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L'alfabeto delle sospensioni: guida ragionata a forcelle e ammortizzatori

Redazione
dalla Redazione il 10/08/2023 in Manutenzione
L'alfabeto delle sospensioni: guida ragionata a forcelle e ammortizzatori
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Tutto quello che dovreste sapere sulle sospensioni spiegato... in ordine alfabetico. Cosa sapete di cavitazione, semiattive e trattamenti superficiali? Scopritelo in questa guida in 21 punti

A: aziende

Magari non ci avete mai fatto caso, ma le aziende che realizzano sospensioni sono poche in generale, pochissime quelle che costruiscono forcelle. Tra i fornitori di primo equipaggiamento ci sono soltanto due giapponesi (Showa, KYB), quattro europei (Öhlins, WP, Marzocchi, ZF Sachs) e qualche cinese che si sta affacciando. Gli altri sono produttori concentrati sull’aftermarket, con prodotti spesso di alta qualità ma di nicchia (anche Öhlins è un po’ a cavallo tra la dimensione artigianale e quella industriale).

Come mai? Perché il settore delle sospensioni richiede elevate competenze tecniche e soprattutto grande accuratezza nelle lavorazioni e nei trattamenti, il che porta inevitabilmente a prodotti costosi: per fare buone sospensioni di primo equipaggiamento a costi competitivi bisogna essere bravi e avere una grande scala.

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B: BMW

Senz'altro la casa che ha più investito nei sistemi di sospensione alternativi, e l'unica che sia riuscita a imporli sul mercato. BMW ha iniziato negli Anni 80 con il Paralever (1987), una soluzione a quadrilatero articolato che permetteva di risolvere i problemi della trasmissione cardanica monobraccio Monolever. In quel periodo c'erano molte critiche al funzionamento della forcella che non separava le forze generate dalla frenata da quelle di pura sospensione: erano gli anni della Elf Honda in 500 e della Bimota Tesi, e BMW nel 1993 presentò il suo Telelever: di nuovo un sistema articolato che conservava la forcella solo per guidare la ruota ma affidava la sospensione a un monoammortizzatore collocato al centro della articolazione. Il Telelever è più efficace di una forcella nel separare forze longitudinali e verticali, pertanto affonda limitatamente in frenata riducendo i trasferimenti di carico e mantenendo più costante l’avancorsa (un feeling che non a tutti piace e che comunque, come si è scoperto nel tempo, non comporta tutti i benefici che si pensava all'inizio).

Successivamente Monaco sperimentò un sistema diverso sulla serie K: il Duolever che riprendeva lo schema brevettato da Norman Hossak, di nuovo affidandosi a un ammortizzatore singolo. Nel frattempo l'evoluzione delle forcelle (prima l'idraulica, poi l'arrivo dei sistemi semiattivi) e delle conoscenze ciclistiche ha risolto molti dei problemi dell'avantreno in frenata, ma BMW è comunque riuscita a mettere a punto lo schema Telelever-Paralever in modo mirabile sulla sua serie R, che rimane una dei riferimenti per il bilanciamento e l'efficacia delle sospensioni. Anche se a non tutti piace il feeling più ”filtrato” dell'avantreno. Nel frattempo la stessa BMW è ritornata alla classica forcella a partire dalla serie S, non riuscendo a sviluppare in senso ultra sportivo le sue sospensioni non tradizionali - come del resto le altre Case che hanno fatto esperimenti in questo senso.

Ma BMW è stata anche pioniera dell'elettrificazione delle sospensioni, con le diverse generazioni del sistema ESA che hanno introdotto prima la regolazione "a distanza" dell'idraulica, poi quella automatica semiattiva (Dynamic ESA) e infine la variazione anche della rigidezza molla (SAF Next).

