Si chiamava Barry Sheene ed era di quelli che nascono con il segno del destino impresso da qualche parte. Era inglese, era bello, aveva talento in moto, era spericolato e anche un po' ribelle. In più aveva fatto le sue stagioni migliori, quelle dei due titoli mondiali nella 500 (1976-77) in sella alla Suzuki, una cosa che quando ci riesci devi rimanere nella storia per forza.

Campione in un'era fra le più pericolose dell'era del motociclismo - a cui le sue 67 fratture rappresentano un triste tributo - Sheene era sempre sorridente e scanzonato, attirandosi le simpatie dei ragazzi e i sospiri delle ragazze. Fu il primo a rinunciare al numero 1 guadagnato nel 1976 per mantenere il suo "career number" 7, e il primo a volere una tuta sgargiante anziché nera. Aveva un alter ego in Formula 1, il suo amico James Hunt al quale non a caso è già stato tributato un film pochi anni fa. Ora è il suo turno, meritato: perché Sheene con il suo stile di vita sopra le righe è stato soprattutto il primo a portare il motociclismo fuori dalla ristretta cerchia dei suoi appassionati, guadagnandogli l'attenzione dei media e facendolo crescere in tutti i sensi. E di questo ancora oggi non si può non essergli grati.