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La globalizzazione è forse in crisi, ma intanto ha già cambiato a fondo il mondo della moto. Sapete dove le Case costruiscono le loro moto? Ecco la mappa completa, Marchio per Marchio
Il mondo globale, che sembra aver reso tutto più facile, richiede in realtà più attenzione per capire le cose. Prendiamo le moto: solo due decenni fa erano caratterizzate geograficamente in un modo strettissimo: Ducati e Morini pescavano dal florido indotto bolognese (telai Verlicchi, sospensioni Marzocchi, carburatori o iniezione Weber ecc.) mentre MV Agusta attingeva a quello del varesotto; e prima che italiane, le loro moto erano “regionali”.
Nel giro di pochi anni tutti i confini e le identità si sono sfumati: soprattutto a partire dai primi anni 2000, quando il WTO ha aperto ai Paesi asiatici e il baricentro delle produzioni si è spostato verso oriente, alla ricerca di condizioni più favorevoli. Prima Taiwan, poi la Cina e infine Vietnam, Thailandia e Indonesia hanno offerto queste condizioni: basso costo della manodopera, basso costo dell’energia, bassa tassazione, qualità crescente. Mettiamoci anche costi del trasporto sempre più convenienti, e il risultato è aver messo fuori gioco buona parte delle produzioni occidentali (moto ma anche scarpe, vestiario, illuminazione, acciaio e via dicendo) e poco dopo anche quelle dell’Europa dell’Est.

Delocalizzazione: un'arma a doppio taglio
Un fenomeno estremamente rapido e, bisogna dirlo, ben poco disciplinato dall’Occidente (sia l’Europa che gli USA, mentre il Giappone è stato un po’ più attento) che ha visto nel giro di pochi anni gran parte della manifattura spostarsi in questi Paesi emergenti, che sono diventati la “fabbrica del mondo”: con due conseguenze evidenti, e molte nascoste. Le due conseguenze più evidenti sono state prezzi più convenienti per i consumatori e profitti più alti per i grandi marchi.
Ma insieme è arrivata la perdita delle fabbriche e delle competenze, il mutamento dei rapporti di forza tra Occidente e Oriente, sempre più evidente in questi mesi in cui gli Stati Uniti, dopo averci provato con le buone (il ritorno dell’energia a buon mercato negli USA con l’esplosione del “fracking” sotto l’amministrazione Obama) adesso provano a riportare in patria la manifattura con le cattive (i dazi di Trump, un chiaro tentativo di chiudere la stalla quando i buoi sono usciti).

Le moto prodotte Continente per Continente
Ma lasciamo da parte le valutazioni geopolitiche e facciamo una foto del mondo della moto oggi, per capire cosa è diventato negli ultimi 20 anni. I primi a mettere il naso fuori casa sono stati i giapponesi, che praticamente da subito hanno avuto una visione globale, stabilendo presidi non solo commerciali, ma anche industriali in tutti i mercati più importanti – basti ricordare l’arrivo di Honda In Europa e negli Stati Uniti fin dagli Anni 60.
Grazie alla gigantesca rete produttiva globale che ha costruito nell’ultimo mezzo secolo, il Giappone produce oggi 27 milioni di moto, quasi la metà dei 60 milioni che si costruiscono ogni anno. Ovviamente non le realizza tutte in Giappone (dove non si arriva più nemmeno al milione) ma principalmente in India, Cina, Sudest asiatico e un po’ in tutto il mondo. Sul podio le Case cinesi con oltre 20 milioni di moto e le indiane con oltre 14 milioni, quasi tutti prodotti sul suolo nazionale a differenza del Giappone.
E se gli USA, perlomeno dal punto di vista motociclistico, sono ripiegati su sé stessi e sulla propria tradizione, pur se con qualche prudenza si è mossa l’Europa. Tradizionalmente divisa in piccole aziende regionali e senza “campioni nazionali” come quelli favoriti dal governo nipponico, l’Europa ha poche aziende di dimensione rilevante a livello internazionale: fondamentalmente soltanto il Gruppo Piaggio e il Gruppo KTM, entrambi con traiettorie di crescita per acquisizione e consolidamento di marchi diversi.

