L’alba, sì: tutta la città, o quasi, sonnecchia in attesa di un altro giorno. In giro, gli ultimi taxi, i primi camion e la nostra Katana. L’alba, sì, che non è né oggi né ieri. Sembra mezzora fa che ci stuzzicavamo... Dove andremo? Dove mi porterai? Dove ti porterò? Ma, in fondo, cosa importa? Io e te, liberi, una notte tutta per noi. Milano è una lampadina accesa adesso; il sole si è ormai coricato dietro i grattacieli, oltre la città. Quello che abbiamo davanti, adesso, è il buio.

E ALLORA ANDIAMO

Tu. Mi hai accolto con quel tuo sellino appena appena duro e con quel manubrio largo, comodo da impugnare. La strumentazione è una delle poche luci che vedo oltre a quelle intorno: è lì, davanti, ben visibile. È il tuo modo di comunicare con me: quanta benzina hai ancora, quanta strada hai già fatto, quanto sto sfruttando il tuo quattro cilindri e in quale rapporto. Ma poi, soprattutto e oltre tutto, è il tuo cuore a parlare.

Quel motorone lì, vispo, pronto a essere scatenato. È nelle mie mani attraverso la manopola destra: grazie a questa posso farti urlare o tacere. E a suonare, lo scarico Akrapovic in titanio, esclusivo di questa versione. Non c’è molto altro tra di noi, non ci sono eccessivi controlli, né troppa elettronica che potrebbe smorzare i termini di questa relazione notturna. E allora andiamo. Prima, però, ti osservo un po’. Le linee tese, il fanale squadrato, il codino sfuggente e un grigio che si staglia contro i colori al neon di questa notte.

Qualche dettaglio rosso, i filetti e la sella bicolore, e poi il telaio che abbraccia un quattro cilindri che sa urlare, sa correre, se andare a spasso, sa ubbidire. In Suzuki hanno lavorato sulla gestione del comando del gas per rendere l‘erogazione fluida e piena non appena si va ad accarezzarlo. Ma sul pavé, tra le rotaie del tram, c’è davvero bisogno di avere una risposta così pronta? C’è davvero bisogno di avere una coppia subito disponibile? Beh forse no, però dà gusto sapere che, all’occorrenza, con una semplice rotazione della manopola destra si può scatenare un inferno.

IL GRIGIO STA BENE SU TUTTO

Di fatto la Suzuki Katana è una moto che sta bene ovunque la metti. Anche in città, di notte. Il suo punto di forza è quello di non essere esagerata in nulla se non, forse, in quelle linee ardite e tese che ne tracciano il perimetro. Le sospensioni sono sì rigide ma non in modo controproducente, la frenata è potente ma non aggressiva, il cambio è veloce. E a proposito di cambio: in città si può mettere una marcia e tenere sempre quella giocando, appena, con la leva della frizione; che tra l’altro è anche morbida e molto modulabile.

In sella la posizione è accogliente, si nota la derivazione sportiva ma con il manubrio largo, il serbatoio ben sciancrato e le pedane non troppo vicine alla sella, si può passare serenamente il tempo a bordo. Questa, a conti fatti, non è una moto stancante. Non richiede troppo impegno, non vuole troppe attenzioni. È stata costruita con un approccio molto giapponese: tutto è facile, a porta ta di mano, non eccessivo. Lo scopro quando mi muovo tra una parte e l’altra della metropoli, zigzagando nel traffico. La Katana si muove svelta, leggera. Lo sterzo è tanto, il piano di seduta è vicino al suolo, il peso è ben distribuito. La città è minuscoli vicoli, la città metropolitana è anche autostrade.

E nei curvoni veloci la Katana sta lì, stabile, con il suo assetto rigido. Una lama. Una spada. Come una sportiva. Che poi questa è una sportiva, perché il nuovo millennio ha portato in tutti noi la scoperta dei manubri alti. Vogliamo trovarle un difetto? Beh, nelle frenate di emergenza sul pavé l’ABS allunga gli spazi di frenata e la leva pulsa un po’. È una situazione estrema, perché per il resto l’impianto frenante convince nella guida di tutti giorni e anche quando si spinge un po’ più del dovuto.

Il cambio è veloce, lo abbiamo detto, ma pecca un po’ in pastosità. Talvolta, tra la seconda e la terza marcia, c’è qualche impuntamento. È solo questione solo di farci l’abitudine e, probabilmente, si tratta di un neo dovuto ai pochi chilometri percorsi dal nostro esemplare. Il controllo di trazione, che è regolabile, interviene in modo veramente perfetto, anche quando si esagera dove l’aderenza è davvero poca. I tagli sono moderati e molto morbidi. Quasi non si avvertono, se non per quella sensazione di sicurezza che regalano, proprio quando serve. È l’alba, la città si rimette in moto. I particolari rossi della nostra Katana Jindachi si accendono di una nuova luce. Un’ultima sgommata, ed è ora di casa.