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Perché i 125 non possono andare in autostrada

Marco Gentili il 21/09/2018 in Attualità

L'inchiesta di Dueruote: l'Italia è l'unico Paese in Europa dove esiste questo limite. Dovuto principalmente all'opposizione dei gestori delle Autostrade

Perché i 125 non possono andare in autostrada
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“Ce lo chiede l’Europa”. Ce lo sentiamo dire spesso, dai nostri politici, quando devono farci digerire qualche provvedimento indigesto. Ma se c’è una cosa che l’Europa ci chiede, e che potrebbe portare oggettivi benefici a una determinata categoria di persone, la nostra indole masochistica fa sì che non ci allineiamo. È proprio ciò che è accaduto con gli scooter 150, un mercato che esiste grazie all’estro legislativo italiano. Il nostro è infatti un Paese che vanta un poco invidiabile primato. È l’unico nell’Unione europea in cui quelli che comunemente chiamiamo “125” (ossia i mezzi con cubatura fino a 149 cc; ndr) non possono circolare su autostrade e tangenziali. Qualche anno fa siamo stati molto vicini a entrare in Europa anche noi, eppure ci siamo fermati sul più bello, con un decreto approvato dalla Camera ma intrappolato da lacci e lacciuoli di tipo burocratico, corporativo e lobbistico.

Cosa succede all’estero

Adesso però guardiamo al di là dei confini del nostro piccolo Paese. Negli altri paesi europei non esistono limitazioni alla circolazione dei motocicli 125 cc su autostrade e tangenziali. In alcuni paesi europei il criterio per discriminare la possibilità di accesso alle autostrade non è rappresentato dalla cilindrata, bensì dalla velocità minima che può raggiungere il motociclo (di norma 60 o 70 km/h). Nella maggior parte degli stati possono circolare sulle autostrade a bordo di un motociclo anche i minorenni, con la sola eccezione di quei Paesi nei quali il conseguimento della patente A1, necessaria a condurre motocicli 125 cc, è fissata a 18 anni, indipendentemente dal tipo di strada su cui si circola. Infine, nei Paesi dove con la patente B si possono condurre motocicli 125 cc (e nei quali vige, come in Italia, l’equivalenza tra la licenza B e la A1), è sempre consentito l’accesso in autostrada alla guida di un motociclo 125 anche ai titolari della patente per auto, con la sola eccezione della Gran Bretagna.

Un rebus per i produttori

La normativa italiana, insomma, va contro a ciò che succede in Europa. E per permettere agli scooteristi di poter viaggiare su autostrade e tangenziali i costruttori si sono dovuti inventare un segmento ad hoc per il nostro Paese, ossia quello dei 150. “È chiaro che le regole in vigore in Italia hanno costretto tutti coloro che competono in questo segmento a creare questa nuova cilindrata, che comporta per tutti i produttori un aggravio di costi”, spiega Fabrizio Corsi, Product Planning manager di Yamaha. ”Se da un lato è vero che 125 e 150 coincidono per l’80% delle componenti, a livello di linee di produzione e di stock per un costruttore è come avere due modelli distinti”.

Cosa succede in Italia

Dunque i 125 non sono i benvenuti in autostrada. Eppure tale provvedimento permetterebbe di snellire moltissimo il traffico non tanto sulle lunghe distanze, ma sui tragitti tipici del commuting urbano, come una tangenziale o una percorrenza di un paio di caselli. Tanto più che in Italia i guidatori di questi mezzi sono spesso automobilisti in possesso della sola patente B che usano lo scooter come mezzo di servizio, in alternativa all’automobile. Loro però, stante l’attuale quadro legislativo, in autostrada non possono metterci piede (anzi, ruota). E nonostante nella scorsa legislatura sia stato compiuto un atto importantissimo.

Nel 2013 infatti la Camera dei deputati iniziò la discussione di un disegno di legge di riforma del codice della strada (che, nella sua attuale formulazione, risale al 1992). In quell’occasione Ancma presentò un pacchetto di emendamenti che conteneva, tra l’altro, la possibilità di accesso dei 125 in autostrada. Nel luglio 2014 l’emendamento venne approvato, con la seguente formula: “L’aggiornamento delle disposizioni concernenti la circolazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali, consentendo l’accesso di motocicli di cilindrata non inferiore a 120 cc., se guidati da conducenti maggiorenni”. Passò quindi il principio che, per essere guidato in autostrada o tangenziale, lo scooter 125 dovesse essere condotto da un maggiorenne. Il disegno di legge passò quindi al Senato, dove iniziò a trovare i primi ostacoli: vennero presentati alcuni emendamenti di abrogazione della proposta di Ancma. L’iter del provvedimento si bloccò a metà a Palazzo Madama per la mancata copertura finanziaria di alcune misure in esso contenute. Nonostante alcuni tentativi di riformulazione del testo, il disegno di legge non è stato mai approvato ed è decaduto con la fine della legislatura nel 2018.