Piaggio, KTM, BMW
Non è un caso che i due Gruppi si siano attivamente mossi per delocalizzare parte delle loro produzioni: Piaggio, che era sbarcata in India già nel 1963 ed è stata per un periodo della sua storia in orbita Fiat (con il matrimonio tra Antonella Bechi Piaggio e Umberto Agnelli), assorbendone la cultura manageriale, crea una joint-venture a Foshan, in Cina, attiva fin dal 1994 e tuttora funzionante; poi apre stabilimenti di sua proprietà in Vietnam (2007), India (2012) e Indonesia (2022).
Quanto a KTM, rilanciata da Stefan Pierer a partire dal 1992, ha approfittato dell’ingresso nel capitale sociale di Bajaj per avviare la produzione della piattaforma monocilindrica 4T stradale (125 – 390) a Pune, in India, e più di recente ha attivato una joint-venture con i cinesi di CFMOTO per le bicilindriche LC8c. A questo si aggiungono le cosiddette “CKD”, le moto “in kit” pronte da montare che vengono assemblate in Paesi che hanno forti dazi sui prodotti esteri come Argentina, Brasile e Colombia. A differenza di Piaggio e delle Case giapponesi, ma anche di Triumph e Ducati, KTM non ha però stabilimenti propri al di fuori dell’Austria.
Anche BMW adotta la politica dei CKD, oltre ad avere affidato alcune produzioni agli indiani di TVS (le mono 310 e le future 450 bicilindriche) e ai cinesi di Loncin (i motori F 900). Mentre Triumph produce ormai la quasi totalità dei suoi modelli in Thailandia, dove si è affacciata anche Ducati con uno stabilimento per il momento secondario, a supporto di quello di Borgo Panigale.

Il ruolo dell'Europa
L’Europa è comunque un nano in termini di volumi: mettendo insieme tutto, comprese quindi le moto prodotte in Asia, vale circa il 5% delle moto mondiali: 1,2 milioni sui 60 totali. E abbiamo fin qui parlato di moto europee ma bisognerebbe andare a vedere la provenienza dei loro componenti, che non è più locale come all’inizio della nostra storia ma in larga parte legata comunque a fornitori asiatici. Lo stesso vale per il Giappone, che però come abbiamo visto li controlla in maniera più diretta.
Nei grafici qui sotto vedete la situazione della produzione Casa per Casa.

1. Le Case giapponesi


Negli Anni 60 Honda inizia la sua espansione internazionale nel settore motociclistico, diventando un colosso globale. Con una produzione annua di circa 19,5 milioni di moto (su un totale mondiale di 60), è il principale produttore globale, riuscendo a proporre sia modelli a prezzi bassissimi sia modelli evoluti e sofisticati. Le sedi produttive principali sono in Asia (Cina, India, Thailandia) e Sudamerica (Brasile, Argentina), con una presenza minore ma storica anche in Europa, grazie alla fabbrica di Atessa e a un piccolo presidio in Spagna con Montesa.

Secondo produttore giapponese per volumi, Yamaha realizza circa 5 milioni di moto all’anno. Saldamente basata nella sua sede storica di Iwata in Giappone, mantiene un’importante presenza anche in Europa con una sede di progettazione e stile a Gerno di Lesmo, dove è concentrata anche l'attività racing. La produzione europea è invece concentrata in Francia, dove vengono realizzati diversi modelli fino alla fascia media. Gran parte del volume produttivo rimane comunque in Asia, con circa un milione di pezzi realizzati ogni anno in India, Vietnam e Indonesia.

Suzuki, terzo costruttore giapponese, produce circa 2 milioni di moto all’anno. La sede storica si trova a Hamamatsu, dove vengono sviluppati i progetti ingegneristici e di stile. L’azienda ha una lunga e forte presenza sul mercato indiano, anche grazie alle radici consolidate nel comparto automobilistico, e realizza i suoi volumi con modelli entry-level, molto lontani da quelli con cui è presente in Europa e USA.

Kawasaki è il più piccolo tra i produttori giapponesi di moto, con una produzione che si attesta intorno al mezzo milione di unità l’anno. Negli ultimi 30 anni ha registrato una crescita costante, con una presenza produttiva concentrata soprattutto in Indonesia, dove opera attraverso due stabilimenti, e sedi minori in Sud America. Dal 2019 è proprietaria al 51% di Bimota.