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C: cavitazione

Vi dirà poco, ma la cavitazione è il fenomeno fisico che sta dietro al deterioramento di buona parte delle sospensioni, e di altri inquietanti fenomeni come la distruzione delle eliche dei sottomarini. Provoca l’emulsione dell’olio anche in assenza di impurità o gas provenienti dall’esterno. Si verifica quando la pressione all’interno di un liquido scende così tanto in alcuni punti da metterlo in condizione di evaporare (la temperatura di ebollizione dipende sempre dalla pressione). Si formano allora delle bollicine che si muovono all’interno del liquido alternandone le caratteristiche e inducendo altri problemi meccanici, dato che sono instabili e tendono ad implodere.

Nel caso delle sospensioni, le bollicine si formano tipicamente a valle dei pacchi lamellari, e trovandosi in un olio tendono a emulsionarlo cambiandone drammaticamente la viscosità. E più si richiedono rigidità e reattività, più le lamelle sono rigide e la pressione dell’azoto elevata, e più si ha tendenza a cavitare. È un circolo chiuso da cui è difficile uscire: Öhlins ha provato a farlo con il sistema TTX.

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D: De Carbon

Non c’entra col carbonio, ma è l’ingegnere francese (Christian Bourcier De Carbon) che nel 1953 brevettò il sistema monotubo con gas in pressione, su cui si basano ancora quasi tutti gli ammortizzatori del mondo. Per compensare il volume di olio che deve uscire dal corpo dell’ammortizzatore quando lo stelo penetra al suo interno durante la compressione, nel sistema De Carbon viene travasato in una vaschetta esterna dove comprime, attraverso un  separatore, un gas di contrasto (di solito azoto), che si comporta come una molla.

Negli ammortizzatori di serie il separatore è di solito una membrana fissa in gomma (“blader”), a forma di cappuccio, che fa tenuta solo sulla base. Se le temperature interne superano i 100 C°, la trama della gomma si dilata consentendo a molecole di azoto di oltrepassare la membrana. Questo emulsiona l’olio in una schiuma che ne altera irreversibilmente la viscosità: l’ammortizzatore diventa prima insensibile alle regolazioni, e poi smette di funzionare correttamente: negli ammortizzatori racing, per questo motivo si usa un separatore in metallo, che scorre avanti e indietro nella vaschetta. Non consente all’azoto di passare, ma richiede di lavorare a tenuta tutto l’interno della vaschetta, facendo salire di molto i costi…

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E: estensione

È la fase di ritorno che segue alla compressione, ed è una delle peggio interpretate dai piloti e dai tecnici che, per rendere la moto più controllabile, tendono ad aumentare il freno in estensione finendo per peggiorare le cose. Invece dev’essere lasciata più libera possibile, soprattutto in fuoristrada dove più estensione si traduce sempre in maggior sensibilità. Qui la regola generale per settare le sospensioni è addirittura di sfrenarle fino al limite in cui la moto è così ballerina da essere difficile da controllare, tornare indietro di un click o due e solo dopo passare a regolare la compressione, perché il registro di estensione interferisce anche sulla compressione.

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F: fine corsa

Altro elemento ignoto agli stradisti e spesso misconosciuto dai fuoristradisti. Il testimone di fine corsa in compressione è di solito considerato un campanello d’allarme, invece va bene utilizzare per intero l’estensione della forcella, lavorando quindi a 12 mm dal fine corsa (a 10 mm c’è l’OR). Nell’Enduro è corretto arrivare a fine corsa più o meno una volta per uscita, in modo da far lavorare il sistema di spurgo delle forcelle [vai a ->] pressurizzate che costituiscono ormai la maggioranza. Se questo non succede, e magari si va in giro con un livello dell’olio alto, la forcella si precarica progressivamente finendo per irrigidirsi nel tempo. Al retrotreno, è ancora più importante l’azione del [vai a ->] tampone.

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G: galleggiamento

Chiamato anche “negativo” o “SAG”, è la differenza tra la posizione delle sospensioni con moto scarica e sotto il peso della moto stessa (galleggiamento libero o free sag) e quindi con il pilota a bordo. È la prima cosa da misurare quando si deve fare il setting di una moto, e da essa dipende la corretta rigidezza della molla: le Case in generale calibrano le loro moto per pesi di 70-85 kg, ma piloti molto leggeri o molto pesanti dovrebbero sostituire le molle… se vogliono spremere dalla loro moto il massimo delle prestazioni.

