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Amarcord: Quella volta che Massimo Tamburini mi lasciò il curriculum

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 19/08/2025 in Attualità
Amarcord: Quella volta che Massimo Tamburini mi lasciò il curriculum
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Una storia d'altri tempi: sono passati quasi 25 anni da quando il nostro Christian Cavaciuti intervistò il mitologico tecnico-designer (la cui visione fu alla base del rilancio di Ducati e di MV Agusta). Che gli diede il suo curriculum come se fosse a un colloquio di lavoro. Ecco com'è andato quell'incontro

Era più o meno in questi giorni, una splendida giornata di fine agosto 2001. Nella vita facevo tutt’altro, ma mi ero proposto a Motociclismo con l’idea di indagare il fortissimo legame tra la moto e l’Emilia (allora l’inglese si usava il giusto, e non si parlava ancora di Motor Valley ma di Terra del Mutòr) parlando delle persone e con le persone. Un po’ una versione motociclistica di una canzone di Ligabue o di un romanzo di Paolo Nori, per dire, che voleva preservare anche il sapore della lingua.

L’idea insomma piacque e mi spedirono a fare le prime interviste della mia vita: il curatore del Museo Ducati, Livio Lodi; uno storico di San Giovanni in Persiceto, Enrico Ruffini; e due figure più o meno mitologiche: Massimo Bordi, l'ex direttore tecnico Ducati capace di traghettare il bicilindrico nella modernità, e soprattutto Massimo Tamburini, all’epoca all’apice della sua carriera e in quel momento, diciamo, un po’ sopra il presidente degli Stati Uniti e un po’ sotto Gesù Bambino nella scala di più o meno qualunque appassionato di moto.

Amarcord: Quella volta che Massimo Tamburini mi lasciò il curriculum
Massimo Tamburini, al centro, con il team del CRC che sviluppò la Ducati 916

L'incontro al CRC di San Marino

Incontrai Tamburini nel suo regno, l’altrettanto mitico Centro Ricerche Cagiva di San Marino, dove arrivai a bordo di una Citroën Saxo blu senza aria condizionata. Ma a dispetto del probabile caldo patito sulla A1, non ho alcuna memoria del viaggio mentre ricordo più o meno tutto di quell’incontro, a partire dalla gentile vestale seduta di fianco alla 500 di Kocinski che mi accolse all’ingresso e mi introdusse al cospetto dell’Oracolo.

Tamburini mi ricevette quasi subito, fumando delle sigarette sottilissime, che col senno di poi non gli hanno fatto per niente bene. Ma la sua vera malattia sono le moto. Eh, le moto, mi dice, noi (intendendo noi emiliani e romagnoli) abbiamo questo male qui nel sangue, io poi fin da piccolo. Molto gentile, posato, per niente supponente, Tamburini mi racconta la sua storia di ragazzino un po’ ribelle, riluttante al barbiere, facile alle fughe da scuola fin dalle elementari, per andare a vedere chi passava in moto, che li riconosceva dal rumore, dalla cambiata. Non era ancora il 1950.

Nel 1969 al Salone di Milano viene mostrata, con gran clamore, la prima maxi moderna: la Honda CB750. Tamburini al Salone non c’è, deve accontentarsi delle foto sulle riviste. Nel riminese, dove vive, le prime CB si vedono nel ’70, lui già nel 1971 comincia a sperimentare su questa moto, a “pasticciare” mi dice. Finito con le CB Poi prende una MV, elimina il cambio, stravolge la ciclistica. Gli esperimenti vengon bene, e sull’onda dell’entusiasmo lui e l’amico Morri decidono di mettersi a produrre parti speciali; nel 1973 apre i battenti la Bimota: Bianchi, Morri, Tamburini.

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Un giovane Massimo Tamburini al lavoro sulla HB1

Dalla Bimota alla Cagiva e alla Ducati

Dopo 10 anni di Bimota Tamburini lascia ed entra nel Team Gallina, sempre zona Rimini: collabora a far nascere la 500 GP di Uncini e poi, nel 1984, una 125 sportiva commissionata da Cagiva: la Aletta Oro. Il patron della Cagiva, Claudio Castiglioni, è uno che vede lontano e fa immediatamente un’offerta a Gallina per rilevare tutto: il team, che svilupperà la Cagiva 500 GP, e il suo designer dalle uova d’oro.

Nel 1985 la squadra riminese di Tamburini entra quindi in blocco nel Gruppo Cagiva, che comprendeva da poco la Ducati, molto bisognosa di cure. La sede si sposta da Rimini nell'entroterra, a Cerasolo, dove nascono le varie Mito, 916, 748 e via dicendo. Nel 1993 il CRC si sposta di nuovo, a San Marino, insediandosi in un’ex fabbrica di gelati: lì vengono sviluppate tutte le Ducati e poi, quando Ducati viene ceduta agli americani, le prime MV.

Tamburini mi racconta dei cambiamenti che ha visto negli anni: i giovani meno disposti al sacrificio, a tirare le notti e i sabati (nota bene: anno 2001), la specializzazione dei ruoli introdotta dai giapponesi e ripresa poi anche in Italia, con via via sempre meno tecnici in grado di padroneggiare tutti gli aspetti di una moto. Mentre allora, lui, era stato anche un po' costretto a imparare a far tutto, per mancanza di soldi nella Bimota degli inizi. Ma, mi avverte, “non credo che il futuro della moto sia lo stilista puro: un buon designer deve capirne anche di tecnica”.

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Gli anni in MV e il curriculum vitae

In quel momento era in pieno sviluppo il piano per rilanciare MV Agusta: si erano già viste la F4 e la Brutale, brillanti soluzioni a un tema difficilissimo perché, mi disse, bisognava fare qualcosa che non fosse giapponese e che non fosse una Ducati, e richiamarsi al passato non si poteva perché le vecchie MV di serie non erano tutto sommato un granché: comunque non paragonabili a quelle da corsa. Perfezionista, ossessionato dalle rifiniture, Tamburini stava lavorando a una gamma di cui poi si è visto ben poco per le varie vicissitudini di MV.

Alla fine dell'intervista mi diede il suo curriculum vitae, come se fossi stato un altro Castiglioni desideroso di assumerlo: peraltro dubito che Castiglioni abbia avuto bisogno di leggerlo, ma di desiderosi di assumerlo ce n'era più di uno: pare ad esempio che l’altro grande "patron" di quegli anni, Ivano Beggio, avesse fatto follie per provare a portarlo in Aprilia senza però riuscirci.

Ovviamente lo conservo ancora: sette paginette scarne di testo ma ricche di fatti: un lungo elenco di moto, brevetti e successi sportivi. Le riporto qui, come testamento postumo a quasi un quarto di secolo da allora. All'epoca Tamburini aveva 57 anni e le cose migliori le aveva già fatte, come avviene più o meno a tutti; ma le cose migliori erano così tante che credo che in pochi le ricorderanno tutte.

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