Lo scontro istituzionale

Che le cose sarebbero andate male però si era capito già tra il 2014 e il 2015. Allora, nel corso di due incontri istituzionali tra Ancma e Aiscat (l’associazione che raggruppa i concessionari di autostrade), proprio mentre il pacchetto di emendamenti veniva licenziato dalla Camera e approdava al Senato, gli emissari dei costruttori di moto si sono sentiti dire senza giri di parole che non era interesse dei concessionari ampliare la platea degli utenti autostradali. “Per Aiscat le moto sono poche e non generano un volume di traffico significativo - dice una fonte che è stata vicina al dossier - quindi non ritennero di dover facilitare l’ingresso dei 125”. La questione è duplice. Da un lato aumentare il numero di due ruote in autostrade e tangenziali incrementa il rischio potenziale di incidentalità. Le moto sono - sebbene a torto, come si vede dai dati che ci ha fornito ACI e sono riportati nella tabella qui a destra - ritenute veicoli “a rischio”. E dalle cifre di Autostrade per l’Italia, apprendiamo che nel 2017 appena il 2,6% degli incidenti ha registrato il coinvolgimento di veicoli a due ruote.

Fatto sta che far entrare più veicoli a due ruote sulla rete significa per i concessionari rischiare di aumentare l’incidentalità sui tratti da loro gestiti. E il calo del numero dei sinistri è uno dei fattori principali (assieme agli investimenti sull’infrastruttura) di cui il concedente (ossia lo stato italiano; ndr) tiene conto nel momento in cui il concessionario chiede un ritocco verso l’alto dei pedaggi, cosa che avviene regolarmente ogni anno. Il ragionamento di Aiscat, dal suo punto di vista, non fa una piega: perché rischiare di non ottenere un aumento delle tariffe, in cambio di un guadagno risibile dovuto all’allargamento della platea dei veicoli che possono accedere in autostrada? Dal nostro punto di vista, ossia quello dei motociclisti, questa rappresenta la classica difesa corporativa di un interesse particolare.

Il muro di Aiscat

Il neopresidente di Ancma, Andrea Dell’Orto, non dimentica la fatica fatta a vuoto nella scorsa legislatura su questo fronte da parte dell’associazione: “Il tema dei 125 in autostrada non ha mai avuto effettivamente l’attenzione che meritava - dice - e soprattutto non è mai entrato in agenda prima che proprio Confindustria Ancma iniziasse a porre il problema. Va sottolineato inoltre che negli anni si è registrata anche una certa resistenza da parte delle società che gestiscono la rete autostradale e questo ha ulteriormente rallentato il cammino di allineamento con il resto d’Europa”.

Già, ma qual è la posizione di chi gestisce le autostrade? Abbiamo cercato per quattro mesi di metterci in contatto con Fabrizio Palenzona, presidente di Aiscat, la società che rappresenta i concessionari di autostrade. A lui abbiamo chiesto perché i 125 non possono entrare in autostrada, come accade in tutta Europa, e quali sono le ragioni che sono alla base di questo divieto. Domande che non hanno ottenuto risposta: mesi di mail e telefonate per sentirsi rispondere dall’ufficio stampa che tali questioni sono ritenute “poco interessanti” da Aiscat. Il muro di silenzio e rigidità sollevato da Aiscat sulla questione dev’essere lo stesso con cui si sono scontrati (senza successo) i rappresentanti di Ancma.

E adesso?

Adesso però, con un nuovo governo in carica, la volontà di Ancma è quella di ricominciare dal punto in cui ci si era arenati. “La nascita del nuovo Governo ci rende fiduciosi e ci permette di avere gli interlocutori istituzionali per raggiungere questo risultato - prosegue Andrea Dell’Orto - , auspicabilmente il prima possibile. Credo che ora i tempi siano maturi anche per superare le ultime barriere di carattere tecnico e culturale: non ci sono motivi per negare ancora l’accesso in autostrada a questi veicoli”. Chissà se chi gestisce la rete autostradale la pensa allo stesso modo.

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