Se nell’uso stradale una molla un po’ troppo tenera o un po’ troppo rigida non è infatti un problema, il discorso cambia quando si entra in pista, specie in off-road dove le grandi escursioni delle moto specialistiche è indispensabile mantenere l’assetto per cui la moto è stata progettata. Il galleggiamento libero viene misurato soprattutto al posteriore, anche se ci sono valori di riferimento anche per la forcella. Al mono per le moto giapponesi dev’essere al posteriore di 30-35 mm (35-40 mm per le KTM con PDS); con il pilota in posizione, il valore sale a 95-105 mm (105-115 mm le KTM). Se il pilota è molto leggero o molto pesante, si cade al di fuori di questi valori e occorre cambiare la molla per riportare le altezze ai valori standard prescritti dalla Casa.

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H: Heightflex

Uno sviluppo recente delle sospensioni semiattive, introdotto per prima da Showa. Si tratta di un sistema in grado di variare in modo attivo e intelligente l'altezza del veicolo, tipicamente per ridurla ai semafori aiutando a toccare terra con entrambi i piedi anche sulle moto più alte di sella. Per ora si tratta soltanto di un sistema pensato in funzione del comfort, ma visto quello che sta succedendo in MotoGP con gli abbassatori, non è escluso che la tecnologia possa prendere anche una direzione prestazionale.

Dopo le Showa EERA Heightflex che hanno debuttato sulla Honda Africa Twin, abbiamo visto soluzioni di abbassamento (stesso principio, soluzioni tecniche leggermente diverse) anche da Marzocchi/Ducati (Multistrada V4 Rally) e ZF Sachs/BMW (futura serie boxer 1300), modelli Adventure relativamente alti e pesanti e che traggiono sicuramente beneficio da una variazione dell'assetto a bassa velocità. 

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I: idraulica

È l’insieme dei circuiti studiati per far passare l’olio, generando forze legate alla velocità di compressione o estensione e alle necessità della ciclistica. Nonostante gli sporadici tentativi fatti con l’aria e con i fluidi magnetoreologici ed elettroreologici, ancora oggi nel 99,9% delle sospensioni si usa un olio, molto spesso SAE5. Una buona idraulica riesce infatti a variare le forze agendo sui registri, e così da un paio di decenni sono scomparsi gli oli di densità differenziata che venivano utilizzati per variare la risposta.

La forza che in ogni istante una sospensione genera è data dalla somma della componente elastica (proporzionale allo spostamento della ruota e quindi all’accorciamento o allungamento della molla) e della componente viscosa (proporzionale alla velocità di spostamento della ruota e quindi alla velocità di spostamento del pistone nella sospensione). La componente elastica (molla) deve primariamente bilanciare le forze dinamiche legate alle sollecitazioni, la componente viscosa (idraulica) deve assorbire l'energia legata a queste forze evitando che la moto continui a oscullare su e giù. L’idraulica e la molla devono ovviamente essere sempre armonizzate nel loro funzionamento, per cui è impensabile cambiare una delle due senza adeguare l’altra.

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L: lamelle

Per dissipare l’energia immagazzinata dalla molla, occorre attivare i fenomeni viscosi all’interno dell’olio. Inizialmente questo avveniva facendo passare l’olio attraverso dei fori calibrati; poi si è capito che era più efficiente aggiungere dei pacchi lamellari, strutturalmente simili a quelli all’ammissione dei motori 2T ma in miniatura, che costringessero il fluido a deviare.

A seconda della loro rigidezza e della successione di lamelle più corte e lamelle più lunghe, si possono ottenere anche tarature lineari (la forza cresce in proporzione alla velocità di compressione), regressive (la risposta alle basse velocità è più forte) o progressive (la forza alle basse velocità è più dolce), quella tipica dell’off-road: sensibile sulle piccole asperità ma ferma sotto i colpi forti.