2. Le Case cinesi


Con una produzione annua di circa 2 milioni di moto, Loncin è uno dei principali attori della scena motociclistica cinese. I suoi modelli vengono distribuiti in Europa principalmente con il marchio Voge. L’intera attività dell’azienda, dalla ricerca alla produzione, è localizzata in Cina, ma un ruolo crescente sta assumendo la consulenza del distributore italiano Padana Sviluppo.

QJ Motor, colosso da 1,2 milioni di moto l'anno, ha acquisito oltre 20 anni fa Benelli, mantenendo una forte presenza in Italia, con la sede progettuale e stilistica a Pesaro. Solo di recente è arrivata da noi la produzione a marchio QJ, sviluppata nella sede centrale in Cina dove si concentrano la produzione e la gestione operativa. Da un paio d'anni anche il marchio Morbidelli è entrato nella galassia QJ.

Zontes è il marchio con cui il gruppo Tayo Motorcycles, che produce circa un milione di moto all’anno, si presenta in Occidente. Tutte le attività di ricerca e sviluppo, fino alla produzione, vengono svolte in Cina. In Italia e in alcuni altri Paesi europei i modelli Zontes vengono distribuiti da Beta Motorcycles.

Realtà da mezzo milione di moto l'anno, più una presenza anche nel mondo dell'auto, Shineray da qualche anno ha acquisito SWM, rilevando le strutture ex Husqvarna di Biandronno dopo che il brand svedese passò da BMW al Gruppo KTM. Pur avendo una certa libertà progettuale, SWM è rimasta di piccole dimensioni, con una produzione di qualche migliaio di pezzi all’anno. Le moto vengono realizzate interamente in stabilimenti situati in Cina.

CFMOTO, con sede nella città cinese di Angzu, arriva a produrre circa 350mila moto all’anno. La progettazione e lo sviluppo stilistico avvengono in Cina, ma l’azienda è presente anche in Italia, a Rimini, con lo studio “Modena 40” e collabora con Kiska Design per alcune attività stilistiche. In Italia il marchio viene distribuito dalla società Padana Sviluppo. Nato con quad e ATV, è presente anche nel Mondiale Velocità e ha avviato una collaborazione con KTM.

Kove è un’azienda emergente, con una produzione annua di circa 25.000 moto. È specializzata in prodotti orientati ai mercati occidentali, e la sua sede e tutti gli impianti produttivi si trovano interamente in Cina.

Moto Morini fa parte del gruppo cinese ZNEN, ma mantiene in Italia, a Trivolzio, la sede principale della progettazione e sviluppo stilistico. L’azienda non dichiara le moto prodotte all'anno, che dovrebbero essere dai 300.000 ai 500.000 pezzi e non vanta una lunga tradizione nel campo della produzione motociclistica, il che speiga la grande libertà progettuale in Moto Morini.

3. Le Case indiane


Nata come ramo indiano di Honda, Hero è oggi uno dei maggiori costruttori di moto in India e nel mondo, con circa 6 milioni di pezzi prodotti ogni anno. L’intera attività di sviluppo e produzione è localizzata in India, a Nuova Delhi, ma mantiene una relazione storica con il Regno Unito che spiega in parte lo sviluppo di modelli più evoluti.

Secondo produttore motociclistico per dimensioni in India, TVS realizza circa 4 milioni di moto all’anno. Tutti i modelli, esclusivamente di bassa cilindrata (fino a 200 cc), vengono progettati e prodotti interamente in India; da poco TVS è distribuita anche nel nostro Paese.

Bajaj è tra i nomi più conosciuti a livello internazionale, anche grazie all’ingresso nel capitale sociale di KTM di cui ora detiene la maggioranza. Produce principalmente in India, con alcune dislocazioni anche in Sud America, in Brasile soprttutto. Con circa 3,7 milioni di pezzi all’anno, si concentra su moto di piccola cilindrata ed è attiva anche nel settore automotive.

Originariamente inglese, Royal Enfield si è trasferita in India nella prima metà del Novecento e non è mai più tornata nella madrepatria. Le attività di progettazione e stile sono oggi suddivise tra l’India e il Regno Unito, nella sede staccata di Lutterworth. Inizialmente specializzata in modelli di grande cilindrata ma con volumi ridotti, ha registrato una crescita significativa fino a raggiungere il record di 850.000 pezzi nel 2024.

