccabili, oltre a colorazioni monocromatiche decisamente azzeccate. La versione della nostra prova, poi, è la cosiddetta “Senna”, una denominazione non ufficiale dovuta alla somiglianza della veste grafica con la 916 commemorativa del grande pilota, prodotta alcuni anni fa. Ecco dunque i cerchi Marchesini (ora gruppo Brembo) a cinque razze rossi, una nota di colore sgargiante in un contesto giocato tra le diverse tonalità di grigio di carrozzeria, telaio e alluminio delle fusioni, da cui fa capolino anche il giallo delle sospensioni e dei freni.

Qualche caduta di tono in dettagli minori, come il passaggio a vista dei cablaggi elettrici di faro e strumentazione, mentre sono davvero da cambiare gli specchietti: appaiono poveri e approssimativi nella realizzazione, e anche dal punto di vista funzionale non sono in grado di reggere al vento in corsa, né di opporsi alle vibrazioni.

Il bicilindrico a V di 90° tipico del marchio Ducati non ha bisogno di grandi presentazioni: si tratta dell’evoluzione ultima del motore Pantah, nato alla fine degli anni Settanta con cilindrata di 500 cc per affiancare e poi sostituire i vecchi propulsori con distribuzione ad alberi e coppie coniche, più ingombranti, pesanti e costosi (tanto in produzione, quanto in manutenzione). La particolarità principale di questi motori, oltre alla disposizione praticamente orizzontale del cilindro anteriore, è il raffinato sistema di distribuzione, non solo dotato di un inconsueto comando a cinghia dentata (nel panorama moto di grande serie, l’hanno impiegato estesamente solo Morini, Gilera e Rotax), ma soprattutto dell’esclusivo sistema desmodromico, che permette di chiudere le valvole senza le classiche molle, e dunque di risparmiare un quota notevole delle perdite per attrito dovute alla necessità di vincere in apertura la resistenza delle molle stesse. La caratteristica del motore della nuova 900 SS è di essere stato sviluppato specificamente per essere alimentato a iniezione, con scelte conseguenti su profilo di camme e altri dettagli, con l’obbiettivo non secondario di garantire una dolcezza di funzionamento superiore ai predecessori.
La ciclistica utilizza un telaio a traliccio di disegno sensibilmente differente dai telai 851 e derivati (916, ST, Monster), che si ricollega direttamente alla prime Pantah, anche se certo ora con quote e geometrie decisamente più moderne.

Da segnalare l’adozione di un ammortizzatore Ohlins completamente regolabile, comandato secondo lo schema Cantilever, che non impiega alcun leveraggio, ma fornisce una certa progressività di azionamento in virtù dell’inclinazione assunta dall’ammortizzatore stesso.

La cara, vecchia scuola delle sportive all’italiana si riconosce subito. Il bacino relativamente arretrato, il busto inclinato in avanti, le gambe non troppo rannicchiate sono ingredienti che, anche se in proporzioni differenti, fanno parte della tradizione. Insomma, la posizione di guida non è certo (ci mancherebbe!) quella della progenitrice degli anni d’oro, ma rispetto ai canoni oggi consolidati la differenza si avverte, e comunica subito un fascino particolare. Il comfort è garantito da pedane e sella azzeccati nella conformazione e isolati dalle vibrazioni, ma i semimanubri, peraltro già rialzati di una decina di millimetri da un anello distanziatore, sono troppo bassi e troppo spioventi per risultare comodi.

Non solo nel traffico, ma anche nella guida allegra fuori città, il carico gravante sui polsi è notevole, e permette anche una superiore trasmissione delle vibrazioni che raggiungono il manubrio, il che porta a qualche indesiderato formicolìo. Ci si può comunque consolare con la protettività, davvero apprezzabile (anche se certo non da tourer) nonostante la ridotta altezza del trasparente. Migliore del previsto, inoltre, la sistemazione del passeggero: l’imbottitura della sella è soddisfacente, e solo le pedane appaiono un po’ alte, ma non in misura drammatica.