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M: molle

Di solito in acciaio, anche se qualcuno ha offerto o offre soluzioni con molla ad aria, specie per l’off-road, è l’elemento che fornisce la forza elastica indispensabile per assorbire le sollecitazioni del suolo. Ma la molla da sola non sa dissipare l’energia assorbita, che deve a restituire facendo continuare a saltare la moto come una cavalletta impazzita. Per questo si aggiunge la parte idraulica, che ha il compito di arrestare le oscillazioni. Di fatto le due forze si sommano, per cui bisogna tener conto degli effetti reciproci: ad esempio non è detto che una molla più dura produca una forcella più rigida, perché potrebbe affondare così poco e richiamare una forza idraulica così bassa che la somma delle due componenti potrebbe diminuire anziché aumentare.

La maggior parte delle molle sono lineari, cioè con avvolgimenti a distanza costante è una risposta proporzionale all'affondamento: la forza raddoppia se l'affondamento raddoppia. Esistono però anche molle proporzionali, nelle quali gli avvolgimenti si avvicinano a un estremo. Pensate per avere una risposta morbida nel primo tratto di affondamento e poi più sostenuta, complicano però la vita all'idraulica, che si trova a dover rispondere in modo molto diverso a seconda di quale tratto della molla sta lavorando.

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N: azoto (N2)

Il gas che viene usato nelle vaschette o nelle bombolette (piggy-back) per fare da elemento di contrasto dell’olio che entra, spinto dall’avanzamento del pistone. Viene scelto perché inerte, poco aggressivo nei confronti di metallo e gomma e con un comportamento molto stabile nel range di temperature tipico del funzionamento della sospensione. Nei sistemi senza separatore può passare attraverso la membrana in gomma (blader) e emulsionare l’olio.

La pressione di lavoro nella vaschetta è elevata, di solito tra 10 e 20 bar, per limitare il problema della cavitazione: se si parte da una pressione più alta (e la pressione dell’olio è simile a quella dell’azoto), anche un calo di pressione non fa raggiungere il livello di innesco del fenomeno. Nelle forcelle pressurizzate o a cartuccia chiusa si usa una piccola vaschetta interna, che a volte anziché azoto utilizza una molla. Nelle più recenti forcelle con molla ad aria, il gas che viene compresso è invece proprio aria, non azoto.

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O: Öhlins TTX

Per la serie: A volte ritornano. Dopo la rivoluzione introdotta dagli ammortizzatori monotubo, per superare definitivamente i problemi legati alla cavitazione, Öhlins ha introdotto il sistema TTX, un doppio tubo rivisitato (TT sta per “Twin Tube”). Nato per le auto, sperimentato sulle moto da Valentino Rossi già nei suoi primi anni con Yamaha, il sistema TTX è composto da due tubi coassiali e due registri con valvola di by-pass a lamelle: l’olio anziché essere spinto nella vaschetta viene fatto ricircolare (quando passa nel registro di compressione, attraversa quello di estensione “a rovescio” attraverso il by-pass, e viceversa).

I vantaggi sulla carta sono molti: non si hanno “anse” di fluido e non si crea mai la depressione necessaria per la cavitazione, nemmeno con le tarature più rigide; non ci sono più problemi di perdite di azoto dal separatore, dato che la vaschetta resta solo per compensare lo spostamento di olio legato al pistone che entra nel corpo in compressione; per la stessa ragione, l’azoto può essere pressurizzato molto poco (6 bar al posto dei classici 10-12, ma si sta scendendo fino a 2 bar) rendendo tutto più dolce, soprattutto nel primo distacco. E per finire, si muove tutto l’olio e non solo una parte: in questo modo, il range di tarature ottenibile con i soli click è enorme e non è mai necessario intervenire sull’idraulica interna. Molti hanno apprezzato la sensibilità del sistema TTX, soprattutto nella fase di inversione da compressione ad estensione.

