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MotoGP: le INSIDIE del monogomma

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 25/08/2021 in Motogp
MotoGP: le INSIDIE del monogomma
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I team alle prese con il complesso comportamento dei pneumatici si sono sempre affidati a lunghe analisi di laboratorio. Ora arriva uno strumento rapido e preciso che promette di cambiare le regole

MotoGP: le INSIDIE del monogomma

Questa è la versione prototipale del VESevo già usata da molti team in MotoGP

Di solito ci si pensa poco, ma tutto quello che una moto – o più in generale un veicolo stradale – può fare passa necessariamente dalle gomme. Certo contano il motore, i freni, le sospensioni; ma i limiti a quanto il pilota può accelerare, frenare, piegare derivano prima di tutto dalle forze di attrito che la gomma è in grado di generare sull’asfalto. E nel mondo delle gare, in cui si cerca la prestazione assoluta, è fondamentale riuscire a sfruttare per intero queste forze: ovvero raggiungere i limiti delle gomme.

Questi limiti, però, sono legati all’interazione con il fondo stradale, che dipende a sua volta dalla temperatura, dalle caratteristiche della mescola, dal battistrada e dalla struttura fine dell’asfalto. Un casino, avete detto? Sì, esatto. Ed è il motivo per cui alla fine tutti i campionati più importanti hanno optato per qualche tipo di monogomma, in modo da legare lo spettacolo alle prestazioni di tutto il resto: moto e pilota.

MotoGP: le INSIDIE del monogomma

i due classici grafici usati per caratterizzare il comportamento delle gomme: evidente quanto le prestazioni cambino in funzione della temperatura, ma dell’invecchiamento e della percorrenza

Sembra facile

Ma è proprio così? Basta seguire una gara di MotoGP per rendersi conto che la capacità del team e del pilota di interpretare correttamente le gomme fa ancora la differenza: la scelta della mescola, l’usura del battistrada e quindi la tenuta sul finale possono trasformare una probabile vittoria in un decimo posto, o viceversa. Michelin sviluppa senza sosta le sue gomme, ma ai team fornisce una indicazione piuttosto generica: soft, medium, hard. Queste tre etichette racchiudono un’infinità di parametri che gli ingegneri di pista vorrebbero avere... ma devono ricavarsi da soli.

Finora questo veniva fatto con lunghe procedure di laboratorio come la DMA (analisi meccanica dinamica), che analizza al variare della temperatura la risposta della gomma a una forza oscillante. La DMA permette di avere una conoscenza approfondita delle caratteristiche della gomma, ma richiede di prelevarne un campione: di conseguenza quella specifica gomma non è più utilizzabile. Un caro prezzo, al quale la DMA consente però di caratterizzare completamente un comportamento che viene definito “viscoelastico”, essendo intermedio tra quello di un solido e quello di un fluido.

MotoGP: le INSIDIE del monogomma

Quella che vedete è una classica curva di acquisizione del sistema VESevo. Dopo aver misurato la temperatura, l’asta metallica viene sparata contro la superficie della gomma e un sistema ottico misura i rimbalzi, dalla cui forma vengono ricavate le grandezze fondamenta

Semplificando al massimo, un materiale perfettamente elastico si deforma istantaneamente quando viene applicata una forza; in un materiale perfettamente viscoso, invece, la deformazione segue lo sforzo con un ritardo che nei modelli matematici viene definito di 90°. Un materiale viscoelastico presenta un ritardo intermedio tra 0° e 90°: da questo ritardo dipende buona parte del comportamento del materiale, compresa l’energia immagazzinata e quella dissipata per effetto dei carichi ripetuti a cui va incontro il pneumatico durante il suo utilizzo.

Tornando alla DMA, il problema è che è una procedura di laboratorio: lenta e costosa. Per di più ti permette di conoscere perfettamente una gomma che non potrai mai usare, perché è andata distrutta nel processo; questo significa anche che ti aiuta soltanto nell’ipotesi che tutte le gomme che ti sono state fornite siano perfettamente uguali. Cosa che di solito non è vera, tanto più in un contesto come le gare in cui le gomme cambiano molto spesso, e ne vengono realizzati relativamente pochi esemplari alla volta. Per di più, in tutte le principali categorie del motorsport l'asportazione di campioni dalle gomme è proibita, per cui la DMA è lontana dalle esigenze dei team.

