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I viaggi dei lettori

Per caso a Dakar

di Pietro P.
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Da Imola al Senegal in solitaria. Armato solo di un'Aprilia CN del 2002, una tenda, la macchina fotografica e la mappa di un continente tutto da scoprire. Un'avventura di 35 giorni raccontata, davvero bene, dal nostro lettore Pietro

Tafraoute
Ouazzane
L'idea è molto semplice: fino dove posso arrivare se decido di attraversare il Sahara da solo in moto? Considerato che non ho mai viaggiato in solitaria in moto e la mia conoscenza meccanica è ridicola, questa avventura mi attrae. Tradotto: io e la mia Aprilia CN del 2002, con una tenda (ma senza cuscino), 900 euro in contanti, una macchina fotografica a pile, la cartina generale dell'Africa scala 1 a 4 milioni e una bussola che per tutto il viaggio difficilmente si muoverà dall'indicare il sud.




Parto da Imola nel pomeriggio di metà novembre senza avere un piano se non quello di arrivare a Livorno per imbarcarmi sul traghetto di mezzanotte che in 64 ore mi scaricherà a Tangeri. Arrivato al porto con largo anticipo, faccio il biglietto (170 euro solo andata e senza la cabina) e attendo la partenza della nave dentro il cabinotto della Polizia portuale per 3 motivi: fuori fa freddo; gli agenti sono cortesi; desto curiosità. Questa sarà solo la prima volta di una serie di domande uguali che si ripeteranno per tutte le persone che incontrerò lungo la strada: dove vai? Perché da solo? Non hai paura? Solo il finale cambierà di volta in volta. In questo caso "se hai bisogno rivolgiti in ambasciata".
Non sto a sottolineare il fatto che non abbia la minima idea di dove si possa trovare un ambasciata nel deserto, ma si è fatta quasi mezzanotte e lascio il cabinotto pieno di speranze: non per il viaggio ma la piccola televisione sta per annunciare che le dimissioni del premier sono imminenti. I 3 giorni sul traghetto (scoprirò che c'è solo un'altra moto e di essere l'unico italiano a bordo) scivolano veloci perché attacco bottone con tutti gli africani di ritorno a casa per raccogliere informazioni sui posti più belli da visitare. Notizie alla fonte.
Molti parlano italiano, questo facilita le cose e ovviamente ognuno segnala come posto in assoluto più bello…casa propria. Ol uorld is a cauntri. Abib, un guineano che non si esime dalle solite 3 domande, concluderà con "non potevi prendere l'aereo?"
Quando sbarchiamo il mio quaderno a quadretti è pieno di nomi, numeri di telefono e cartine disegnate a mano con scale improbabili (ma lo capirò a mie spese solo più tardi). Finalmente Tangeri. Finalmente la porta d'Africa e tanta pioggia. Realizzo che anche in Marocco piove ma non tutto è negativo, il maltempo velocizzerà le operazioni di dogana e infilata la tuta antiacqua (voto più al mio esiguo bagaglio) parto verso le montagne dell'Atlante. Il motivo: semplicemente perché mi va così, questo è il bello di non avere un piano (risposta alla domanda uno).
Prima notte a Chefchaouen che mi ricorda Ostuni ma dipinta di lilla. Sono fradicio e la stanza dell'ostello non ha riscaldamento. Soluzione per asciugare tutto: entro vestito nell'hammam pubblico. Cambio i miei primi 100 euro e scopro che il Marocco è molto conveniente. I giorni seguenti sono pieni di sorprese: percorro le strade perfette di Ouazzane, attraverso paesi curiosi come Ifrane e le claustrofobiche gole di Todra, ammiro i deserti sassosi Ouarzazate (principale set delle scene africane del film Gladiatore). Qui, nel campeggio faccio conoscenza di una coppia, lui bergamasco lei spagnola, che girano il Marocco a bordo di una vecchia Mercedes 190D: sembrano zingari per le bandane e le gonne, sono i cuochi di Nobu. Grazie alla loro caffettiera da segnalare il primo caffè dopo 6 giorni di viaggio. Stefano, il cuoco mi saluta con un "l'anno prossimo lo faccio anch'io".
