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La meglio gioventù

il 15/12/2004 in Altri sport

Confronto tra piloti di ieri e quelli di oggi. Loro in fondo non sono cambiati. E' il mondo delle corse che è diventato showbiz ed ora i conti, fortunatamente, non si fanno più con la morte ma con lo sponsor

La meglio gioventù
I tre campioni del motomondiale 2005. I piloti di oggi lamentano spesso la pressione dello showbusiness ma la loro attività fortunatamente oggi si svolge tra margini di sicurezza molto ampi

Una bellissima immagine di Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. I due piloti persero la vita insieme a Monza il 20 maggio 1973 in una giornata tra le più nere della storia del motociclismo

Piloti di oggi, piloti di ieri… Cosa è cambiato, sono uguali, oppure appartengono a due mondi diversi? Il tema è suggestivo e stimolante, spero per tutti. Ad esempio, oggi il più male in arnese della 125 ha un tenore di vita che negli anni Sessanta era alla portata dei soli top rider.

Oggi tutti hanno un logo personale, un addetto stampa, una vita molto organizzata, mentre una volta ci si trovava alle corse, come ad una festa, dicendo magari: “Ma guarda che bello, ci sei anche tu”.
Puoi parlare di coraggio e di incoscienza, ma la vera differenza è data dalla società, dalla differenza dei valori tra passato e presente. L’etica è vittima della storia, come diceva una vecchia canzone di Battiato, non sono solo i soldi a fare la differenza, anche se questi hanno la loro bella e porca importanza. In passato, con una monocilindrica, un furgone scassato, un amico al seguito e un pugno di dollari rimediati con i premi partenza si poteva fare un mondiale, oggi no. Perché una forcella costa come una moto e con un treno di gomme fai un turno e poi lo butti via. Perché la tuta deve essere sempre pulita e con i marchi bene in vista, altrimenti lo sponsor si arrabbia. E’ un circolo vizioso e virtuoso al tempo stesso, lo sportshowbiz, termine che unisce sport, mondo dello spettacolo e affari. Quello che procura ingaggi notevoli ma che ha fatto lievitare i costi di tutto, che toglie spontaneità, che costringe un ragazzo timido ma veloce in pista a crucciarsi perché “non è personaggio”. Un mondo complesso, ma non troppo difficile da capire.
Perché poi la vera differenza non è questa… Si chiama morte, parola proibita nel mondo d’oggi, che fa paura e vergogna. Sì, perché anche nelle guerre televisive come quelle in medioriente, non si fanno vedere i cadaveri. Quelli che tornano a casa avvolti in una bandiera, dentro un sacco di plastica, quelli che non si possono fotografare. La morte fa paura in un mondo che vende ideali di plastica e fa spettacolo e intrattenimento nella playstation. La morte appare solo nei programmi televisivi come quelli di "History Channel", è rievocata dalle mummie, dalle autopsie di personaggi storici o di gente sparita da duemila anni. Ma la si vede solo lì.
Tempo fa parlavo con Giacomo Agostini che mi diceva: “Una volta, ai miei tempi, si andava spesso ai funerali di un amico che era morto in gara e si stava attenti a non cadere, perché quando andavi a terra c’era, come minimo, la possibilità di farsi molto male”. Il rapporto con la morte era quello che c’era sempre stato nel mondo “antico”, nel quale la gente moriva in famiglia e non solo in ospedale o in un ricovero per anziani; senza contare poi che c'era stata da poco la guerra e aveva riempito di cadaveri le strade, le piazze, i campi di tutta Italia. E c’erano i piloti anglosassoni che con la morte erano andati a braccetto in guerra da soldati. Molti di loro, sudafricani, inglesi, rhodesiani, australiani, neozelandesi, avevano finito di guidare carri armati, Spitfire, Hurricane, Lancaster e correvano con lo stesso coraggio mostrato in guerra contro i loro coetanei dell’Asse. Si moriva e si piangeva e poi si continuava… C’era l’ineluttabilità della scomparsa. Oggi no.
Il giorno in cui Kato si schiantò contro una barriera a Suzuka, il motociclismo si interrogò su tanti temi e lo fecero soprattutto i piloti. Fuori dalle dichiarazioni ufficiali (molto sincere, a dire la verità) parlando con loro in quel tristissimo giorno giapponese venne fuori la sorpresa. Nessuno di loro aveva visto la morte da vicino e quasi nessuno credeva che fosse possibile che uno di loro ci lasciasse le penne in pista. La reazione fu vigorosa, la sicurezza aumentò ulteriormente. E a Suzuka - Honda o non Honda - non si corse più, nella speranza che non ci sarebbero stati più morti.
Lo sportshowbiz di oggi non può considerare il fatto che qualcuno lasci questa terra con un marchio addosso. Dopo una caduta, magari spettacolare e molto televisiva, ci si rialza alla svelta, si tranquillizza con la manina via tv e poi si riparte. Al massimo si salta qualche gp per uno scafoide che fa le bizze o una clavicola. Fra qualche anno, magari, non sarà più accettabile neanche questo. Mentre era accettabile che a Monza in un pomeriggio di maggio morissero in un solo istante Saarinen e Pasolini, la meglio gioventù dell’epoca, e che si continuasse a correre. Allora c’erano i “fidanzati della morte”, ultimi eredi di quella mistica eroico-funebre che aveva avuto il suo culmine dal 1939 al 1945 in giro per il mondo.
Oggi il lutto resta sottoforma del numero 74, quello di Kato, attaccato su buona parte delle moto che corrono nel mondiale, come a dire “sei con noi, in ogni caso”. Infatti oggi si smette di correre perché non si trovano più gli sponsor e non perché si finisce sotto una spanna di terra o su una carrozzella e questo mi sembra un grandioso progresso.