Negli ultimi anni sono state sviluppate tecniche innovative, alcune non distruttive ma nessuna delle quali risponde perfettamente alle esigenze dei team. Ecco perché uno strumento di analisi non distruttivo, rapido, semplice ma preciso è il sacro graal del motorismo sportivo degli ultimi anni: e questo strumento ora è arrivato. Si chiama VESevo, e per dare un’idea del suo interesse basterà dire che è già stato adottato da una dozzina di team tra F1, MotoGP e FormulaE… ancor prima del suo debutto ufficiale, previsto per il 2022.

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Il beneficio che un team ha da questo strumento è quindi enorme: in poco tempo, e lavorando direttamente sulle gomme da gara, può arrivare a conoscerne la temperatura di funzionamento ideale, il comportamento in termini di usura, gli eventuali condizionamenti termici necessari per fargli raggiungere le prestazioni ottimali e via dicendo

La pistola nella valigetta

Come certe armi di James bond, lo strumento di cui parliamo non sembra particolarmente raffinato: ha la forma che ricorda un po’ una pistola sparachiodi, e anche il principio di funzionamento è vagamente simile. Dentro c’è infatti una piccola asta che viene “sparata” contro la superficie della gomma; il colpo produce oscillazioni nella struttura della gomma che vengono misurate e studiate. Il tutto dura pochi secondi, ma la cosa veramente importante è la quota di “intelligenza” contenuta in VESevo, vale a dire gli algoritmi che descrivono come la gomma si comporta al variare della frequenza delle sollecitazioni e della temperatura permettendo di arrivare, a partire da poche informazioni, a descrivere in modo accurato il comportamento della gomma in esercizio.

Operativamente è necessario realizzare tre misure: una a temperatura ambiente, una a temperatura elevata (per esempio a termocoperte appena tolte) e una a temperatura molto bassa, per raggiungere la quale ogni team ha il suo modo di raffreddare la gomma. Viene poi sfruttato il “principio di equivalenza tra tempo e temperatura”, che si applica ai materiali viscoelastici, per arrivare a risultati che sono equivalenti a quelli di una DMA completa.

Il beneficio che un team ha da questo strumento è quindi enorme: in poco tempo, e lavorando direttamente sulle gomme da gara, può arrivare a conoscerne la temperatura di funzionamento ideale, il comportamento in termini di usura, gli eventuali condizionamenti termici necessari per fargli raggiungere le prestazioni ottimali e via dicendo. Informazioni vitali, che hanno fatto sì che le richieste per il VESevo siano esplose: a breve arriveranno infatti sia versioni più raffinate per i top team di MotoGP e F1 che versioni semplificate, destinate ai campionati di livello più basso, dove i team hanno meno personale specializzato al loro interno.

E ora che il dato è stato lanciato, le traiettorie di sviluppo non si contano. In versione base, il VESevo potrebbe aiutare i semplici motociclisti a capire quando cambiare la gomma senza affidarsi all’indicazione grossolana del consumo del battistrada, ma potendo sapere quando le caratteristiche e le prestazioni della gomma sono veramente decadute. Già ora, invece, è stato richiesto dai produttori di pneumatici per fare analisi non distruttive della produzione, scoprendo rapidamente se ci sono stati problemi in fase di realizzazione della mescola o nella vulcanizzazione, con semplici controlli a campione a fine linea senza dover aspettare i risultati della DMA, e a costi irrisori.

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la scelta della gomma giusta fa ormai la differenza tra una vittoria e un decimo posto

Abbiamo insomma un altro brillante risultato dell’ingegneria italiana, tra l’altro sviluppato da uno spin-off dell’Università di Napoli proprio come il pacchetto di simulazione numerica di MegaRide di cui avevamo parlato un paio d’anni fa, quando scoppiò la polemica sul “cucchiaio” Ducati. Era stato il gruppo coordinato da Flavio Farroni a far capire l’importanza di quell’appendice aerodinamica, non per generare forze ma per tenere sotto controllo la temperatura del pneumatico posteriore. Ora all’arsenale di modellazione di MegaRide si aggiunge un’arma. Che, come ogni arma di James Bond, è all’apparenza innocua ma può fare tanto male… a chi non ce l’ha.

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