Ma è la strada per raggiungere Tofraute quella che ha meritato più scatti fotografici; immaginate una valle a forma di imbuto, sassosa di colore ocra e cespugli verdi sparsi, con stradine non più larghe di una moto che a vortice scalano la montagna e ogni tanto un paesino aggrappato a qualche roccia. Un giorno intero per percorrere 130 km ma ci torno appena posso. 400 km più a sud e varco il confine immaginario del Sahara: inizia il Polisario, terra di nessuno, unica zona segnata a strisce sui mappamondi.
La strada asfaltata è una sola e contrassegnata dai numerosi posti di blocco della polizia che richiedono solamente le fiches (fiches = fotocopie del passaporto con segnato a mano la professione, la targa del veicolo e la destinazione). Sulla nave si parlava spesso di questi blocchi e le leggende a tal proposito si sprecavano: poliziotti sempre in cerca di mance, marescialli spietati e tranelli vari pur di spillare soldi. A me niente di tutto questo, ma si può sempre classificare come fortuna del principiante: li vedevo, mi fermavo, salutavo, rispondevo alle solite 3 domande (la mia terza risposta ai blocchi è "non ho paura, ci siete voi…" consenso del poliziotto con cenno del capo), consegnavo il foglietto sgualcito, risalutavo e ripartivo. Così per 17 volte.
Stereotipi sul deserto che ho cancellato:
- temperatura: la sera è molto freddo;
- paesaggio: almeno in questo punto è molto vario, non sempre pianeggiante e strano a dirsi, ci sono delle curve;
- ogni tanto c'è qualcuno in bici; una coppia di tedeschi, partiti da Berlino circa 6 mesi fa, poco prima di Boujdour mi ha chiesto indicazioni per la Sierra Leone (come se a Castel del Rio ti chiedessero per Mosca).
L'arrivo a Dakhla, ultima città prima della Mauritania, la festeggio con Max un belga incontrato lungo la strada, anche lui in moto ma con un progetto molto più ambizioso: farà il giro del mondo in 2 anni. È molto preparato: modifiche alla moto, bagagli curati e navigatore full optional. A lui le domande sono 4, si aggiunge "Come fai con i soldi?". Risposta: essendo in viaggio ha affittato casa sua, quella rendita mensile è sufficiente se ti accontenti di tenda e pochi ristoranti. Brindiamo alla notte stellata con la prima birra in terra d'Africa, offro io: da domani i dirham non mi serviranno più.
Avvicinandomi al confine con la Mauritania ripasso mentalmente tutti i consigli di chi ci è già stato: calma, calma e calma; è ufficialmente il mio primo incontro con la burocrazia africana. 11 uffici, 7 tra questionari da compilare e timbri da mettere, assicurazione, cambio (la moneta ufficiale è l'ouguiya), soprattutto ci sono 38° C e io sono con giacca e pantaloni neri imbottiti. In poco più di un'ora sono in territorio tuareg. Noto che nessuno mi ha chiesto una mancia o qualche regalino (cadeau). Non parlo francese, magari me l'hanno chiesta e ripetuto più volte ed io non ho capito. Ma preferisco pensare che il fatto di essere da solo su una moto mi conferisca un'aurea di persona sicura ed hanno intuito che era inutile. La mia autostima comunque ringrazia.
Della Mauritania ricordo soprattutto il forte vento che trasportava sabbia (voto meno alla mia scelta di usare un casco aperto da enduro, il collo non si è ancora sistemato) e la totale anarchia nella capitale Nouakchott. Una cosa che impari prima di partire per un qualsiasi viaggio in moto è di non viaggiare di notte, un'ora prima del tramonto devi aver già trovato dove dormire.
Così quando sto per arrivare a Tiguant (60 km a nord del confine con il Senegal) all'ennesimo posto di blocco chiedo al poliziotto dove posso accamparmi con la tenda e, sorpresa, mi invita a passare la notte nella sua "stazione": una stanza di 4 metri per 3 in mezzo al niente, abitata da 4 ragazzini in servizio di leva e altri 2 poliziotti. Un totale di 8 persone in 12 mq che fungevano da ufficio, dormitorio, spogliatoio e cucina; il bagno era il cortile, l'acqua in taniche di plastica. Alle 2 capre fuori il compito di tenere pulito. Una delle migliori cene in Mauritania: pecora alla griglia con spezie e the cinese bollente molto zuccherato come dessert.
