Il colpo di classe non è celebrarne adesso quaranta, ma essere stato capace di compierne due volte venti; duplicando con lavoro raffinato una giovinezza che è volata via gloriosa, con un’altra giovinezza punteggiata di nuove maturità, ma senza perdere energia, iniziativa, pigrizie, slanci, amici e luoghi di quel tempo sportivo e umano vissuto in maniera straordinaria. Tanto straordinaria da lasciarci oggi questo Valentino Rossi, ormai quarantenne, ancora vitale e ancora nei panni pregiati della star internazionale. Una delle pochissime che l’Italia sa ancora esprimere nel mondo.

Dicono che non sia cambiato Rossi. Dicono che il suo segreto sia quello di essere rimasto lo stesso nelle sue dimensioni pubblica e privata. Insistono, secondo un paradigma molto popolare, ad attribuirgli come merito le leggerezze infantili di una prima parte di carriera che era in effetti giocosa e rivoluzionaria, sfrontata e menefreghista, vorace e velocissima, simpatica e ferocissima. Allora ogni vittoria significativa poteva essere festeggiata con un siparietto goliardico che si inseriva alla perfezione nella drammaturgia di quel Valentino che in realtà oggi non è più. Allora il senso di responsabilità e la cura dettagliata della reputazione non erano obblighi radicali come quelli che impone oggi l’ipocrisia della comunicazione, che è diventata di tutti, ma è sempre spietata col prossimo e sempre indulgente con chi la produce. Si spiano e si giudicano le presunte malefatte altrui, ma si è incapaci di badare alle proprie. È un punto di vista personale, ma penso che il vero capolavoro di Rossi sia stato invece proprio il cambiamento…

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