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Africa

Dall'Italia al Sud Africa: 16esima tappa

di Anna & Fabio il 23/11/2010 in Africa

In Malawi i nostri amici costeggiano un lago che sembra un mare, e raggiungono posti fuori dalle rotte turistiche. Attraversato il Mozambico, arrivano in Malawi al secondo campo del CESVI

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Siamo in Malawi. Dopo la prima notte a Karonga ci accorgiamo che al lago Malawi, o come si chiamava una volta, Nyassa, abbiamo dato poco più che un'occhiata. Decidiamo perciò di seguirne la sponda. Non che ci siano altre scelte, almeno per i primi 100 km: solo dopo si può optare per una strada interna che corre molto in alto. L'impressione che sia un mare si rinforza ogni momento di più: ci sono spiagge sconfinate, grandi onde e decine di piccolissimi villaggi di pescatori la cui unica occupazione è quella di far seccare su teli, o direttamente sulla strada, dei pescetti minuscoli, grandi più o meno come le acciughe.
Le spiagge sono affollate di rudimentali canoe, scavate in un unico tronco di teak, sbozzate rozzamente e che mantengono i difetti del tronco da cui sono nate: se il tronco era storto, la canoa che ne nasce è storta. Inoltre, probabilmente per il tipo di legno scelto, sono pesantissime e difficili da manovrare. Il lavoro deve essere così difficile che vengono mantenute in attività per decenni, qualcuno dice, forse esagerando, per un centinaio d'anni. Ma che alcune siano molto vecchie è evidente dal numero di riparazioni a cui sono state sottoposte: pezze di lamiera e rattoppi fatti con tutto quello che capita. Ciò non impedisce ai pescatori di partire per lunghe battute di pesca notturna, accompagnati dai canti delle donne che probabilmente sperano di vederli tornare vivi.
La strada, dopo circa un'ora di viaggio, si inerpica sulla montagna attorcigliandosi su se stessa e il villaggio da cui si parte diventa sempre più piccolo sotto di noi. Proseguiamo per un po' in quota e poi scendiamo verso Mzuzu, la prima cittadina degna di questo nome. Ci sono un paio di distributori e anche un supermarket dove comperiamo qualcosa da mangiare che non siano le solite banane.
Da lì, con una strada stretta e molto divertente, si ritorna verso il lago a Nkhata Bay. Il paesino è piccolissimo e interamente costruito attorno alla baia, ci sono un paio di alberghi e un campeggio. C'è anche il medico e la prigione, i cui detenuti vengono portati, ogni mattina, a fare il bagno alla spiaggia. C'è un gran viavai di canoe e barchette che trasportano persone e cose da villaggi che non sono raggiunti dalla strada. C'è anche uno scassatissimo traghetto che ogni settimana bordeggia in su o in giù.
Andiamo al campeggio, costa meno e ha una discreta connessione internet, che qui vale oro. E' anche l'unico posto popolato di occidentali. Ci incontriamo diversi viaggiatori di lungo corso, fra cui una giovane coppia di olandesi che sono in giro da un anno, con l'obiettivo di visitare TUTTE le nazioni africane. Viaggiano con un truck DAF da 11 tonnellate è ormai sono vicini all'obiettivo. Ma la palma della simpatia spetta a tre ragazzi svedesi in viaggio da 30.000 km su una Opel Kadett sfuggita allo sfasciacarrozze. Ormai è in condizioni pietose, gomme comprese, ma sono certo che sono riusciti a raggiungere la loro meta: Cape Town.
Ci fermiamo un paio di giorni e, sfidando la bilharia, ci concediamo una nuotata nel lago. Poi ci muoviamo verso sud in direzione di Senga Bay. Il campeggio che scegliamo è quasi irraggiungibile, cacciato sulla riva dopo un paio di km di sabbia molle. Quando ci arriviamo però è bellissimo: ombreggiato e con un prato degno di un campo da golf. Troppo bello, non pare neppure di essere in Africa, perciò resistiamo solo una notte e decidiamo di raggiungere l'estremo sud del lago: Monkey Bay.
Per arrivare a Monkey Bay ci aspettano circa 40 km di sterrato, sabbioso ma battuto, e altri 2 km di sabbia molle (molto molle), festeggiati con una plateale caduta al centro del villaggio. Per fortuna ci raggiungono degli europei che scopriamo essere qui per una ONG. Li carico con tutti i bagagli e la moto diventa improvvisamente molto più guidabile. Restiamo a Monkey Bay per due giorni. Il posto è molto bello e faccio conoscenza con un motociclista tedesco che viaggia da solo. Colossale scambio di informazioni e molta invidia da parte mia: lui, arrivato a Cape Town, spedirà la moto a Buenos Aires e ricomincerà a girare da quelle parti. Mi instilla anche il dubbio che il visto del Mozambico non sia più acquistabile alla frontiera. La cosa non è confermata ma è possibile, perciò ci muoviamo verso Blantyre, dove c'è un consolato Mozambicano. La voce si rivela del tutto infondata ma ci permette di concederci un buon albergo e una ottima cena indiana. Dopodichè non ci resta che, attraversato un breve tratto di Mozambico, entrare in Zimbabwe, dove ci attendono i ragazzi del CESVI e il secondo progetto che sosteniamo.
Alla prossima puntata.

www.1bike2people4aid.it
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