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Il rilancio della Bimota

il 26/06/2003 in Attualità

Un successo incredibile per una piccola azienda nata dalla passione. Vittorie mondiali e crescita commerciale. Poi anni di difficoltà, infine la chiusura. Oggi la Bimota rinasce e presenta nuovi modelli e nuove strategie

Il rilancio della Bimota Un successo incredibile per una piccola azienda nata dalla passione. Vittorie mondiali e crescita commerciale. Poi anni di difficoltà, infine la chiusura. Oggi la Bimota rinasce e presenta nuovi modelli e nuove strategie

di Luigi Rivola


È naturale gioire per il ritorno sulla scena internazionale di questo storico marchio che ha avuto una parte fondamentale nel rilancio complessivo della motocicletta italiana nel mondo, a prescindere dalle sue limitate dimensioni industriali. Ma gioire non significa festeggiare. Per questo c'è tempo: sta alla Bimota e ai suoi nuovi dirigenti far sì che gli errori del passato non si ripetano e che ciò che verrà proposto possieda quell'inventiva, quell'originalità, quella qualità e quella bellezza che le motociclette progettate e costruite a Rimini possedevano, dimostrando a tutti di essere prodotti eccezionali e non solo moto con un marchio diverso sul serbatoio.


Il rilancio ufficiale della Bimota è stato avviato a Misano in occasione del GP di San Marino del Mondiale Superbike, presenti i tre esponenti di spicco della nuova gestione: il presidente, Lorenzo Cavalieri Ducati, figlio di uno dei fondatori dell'azienda di Borgo Panigale, Giuseppe Della Pietra, amministratore delegato, e Marta Maragno, responsabile marketing.
Attualmente la Bimota mantiene la sede nello stabilimento di via Giaccaglia a Rimini, ma il rapporto di stretta collaborazione instaurato con l'azienda toscana Carbon Dream, che si occuperà della modelleria, ha convinto i responsabili dell'azienda della necessità di un suo trasferimento in Toscana, tra Firenze e Siena, che avverà quanto prima.

Un'altra decisione strategica è la collaborazione con la Giugiaro Design, che avrà parte costantemente attiva nella ridefinizione della gamma produttiva e che è già stata incaricata del design, della progettazione e dello sviluppo di un nuovo modello supersportivo nel quale troveranno applicazione tecnologie molto avanzate proprie del mondo dell'auto.
La produzione annua della Bimota non supererà le 400 moto all'anno con una gamma costante di non più di due-tre modelli.

I nuovi modelli


Il piano annunciato dalla nuova gestione della Bimota prevede la commercializzazione immediata via Internet, sul sito www.bimota.it, o presso la sede Bimota, di due nuovi modelli: l'SB8K, replica stradale della Bimota con cui Gobert vinse una manche del GP d'Australia SBK nel 2000, e la 666 (nome non ancora definitivo) una grintosa special con motore Ducati 1000 raffreddato ad aria dell'ultima generazione, realizzata in collaborazione con la NCR di Bologna.
Di questi due modelli saranno prodotti 50 esemplari numerati ciascuno, contrassegnati da una targhetta commemorativa dei 30 anni di vita della Bimota (1973-2003); le prenotazioni saranno evase a partire dall'ultimo trimestre del 2003.


L'assistenza e la manutenzione ordinaria e straordinaria sarà effettuata direttamente dalla Casa, che fornirà al cliente, assieme alla moto, una speciale cassa da utilizzare in caso di necessità.
I prezzi dei nuovi modelli sono stati fissati in 31.500 ? + IVA per la SB8K e 25.500 ? + IVA per la 666.
Accanto a queste novità già avviate alla produzione, la Bimota ha presentato a Misano un prototipo evoluto chiamato "Drako", un'elegante, agile e tecnologica naked che come progetto risale alla precedente gestione, ma che ha già subito diversi interventi migliorativi da parte dei tecnici della nuova Bimota, guidati dal direttore tecnico, ing. Alberto Strada.