Sotto la sella (che si toglie e rimette con sorprendente intuitività) si trova un vano portaoggetti di buona capacità e un alloggio apposito per ferri e documenti. Una nota di biasimo va invece al cavalletto laterale: la sua posizione una volta aperto è troppo verticale per dare vera tranquillità al proprietario, mentre la base piccola affonda facilmente nell’asfalto anche solo tiepido. Spiace, inoltre, che la sua apertura impedisca il funzionamento del motore.

Cos’è che fa vibrare il cuore e l’anima di un Ducatista? La domanda è lecita, perché bisogna ammettere che ci sono diversi modi per andare più forte e spendere meno. Ecco, la 900 SS è probabilmente la più facile, immediata e comprensibile delle risposte: perché è diversa, perché è emozionale, perché è come una donna con i difetti giusti al posto giusto, quel "non perfetto" che intriga. La Supersport non è una moto per tutti. Cioè, non che ci voglia un brevetto per guidarla, ma ci vuole affetto, desiderio e dedizione per raggiungere la vera goduria, se no ci si ferma ai polsi indolenziti, al cambio ruvidino, alla sospensione posteriore dura e a qualche vibrazione in più. Invece, di questo ci si deve dimenticare, per godersela veramente.

Bisogna prendere una strada con tante curve, un bel misto non troppo stretto, e andare. Senza fare i matti, non è con il ginocchio a terra che ci si diverte con questa moto (tra l’altro il profilo del Michelin posteriore non aiuta le pieghe estreme), ma prendendo un bel ritmo, tenendo il motore sopra quota 3500, quando smette di far sentire le irregolarità di un volano forse troppo leggero: la moto è stabile, precisa, sorprendentemente veloce e gestibile, sia con l’acceleratore che con il freno.

Lo stretto, invece, le è già meno familiare: quando la si forza con ingressi in curva fulminei si nota una certa perdita di coerenza tra avantreno e retrotreno: le due ruote sembrano avere tempi diversi nel cambio di inclinazione. In città, poi, apprezzerete la snellezza delle sue forme, ma di certo non la posizione della schiena, né l’angolo di sterzata. Ma quando è amore vero, chi fa caso a questi dettagli?

Motore: a 4 tempi, bicilindrico a V longitudinale di 90°, raffreddamento ad aria, alesaggio e corsa 92 x 68 mm, cilindrata 904 cc, rapporto di compressione 9,2:1; distribuzione desmodromica monoalbero a camme in testa con due valvole per cilindro, comando a cinghia dentata; lubrificazione a carter umido. Alimentazione a iniezione elettronica integrata con l’accensione, corpi farfallati da 50 mm; capacità serbatoio 16 litri. Avviamento elettrico

Trasmissione: primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco a secco con comando idraulico, cambio a cinque marce

Ciclistica: telaio a traliccio in tubi d'acciaio, inclinazione perno di sterzo 24°, avancorsa 96 mm. Sospensione anteriore: forcella teleidraulica a steli rovesciati da 43 mm, escursione 120 mm; sospensione posteriore: forcellone con monoammortizzatore schema Cantilever, escursione 136 mm. Ruote: anteriore tubeless con cerchio in lega leggera e pneumatico 120/70-172, posteriore tubeless con cerchio in lega e pneumatico 170/60-17". Freni: anteriore a doppio disco da 320 mm con pinze a 4 pistoncini contrapposti; posteriore a disco da 245 mm con pinza a 2 pistoncini

Dimensioni e peso: interasse 1405 mm, lunghezza 2030 mm, larghezza 780 mm, altezza sella 815 mm. Peso in ordine di marcia senza benzina 188 kg

Prestazioni dichiarate: potenza 80 CV (59 kW) a 7500 giri, coppia 8,1 kgm (79 Nm) a 6500 giri, velocità 225 km/h

Omologazione Euro-1:

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