4. Le Case americane


Harley-Davidson ha raggiunto in passato una produzione di oltre 300.000 moto l’anno, con impianti situati a Milwaukee, in Brasile (CKD) e, più recentemente, anche in Thailandia. Negli ultimi anni però, anche a causa della mancata produzione di modelli nelle cilindrate minori, i volumi si sono ridotti fino a circa 150.000 unità annue.

Marchio storico americano, rilanciato dal Gruppo Polaris dopo anni di incertezze, Indian ha vissuto una fase di forte espansione seguita da un rallentamento, dovuto in parte alla mancanza di produzione nel segmento delle cilindrate più basse. Attualmente la produzione si attesta intorno ai 20.000 pezzi l’anno.

Zero è un’azienda californiana nata nei primi anni 2000, specializzata nella produzione di moto elettriche. È oggi il maggior produttore del settore, sebbene il mercato resti limitato, con una produzione di circa 3.000 pezzi l’anno. Dal 2024 ha un accordo con Zongshen per la produzione in Cina della gamma piccola ed economica, le XE ed XB con cui i volumi dovrebbero crescere: anche l'elettrico non sfugge alle logiche della globalizzazione...

5. Le Case europee

Il gruppo Piaggio produce circa 500.000 moto e scooter all’anno, con un ricco portafoglio di marchi storici (Vespa, Moto Guzzi, Aprilia) di cui alcuni "dormienti" come Laverda, Gilera, Derbi. La produzione, ben sviluppata anche nel settore commerciale, è cresciuta negli ultimi anni grazie ai numerosi insediamenti produttivi in India, VIetnam e Indonesia, ma sempre con un’identità molto italiana: sede principale a Pontedera, sviluppo moto a Noale, produzione anche a Scorzé (Aprilia) e Mandello (Moto Guzzi).

Protagonista di una rapida crescita negli ultimi 20 anni e di una improvvisa crisi nel 2024, KTM si è sviluppata anche acquisendo altri marchi (Husqvarna, GASGAS e per un breve periodo MV Agusta). Arrivata a produrre oltre 300.000 pezzi l'anno, di cui oltre 200.000 in Austria e il resto in India (dal partner Bajaj) e Cina (da CFMOTO), ha la sede principale in Austria con R&D, produzione e attività racing.

BMW è una delle realtà più solide del panorama europeo, con una produzione annua di circa 220.000 moto. La sede produttiva principale è a Berlino, dove si svolge anche una parte della ricerca, ma l’headquarter, insieme alla sede progettuale e stilistica, è da sempre a Monaco. Per mantenersi competitiva, BMW negli ultimi anni ha sempre lavorato con partner prima europei (Rotax, Aprilia), poi taiwanesi (Kymco) e attualmente cinesi (Loncin) e indiani (TVS).

In poco più di 30 anni Triumph ha saputo affermarsi come una potenza a livello continentale, superando le 100.000 unità annue, con una produzione che si attesta intorno ai 140.000 pezzi. L’azienda inglese ha trasferito ormai tutta la propria produzione, delocalizzandola in Thailandia, dove oggi viene realizzato circa il 95% dei modelli. Solo alcuni particolari modelli restano in produzione nel Regno Unito, dove si trova anche la sede progettuale e stilistica.

L'azienda italiana più famosa nel mondo è legata a doppio filo alla sede storica di Borgo Panigale, che ha però una capacità produttiva limitata a 50.000 moto l'anno. Anche per questo Ducati ha da qualche anno aperto uno stabilimento in Thailandia per alcuni modelli della parte bassa e media della gamma, con una produzione attualmente stimata in circa 10.000 pezzi l'anno.

Storica azienda di Rignano sull'Arno, provincia di Firenze, è attiva quasi solo in ambito off-road, ma con una fabbrica molto moderna e una produzione (non dichiarata) che dovrebbe aggirarsi attorno ai 20.000 pezzi l'anno, venduti in tutto il mondo.

Da noi è poco conosciuta, ma la Casa spagnola con le sue piccole cilindrate di taglio soprattutto "off" è costantemente vicina a quota 20.000 moto l'anno, tutte realizzate nello stabilimento di Figueres, vicino a Girona, ed è molto attiva: ha rilevato il progetto delle enduro specialistiche 2T ex GASGAS e ha da poco iniziato a collaborare con la Cina per le motorizzazioni bicilindriche, che dovrebbero dare ulteriore crescita.