Cathcart ha provato la Drako

di Alan Cathcart



La Drako nasce come rivisitazione della sportiva Mantra, ma il manubrio (largo e rialzato) Tommaselli in lega leggera, l'inclinazione del cannotto di sterzo portata a 23° (con la conseguenza di un'avancorsa ridottissima: 91 mm) e l'interasse di soli 1.370 mm non lasciano adito a dubbi: la Drako è un'arma micidiale per il misto stretto.
Infatti, la prima qualità ad emergere è proprio la sua fulmineità nei cambi di direzione. In realtà, date le velleità sportive di questa naked, il manubrio pare addirittura troppo largo e non consente, alle alte velocità, la canonica posizione accucciata. Peccato, perché la Drako è estremamente stabile anche alle alte velocità (sopra i 200 orari) e non ha problemi in staccata, grazie ad un impianto frenante di alto livello, col doppio disco anteriore Brembo da 320 mm, e soprattutto a robusti steli forcella (quest'ultima una Paioli derivata da quella della Sportiva YB11) di ben 51 mm di diametro.



Un piccolo problema pratico sta nella durezza dell'estrazione del cavalletto laterale, ma crediamo dipenda dal fatto che l'esemplare in prova è un prototipo; di maggior rilevanza è, invece, la troppa ampiezza del raggio di sterzo, che influisce negativamente sulla maneggevolezza, soprattutto nelle manovre da fermo.

La storia della Bimota

di Luigi Rivola


La YB1 250/350: la moto che ha lanciato la Bimota nel mondo delle corse internazionali

Quel giorno, mercoledì 4 luglio 1973, sul circuito Santamonica di Misano Adriatico era in programma un avvenimento importante: Roberto Gallina, pilota ufficiale Benelli di fresca nomina in sostituzione di Walter Villa, fuori gioco per una serie di brutte cadute, provava per la prima volta le 350 e 500 quattro cilindri della marca di Pesaro. C'era il reparto corse al completo, guidato dall'ingegner Aurelio Bertocchi, e c'era il sottoscritto, con block-notes, penna e macchina fotografica, alle prime esperienze da giornalista specializzato dopo alcuni anni di militanza agonistica.
In un box c'erano alcune persone, fra cui il pilota riminese Luigi Anelli, in quel momento uno dei seniores emergenti, e una stupenda e specialissima Honda 750, chiaramente e radicalmente rifatta in tutta la parte ciclistica e col motore profondamente elaborato. Non era la solita "Special" assemblata in garage nei ritagli di tempo: esaminando la moto, balzava infatti subito all'occhio uno studio accuratissimo dell'estetica, che non si limitava al disegno armonico e contemporaneamente aggressivo del complesso sella-serbatoio-carenatura.
L'impressione era suffragata dalla mancanza degli immancabili scompensi stilistici tipici di un progetto portato avanti per singoli componenti senza una visione d'insieme, e da una verniciatura perfettamente eseguita e fatta di arditi, ma piacevoli accostamenti cromatici. Una cura quasi maniacale era stata posta nella realizzazione dei minimi dettagli, quali gli accoppiamenti dei singoli elementi della carrozzeria, le saldature del telaio e il disegno di diversi componenti in lega leggera realizzati in proprio.
Il progettista di questa meraviglia era un artigiano riminese appassionato di moto, Massimo Tamburini, già noto nel ristretto ambito dei preparatori di moto, al punto che la piccola società che aveva fondato assieme all'amico Giuseppe Morri, stava allestendo in quel periodo anche un telaio per la Paton 500 da Gran Premio. Nel 1974 la Bimota fece scendere in pista una Yamaha 250/350 radicalmente rifatta e ricca di soluzioni innovative nella ciclistica e nell'aerodinamica, ma anche più leggera di ben 10 kg rispetto alla stessa moto da corsa che la Casa giapponese vendeva ai piloti privati di tutto il mondo. La moto si dimostrò subito non solo competitiva, ma addirittura vincente e la fama dell'azienda artigianale di Rimini si sparse in un lampo in tutto il mondo motociclistico.
Continuando a sperimentare idee e tecniche nelle corse, la Bimota mise in produzione kit di trasformazione per le più diffuse moto sportive giapponesi del momento, accessori speciali e telai e forcelloni per moto da gran premio, che furono acquistati in gran numero non solo dai piloti privati, ma anche dai reparti corse delle Case che correvano ufficialmente.