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P: Pompante

Le prime forcelle avevano un solo foro di passaggio per l’olio e venivano regolate agendo sulla densità dell’olio e sull’avvolgimento delle molle. Poi sono arrivate le idrauliche a pompante: due pistoni, uno sullo stelo (per l’estensione) e uno in fondo al fodero (per la compressione) e funzionamento simile a un ammortizzatore De Carbon: lo stelo entrando nel fodero sposta olio, che passa dal registro sul fondo e risale in un’intercapedine, mentre dall’altra parte il registro di estensione viene attraversato senza resistenza, grazie ad un by-pass. Non c’è separatore, ma solo una camera d’aria che viene lasciata superiormente.

Di conseguenza, alla lunga l’olio si emulsiona d’aria: questo problema, che causa un decadimento del comportamento soprattutto nella seconda metà di gara, è stato risolto dall’introduzione dei sistemi a cartuccia chiusa o pressurizzati, dove l’olio che passa nei registri è separato dall’olio del livello (che serve solo a lubrificare le boccole) e lavora con una piccola vaschetta e un separatore, a volte sostituiti da una molla.

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Q: Qualità

Fa ancora la differenza fra una sospensione che funziona bene e una che funziona male, ancor prima delle specifiche costruttive e delle caratteristiche tecnologiche. Soprattutto la parte idraulica richiede una notevole precisione di lavorazione, e basta una superficie finita male o un disallineamento di pochi centesimi di grado per compromettere il risultato.

Per questo le unità racing, o comunque di alta gamma, sono accuratamente selezionate e ottenerle comporta andare incontro a scarti di produzione molto alti, che determinano uno dei fattori principali del loro costo elevato. Anche se sempre meno, capita comunque ancora di imbattersi in steli e foderi male allineati, o a eccentricità fuori tolleranza che pregiudicano lo scorrimento. Di solito non c’è molto che si possa fare, a parte provare a ruotare lo stelo rispetto al fodero per vedere se l’errore si compensa.

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R: registri

Sono i sistemi che regolano il passaggio dell’olio in compressione e in estensione, e quindi il relativo freno idraulico. Il registro di compressione, in particolare, sta al cuore di ogni ammortizzatore moderno: collocato sulla vaschetta di recupero (il “piggy”), regola il passaggio dell’olio verso la stessa via via che lo stelo, entrando nel corpo, riduce il volume a disposizione dell’olio.

Per la sua importanza, sui monoammortizzatori più raffinati esiste una regolazione separata per le alte e basse velocità di compressione, vista l’enorme variabilità dell’affondamento di una sospensione racing (nel motocross si va da 0,1 m/s a 6 m/s, con la forcella che può arrivare a 10 m/s!). Per le basse velocità si utilizza un classico sistema a spillo, che impegnando in misura maggiore o minore un cilindretto varia la sezione di passaggio dell’olio. Per le alte velocità si è introdotto un mini pacco lamellare: quando la pressione dell’olio che si sposta cresce oltre una certa soglia (regolabile agendo su una molla che precarica il pacco), le lamelle si aprono facendo passare più olio. I pochi esperimenti di separare alte e basse velocità anche in estensione non hanno avuto seguito.

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S: Semiattive

Per anni il Sacro Graal dei sospensionisti, sono sospensioni nelle quali l'idraulica è gestita in modo attivo e intelligente (da non confondere con le sospensioni attive nelle quali anche la parte elastica e controllata per via elettronica e che sono ancora ben di là da venire). La variazione delle forze smorzanti può essere ottenuta ricorrendo a fluidi speciali (elettroreologici o magnetoreologici), ma al momento nella totalità dei casi si è preferito conservare gli oli tradizionali e affidarsi ah valvole di regolazione sempre più veloci, precise ed efficienti.

Mentre si consolidava la parte hardware, c'è stato un rapido sviluppo anche degli algoritmi di controllo, inizialmente derivati dal mondo auto (skyhook) ma progressivamente declinati in maniera sempre più specifica per le esigenze della moto (elevati affondamenti, elevati angoli di piega, ecc.), spesso da specialisti come gli italiani di e-Shock. Il risultato è una idraulica “intelligente" capace di adeguarsi quasi istantaneamente alla specifica situazione di guida, offrendo sia un buon comfort sulle asperità che un elevato rigore ciclistico nella guida sportiva: quel che si direbbe una coperta più lunga di quanto lo sia mai stato con le sospensioni tradizionali, anche di elevata qualità.