Protagonista di una crescita tumultuosa negli ultimi anni, il brand ex lombardo e ora veneto produce circa 10.000 moto l'anno, prevalentemente negli stabilimenti bolognesi Minarelli. R&D e stile sono invece nella sede principale a Dosson di Casier (TV).

Azienda dalla storia travagliata ma dal prestigio intatto, dopo pochi mesi in orbita KTM MV è tornata indipendente. Nel 2024 ha prodotto circa 4.000 moto, tutte di alta gamma e ambite in tutto il mondo.

Praticamente un reparto corse che vende le sue moto, TM ha una gamma ampia di modelli prevalentemente off-road e solo monocilindrici, ma tutti all'avanguardia. Viene fatto tutto nella storica sede di Pesaro, con volumi che oscillano tra le 1.500 e le 2.000 moto l'anno.

Da qualche anno controllata da Kawasaki, Bimota è l'atelier italiano per eccellenza: pochissime moto con caratteristiche ed estetica assolutamente unici. Parliamo al momento di meno di 1.000 moto l'anno, probabilmente non più di qualche centinaio.
Cosa ci dicono questi numeri
Quali lezioni possiamo trarre da questa situazione?
La prima: l’Italia (l’Europa) conta molto poco. Tolta Piaggio, abbiamo soltanto aziende strutturate per soddisfare il mercato interno, non per esportare in modo significativo. È qui il limite del “piccolo è bello”. Chi ha avuto successo ha saputo crescere, ovviamente sacrificando parte della sua “artigianalità” ma conquistando successo nel mondo, come ad esempio la Ferrero.
La seconda: Cina, India e Giappone stanno comprando marchi europei perché costano poco; e costano poco perché valgono poco: le nostre aziende sono piccole, poco ramificate e in definitiva deboli. È ben più facile comprarsi Ducati che non Yamaha, senza contare che i giapponesi non vendono nemmeno i marchi minori e chiusi, per cultura e per principio prima ancora che perché sono marchi con meno storia e fascino dei nostri.
Questa non è un’apologia della crescita a tutti i costi, ma è indubbio che il mondo globale sia un mare aperto in cui puoi incontrare pesci dieci o cento volte più grandi di te. Chi ha sostenuto una globalizzazione a ritmo accelerato si illudeva di poter dominare lo sviluppo della Cina e dell’India, che stanno invece prendendo un posto nel mondo proporzionale alla propria dimensione – e a lungo termine non poteva essere altrimenti.

Rilocalizzazione, la sfida dei prossimi anni
Si può sopravvivere in qualche modo? La partita è tutta da giocare, ma che piaccia o no il futuro a medio termine sarà in larga parte fatto da produzioni in Paesi a basso costo, coordinate da Paesi più sviluppati (e costosi).
Sembrano poter fare eccezione Cina e India, che ambiscono, soprattutto la Cina, ad essere contemporaneamente sviluppati e poco costosi, integrando verticalmente tutta la filiera. Per tutti gli altri occorrerà qualche forma di collaborazione per restare competitivi, che è il grande tema dei prossimi anni.
Nell’immediato c’è invece il tema dei dazi e della riallocazione della manifattura, la grande scommessa americana di riuscire anche lei a integrare verticalmente la filiera (non tanto nell’ambito moto, che è sempre un dettaglio). Ma se per annunciare i dazi ti bastano 10 minuti, poi per spostare una fabbrica ci vogliono 5 o 10 anni, per formare i lavoratori anche di più; e bisogna vedere che cosa succederà nel frattempo.

Indietro non si torna
Tornando all’inizio del nostro discorso, il mondo globale è insomma decisamente complesso, e pone sfide la cui soluzione è per natura “multilaterale”, ovvero coinvolge attori diversi, con punti di vista e spesso culture lontani fra loro. Non c’è una soluzione semplice, e di sicuro non si può tornare indietro come molti spererebbero.
Con tutta evidenza, la storia indietro non va: nonostante tutto l’impegno che ci è stato messo la Gran Bretagna non è tornata impero, la Russia non è tornata in mano agli zar e l’agricoltura non è tornata a usare i buoi e il concime naturale. Bisogna che anche il mondo della moto faccia i conti con il presente, per poter progettare il suo futuro.





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