Nel 1977, al culmine di una popolarità data dalle vittorie nelle corse internazionali di velocità, fra cui quelle del campionato mondiale delle classi 250 e 350, la Bimota fece esordire la sua prima motocicletta completa: la SB2, un capolavoro che stupì gli stessi industriali giapponesi. Da quel momento, la Bimota divenne un'industria motociclistica a tutti gli effetti e i nuovi modelli si susseguirono riportando tutti un grande successo commerciale. Nel 1980 venne la consacrazione definitiva del suo valore sul piano agonistico, con la vittoria del titolo iridato Marche, nonché del titolo piloti, conquistato da Jon Ekerold, nel campionato mondiale della classe 350.
Abbandonate le corse del Mondiale prototipi, la Bimota continuò a vincere fra le derivate di serie coi suoi sportivissimi modelli stradali. Nel 1987 la Federazione Motociclistica Internazionale istituì il campionato mondiale F1 per derivate di serie e la Bimota lo vinse con Virginio Ferrari; l'anno dopo l'azienda di Rimini si presentò al via del primo campionato mondiale Superbike e fu protagonista fino alla fine, mancando il titolo solo per un soffio.
Poi il declino, causato dall'abbandono della società, alcuni anni prima, da parte di Massimo Tamburini, dalla difficoltà di operare in un settore in cui i Giapponesi si erano inseriti con tutta la loro forza economica e industriale, e dall'avvicendamento di manager non in sintonia con lo spirito che aveva generato il successo della Bimota nei suoi primi anni di attività.
Oggi il rilancio. Auguri, Bimota.

Dati tecnici: Bimota SB8K

Motore: bicilindrico 4 tempi a L di 90°, raffreddamento a liquido, cilindrata 996 cc, alesaggio per corsa 98x66 mm, rapporto di compressione 11,3:1, distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro, alimentazione ad iniezione elettronica con corpi farfallati di 51 mm, lubrificazione a carter umido.
Trasmissione: primaria a ingranaggi, secondaria a catena. Cambio a sei marce, frizione multidisco in bagno d'olio.
Ciclistica: telaio a doppio montante diagonale in alluminio con piastre in fibra di carbonio, forcella a steli rovesciati da 46 mm completamente regolabile, forcellone con monoammortizzatore completamente regolabile. Freni: anteriore 2 dischi semiflottanti da 320 mm, posteriore disco da 230 mm, cerchi da 17". Pneumatici: 120/70 e 180/55.
Dimensioni e pesi: interasse 1.390 mm, peso 176 kg. Serbatoio del carburante in fibra di carbonio da 20 litri.

Dati tecnici: Bimota 666

Motore: bicilindrico 4 tempi, distribuzione desmodromica 2 valvole, raffreddamento ad aria, cilindrata 992 cc, alesaggio e corsa 94x71,5 mm, rapporto di compressione 10:1, potenza massima 85 CV a 7.750 giri/min, coppia massima 9 kgm a 5.750 giri/min, alimentazione ad iniezione elettronica Marelli con corpi farfallati di 45 mm.
Trasmissione: primaria a ingranaggi, secondaria a catena. Cambio a sei marce, frizione multidisco a secco.
Ciclistica: telaio in tubi d'acciaio, forcella Ohlins a steli rovesciati da 43 mm completamente regolabile, forcellone con monoammortizzatore Ohlins completamente regolabile. Freni: anteriore 2 dischi semiflottanti da 320 mm con pinze ad attacco radiale, posteriore disco da 220 mm, pinza a 2 pistoncini, cerchi da 17". Pneumatici: 120/70 e 180/55.
Dimensioni e pesi: interasse 1.377 mm, peso 135 kg.

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