L'idea di partire senza una meta precisa ha tra gli svantaggi quello di non avere tutte le carte necessarie per muoversi liberamente tra i vari Stati: se non fossi riuscito ad entrare in Senegal perché sprovvisto del carnet de passage (una specie di passaporto del veicolo, molto complicato da richiedere e soprattutto caro) sarei dovuto tornare indietro e passare dal Mali.
Mohammed, il poliziotto che mi ha invitato mi consiglia di passare il confine senegalese dal Parco Naturale di Diamma e mi disegna l'ennesima cartina su come arrivare. Sbaglio almeno un paio di strade, costeggio un fiume (salvo poi scoprire che è il fiume Senegal) e arrivo ad un cabinotto in legno: sono al confine. Nessuna domanda ma solo 4 timbri sul passaporto al costo di 5 euro (euro!) l'uno che scivolano nei taschini degli ufficiali e la formalità della dogana è risolta. Fino a qui spesi circa 375 euro, giorni di viaggio 18 più 3 di traghetto.
Fa un certo effetto vedere sulle pietre miliari ai lati della strada la scritta DAKAR 163 KM, ma lo è anche vedere certi sauri lunghi un paio di metri che ti attraversano la strada. Mi fermo a St.Louis, città costruita su un'isola per cambiare in CFA e senza perdere tempo mi dirigo a Dakar dove mi aspetta Omar. Omar è il fratello di Ciko, un ragazzo che alla frontiera mi ha venduto la sim senegalese (ogni paese che attraverso mi compro una scheda per il cellulare), non sapendo dove dormire mi ospita a casa sua "quanto vuoi?" "niente, in Senegal siamo ospitali". Quanti ci sarebbero andati? Beh io sì.
Passerò una settimana speciale in casa loro, situata nel più trafficato quartiere di Dakar, Parcelles, ospite di lusso del capodanno musulmano con un gran cenone a base cuscus e the caldo. Prima di ripartire passo dalle rive del Lac Rose, tradizionale arrivo della gara con partenza da Parigi per le foto di rito della mia moto sulle sponde rosa (dovuto all'alta concentrazione di sale) di questo bacino d'acqua: mi siedo, guardo la moto e penso che ci sto prendendo gusto.
In un solo giorno arrivo in Gambia, stretto stato dentro il Senegal: qui si parla inglese e ad accogliermi alle porte della capitale Banjul c'è una rassicurante fabbrica di birra, la Jul Brew. Sento che questo piccolo paese già mi piace. Per trovare il campeggio consigliato da un fotografo conosciuto a Dakar adotto il sistema perfezionato in Senegal: scrivo su un pezzo di carta il nome del posto che cerco, lo faccio vedere in giro e quando intuisco che qualcuno sa dov'è lo carico dietro sulla moto e lo uso da navigatore, delle cartine disegnate non mi fido più. In questo caso è un ragazzino magro che carico tirandolo su con un solo braccio e lo sistemo sul bauletto dietro: arrivati a destinazione gli pago la meritata aranciata.
Il campeggio è davvero singolare perché bungalow, bagni e stradine sono ricoperti di conchiglie bianche ma 3 giorni dopo ne trovo uno ancora più bello: direttamente sulla spiaggia, ricoperto di palme, senza strada di accesso se non dal mare. Alle solite domande, lo chef del camping conclude con un complimento insolito "sei un gran padrone" (un italiano del posto mi dice che così si usa, retaggio del passato).
Riparto dopo 2 giorni verso la Guinea, prima c'è di nuovo la frontiera e da attraversare il Casamance, regione meridionale del Senegal che cerca l'indipendenza. Nello zaino ho ancora 290 euro. Nota a margine, di Guinea ce ne sono 3: Bissau (si parla portoghese) confinante con la Conakry (francese) e 3500 km più giù quella Equatoriale (un misto di lingue tra spagnolo, francese e portoghese). Ma la soddisfazione di vedere le foreste guineane sarà rimandata: le feste invernali sono alle porte e come vuole la tradizione Natale con i tuoi…
Vendo la mia moto lì, mi faccio accompagnare in aeroporto: andata via terra 35 giorni, ritorno via aerea 10 ore.
Ora sono tornato a Imola, giro con una vespa 50 e mi sono comprato la cartina del Brasile. Da dove parte il traghetto per Rio?
Ifrane
Lac Rose
Mauritania
Noci di cola
Ouazzane
Polisario
Sahata
Tafraoute
The Gambia
Verso Tafraoute

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