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L'altra faccia di Mandalika: per far correre la MotoGP si sfrattano i contadini indigeni
In Indonesia la MotoGP non è una festa per tutti. Specie per le decine di famiglie indigene costrette dalle autorità locali ad abbandonare casa propria a fronte di risarcimenti miseri
Mentre Marc Marquez si prepara a sbarcare a Lombok da campione del mondo – dopo aver eguagliato i sette titoli di Valentino Rossi con la vittoria in Giappone – c'è chi sull'isola indonesiana ha ben poco da festeggiare. Senum, 47 anni, contadino, è stato cacciato per ben due volte dalla sua terra. La prima nel 2018, quando sono arrivati i bulldozer. "Ci hanno trattati come cani e galline. Sono dei ladri", racconta senza giri di parole all'agenzia France Presse.
La sua storia è quella di decine di famiglie indigene Sasak che vivevano nell'area oggi occupata dal circuito di Mandalika, tornato nel calendario MotoGP nel 2022 dopo 25 anni di assenza dell'Indonesia. Un tracciato di 4,31 km nella località balneare di Kuta, cuore di un mega progetto turistico che il governo vorrebbe contrapporre alla più famosa Bali.
PROMESSE TRADITE E COMPENSI DA FAME
A Senum era stato promesso un risarcimento di 10 milioni di rupie (circa 600 dollari) per la terra finita sotto l'asfalto della pista. Già una cifra ridicola rispetto ai valori di mercato. Ma alla fine? Gliene hanno dati solo tre milioni. "Ho dovuto scappare perché avevo paura. Non voglio morire stupidamente", spiega.
La sua non è un caso isolato. Delle 124 famiglie che vivevano nella zona, la maggior parte è stata costretta ad andarsene o si è trasferita. Ne resistono appena 44, ancora in lotta per ottenere quello che gli spetta. Come Sibawahi, 56 anni, falegname e agricoltore: nel 2021 polizia e soldati gli hanno portato via quasi quattro ettari di terreno coltivato a palme da cocco. Le autorità sostengono che i suoi genitori, ormai defunti, avessero venduto quella terra. Prove? Zero. Risarcimento? Ancora in attesa.
L'OMBRA DEGLI SFRATTI
Il progetto Mandalika è stato fortemente voluto dall'ex presidente Joko Widodo, che ha designato l'area come zona economica speciale. I numeri ufficiali parlano di 3.000 posti di lavoro creati per la popolazione locale. Ma sul campo la realtà è ben diversa. A luglio di quest'anno, nuovi sfratti hanno lasciato oltre 2.000 persone senza la loro principale fonte di reddito. Ad agosto, gli esperti delle Nazioni Unite hanno espresso "allarme" per le presunte intimidazioni e l'uso della forza, avvertendo che "le comunità vivono nella paura".
C'è chi protesta attorno alla pista e davanti agli uffici del governatore. E c'è chi, come Senum, si sente "come una mucca legata in gabbia": alcuni residenti denunciano di non poter nemmeno vendere prodotti ai turisti durante i weekend di gara, e di essere costretti a chiedere il permesso per uscire dalle proprie abitazioni.
DUE FACCE DELLA MEDAGLIA
Non tutti, va detto, vivono il circuito come una tragedia. Suman, una casalinga della zona, ha accettato 15 milioni di rupie per lasciare la casa in affitto vicino a quella che oggi è una curva del tracciato. "Quando hanno iniziato i lavori c'era troppa confusione. Sono grata di essermi trasferita", racconta.
Ma per Senum e tanti altri la partita è ancora aperta. "Pagateci adeguatamente e dateci la nostra dignità", chiede, mentre un escavatore continua a sventrare quella che un tempo era la sua terra. "Se vogliono continuare a costruire, risolvano prima il nostro problema".
L'ITDC, la società statale che gestisce lo sviluppo del complesso, ha sempre sostenuto che i terreni acquisiti sono "puliti e in regola" e che l'azienda "rispetta i diritti della comunità". Ma le richieste di commento dell'AFP sono rimaste senza risposta. Come quelle delle famiglie che aspettano ancora giustizia, mentre in pista sfrecceranno le MotoGP.
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