Altri sport
La morte di Pantani fa riflettere
Dall’altare alla polvere. Dura da sopportare. A volte impossibile. Se guardiamo alla storia del mondo dello sport e dello spettacolo, vediamo che i casi di carriere incredibili finite male sono purtroppo, se non frequenti, almeno numerosi
di Luigi Rivola
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Un messaggio sul telefonino di mia moglie: “È morto Pantani”.
Non sono mai stato un tifoso, nel senso che non ho mai idolatrato nessuno e per nessun motivo, ma ho sempre rispettato, stimato, forse anche un po’ invidiato, chi, come Pantani, come Rossi, Agostini, Biaggi, Capirossi, il mio concittadino Maenza, Chechi o gli Abbagnale, è nato con una marcia in più e soprattutto ha avuto la fortuna, l’abilità e la capacità di poterla usare, raggiungendo traguardi non alla portata dei comuni mortali, come il sottoscritto.
Ma pur con quella marcia in più, nessuno di loro è un superuomo: anche i grandi talenti sono comunissimi mortali, e spesso pagano il grande regalo che hanno avuto con debolezze caratteriali superiori alla media, con una insospettabile fragilità che, se portata alla luce dagli eventi, può produrre effetti disastrosi.
Non conoscevo Pantani, ma ho conosciuto tanti altri campioni: alcuni hanno saputo tenere sotto controllo gli effetti del successo, altri meno, altri ancora ne sono stati travolti. Non è facile sentirsi elevati al rango di divinità per anni, essere corteggiati da bellissime donne anche avendo le orecchie a sventola o i denti storti, essersi potuti permettere un tenore di vita quasi senza limiti, e all’improvviso, o in poco tempo, riprecipitare nell’anonimato, constatando magari che, al di fuori dell’ambiente e del momento che ti aveva elevato a dio, tanti valgono come e più di te.
Pantani è crollato, vittima della tremenda fragilità che tanti geni come lui manifestano, e della perdita di identità di un semidio che all’improvviso teme di essere diventato merda e non crede più a nessuno: né a se stesso, né a chi potrebbe e vorrebbe aiutarlo.
Un grande campione mondiale del motociclismo, passato per sua colpa attraverso molte, pesanti traversie a fine carriera, un giorno mi disse: “Tutti scrivono che sei unico, inimitabile, che sei bello, che sei un genio. All’inizio non ci credi, ma poi insistono e alla fine ci caschi. Perdi gli amici veri, ti circondi di avvoltoi e cominci a fare un sacco di cazzate. Ma intanto che sei il grande campione te le puoi permettere tutte, anzi, più ne fai, più sei un personaggio e più cresce il mito attorno a te. Fai il matto per strada in auto o in moto? Ti ferma la Stradale e ti lasciano andare con un paio di autografi; vai in discoteca con dieci scalmanati che si sentono autorizzati a tutto perché sono in tua compagnia? Nessun problema: tutti dentro gratis e se anche disturbi e sfasci qualcosa, nessuno ti presenta il conto. Il problema è che quando ti senti un dio, tutto questo ti sembra non solo lecito, ma dovuto, e chi ti nega ciò che in realtà non ti è affatto dovuto, ma che tu pretenderesti, è uno stronzo provocatore. Poi un giorno tutti diventano stronzi provocatori, e tu entri in una crisi profonda”.
Fortunatamente la realtà non è così estrema, però, se guardiamo alla storia del mondo dello spettacolo, oltre che dello sport, vediamo che i casi di carriere incredibili finite male sono purtroppo, se non frequenti, almeno numerosi.
Un altro campione mondiale del motociclismo, incontrato a Roma l’anno scorso ad alcuni anni dalla fine della carriera – e qui parliamo di un campione che non ha mai accettato il ruolo di divo, grazie ad un carattere forte – quando gli ho chiesto che cosa stesse facendo in quel momento, mi ha risposto: “Sto studiando informatica”.
- Come mai? Gli ho replicato con curiosità... “Quando ho smesso di correre e sono uscito dall’ambiente, ho scoperto che in realtà io sapevo solo andare forte in moto, mentre in quei quindici anni che io avevo dedicato solo alle moto, i miei coetanei avevano fatto un sacco di esperienze diverse, avevano studiato un sacco di cose e, stando in compagnia mi sono accorto che loro pensavano che la mia esperienza fosse stata qualcosa di assolutamente fantastico e che io fossi in qualche modo superiore, ma anche che con me tendevano sempre e solo a parlare di moto, visto che in moltissimi altri argomenti ero decisamente lacunoso. Così ho deciso di mettermi in pari”.
Due caratteri diversi, due diverse reazioni alla “normalità”, a un problema che prima o poi colpisce tutti coloro che hanno raggiunto una grandissima, ma evanescente popolarità. Pantani se non fosse diventato un idolo delle folle sarebbe rimasto un oscuro e forse felice venditore di piadine romagnole sulla riviera adriatica. Il “tutto o niente” non era per lui. Al niente ha preferito il nulla.
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