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T: Trattamenti superficiali

Non è un mistero che il segreto delle sospensioni, e in particolare delle forcelle, stia altrettanto (se non di più) nella accuratezza delle lavorazioni che nel concetto tecnico. E se si eccettuano le sospensioni semiattive, la novità più rilevante degli ultimi anni e la diffusione dei trattamenti superficiali per ridurre gli attriti, sviluppati dai maestri della metallurgia che restano i giapponesi. Si va dal nitruro di titanio (TiN) dal classico colore gialllastro al nero del sempre più diffuso DLC (Diamond-Like Carbon, una forma di carbonio amorfo depositata come vapore) che spesso è nero brillante. Voi leggermente diversi quanto a caratteristiche, questi trattamenti hanno lo scopo di aumentare la scorrevolezza e in particolare la sensibilità al primo distacco che aiuta soprattutto la forcella, sfavorita dalla forma lunga e stretta, a “partire”.

Proprio alla forcella sono dedicati alcuni dei trattamenti più recenti, come il noto “kashima” dedicato ai componenti in alluminio (foderi forcella) ai quali garantisce una riduzione dell’attrito del 20-30%. Sulle sue forcelle racing top di gamma, Showa ha poi introdotto qualche anno fa due lavorazioni inedite. La prima è l’emerald coating, ovvero “ricopertura smeraldo”, un rivestimento multistrato (un primo strato a base nichel-cromo e un secondo a base titanio), che si applica in questo caso su elementi in acciaio (steli forcella) e con prestazioni analoghe al kashima. L’altra prende il nome di “dimplush”, che sta per “leggera felpatura”. Si tratta in questo caso di una lievissima zigrinatura della superficie interna dei foderi, che consente di trattenere meglio l’olio e risulta in una ulteriore riduzione dell’attrito del 20-30%.

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U: Upside-Down

Nate (come il 90% delle innovazioni in campo sospensioni) nell’off-road e diffuse in tutti i settori, le forcelle USD (Upside-down) o rovesciate sono la più vistosa innovazione dai tempi del Monocross. Il loro vantaggio principale sta nella distribuzione della rigidezza: sono più rigide nella parte superiore, dove le sollecitazioni di flessione e torsione prodotte dalla ruota sono maggiori: e quindi dove serve; la maggiore rigidezza consente agli steli e quindi ai pompanti di scorrere meglio. Inoltre si sposano alla perfezione con i moderni sistemi pressurizzati o a cartuccia chiusa, con l’olio dei registri separato dall’olio del livello e una vaschetta di contrasto, simili nel funzionamento a un ammortizzatore.

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V: valvole

Ancora per la serie “A volte ritornano”. Dopo che l’introduzione delle lamelle ha migliorato enormemente la reattività e la sensibilità delle sospensioni, molti costruttori di moto e conseguentemente fornitori di sospensioni hanno preso una strada di eccessiva “durezza” rispetto alle esigenze di molti utenti amatoriali.

Di conseguenza qualcuno sta riproponendo i vecchi sistemi a valvola con fori calibrati, che offrono una grandissima scorrevolezza e ottimo comfort al prezzo di minori tutele in caso di forti colpi (buche o canali imprevisti, salti, eccetera). Andreani propone una via di mezzo, il sistema PVS (Progressive Valve System) che, in modo vagamente simile ai registri per le alte velocità, prevede una discontinuità nella risposta in smorzamento, che cresce di colpo in caso di improvvise accelerazioni dell’affondamento.

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Z: zero

La cifra della perfezione: zero difetti, zero sollecitazioni, zero problemi. È vero fino a un certo punto: la sospensione perfetta, che copia nei minimi dettagli il fondo, garantendo sia la trazione che un comfort regale, non è necessariamente un bene: togliendo il feeling con quello che succede là sotto, toglierebbe anche fiducia a chi guida. Per questo i tecnici lavorano serenamente: sanno che ogni miglioramento è benvenuto, ma che nessuno si aspetta da loro la perfezione…

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