Uno che analizza bene la situazione del nostro sport è Gianni Rolando, pilota di ieri e oggi “addetto ai lavori” nel mondo delle corse. Le sue considerazioni fotografano la situazione meglio di un sociologo. Vi propongo la sua prospettiva raffinata, vista attraverso le decorazioni dei caschi…:
“Nei caschi dei moderni eroi, trovi tori che sbuffano, zanzare incazzate, minchie arrotolate, indiani che ti fissano, neonati ninja, happy days tenebrosi e poi? Poi trovi un bulldog semiaddormentato (russa anche da sveglio) che si fa portare in giro su quello che è il casco del campione del mondo della MotoGP. Ma per intimorire l'avversario e per dimostrare di avere le palle, i piloti - di solito i più scarsi - si nascondono dietro a figure che più incazzate non possono essere: centurioni moderni, gialli con il bollino blu, battuti da un vecchietto che sorregge una manona col pollice in segno di OK, uragani, dragoni, spettri "setiprendotispaccoilculotigirointondotitritoledita" che a pranzo mangiano gli omogeneizzati, la sera un piatto di pasta con il pomodoro e vanno a letto alle nove con la lucina accesa perché hanno paura delle figure che hanno rappresentato sui loro caschi. Che eroi!
Un lunedi non certo qualunque, quello dopo la gara che ha incoronato per la quinta volta Valentino campione del mondo, me ne stavo nella mia camera d'albergo con un mal di testa tuonante (colpa del Gabbia, amico di Vale, che mi aveva fatto bere più del dovuto alla festa del fans club), quando ricevo la visita di Uccio, anche lui poco disposto ad andare in piscina. Poco dopo arriva Angel Nieto in pigiama trasparente e, a ruota, Valentino. Erano le due del pomeriggio e Vale fa portare la colazione in camera. Avevo 18 titoli mondiali in camera e qual era l'argomento del giorno? Barry Sheene, Lucchinelli, Nieto, i vecchi tempi… e poi io mi sono ricordato che allora noi eravamo veramente incazzati in pista (e più amici fuori), guadagnavamo pochissimo, ci facevamo tanto male ma, guarda caso, i nostri simboli sui caschi erano dei Paperini, Speedy Gonzales, Pantere Rosa, Stelle Fortune, Pappagalli e cornini. Non è passato molto tempo, in fondo. Ma l'incazzatura che ci stimolava è finita, ora c'è il professionismo”.

La meglio gioventù
I tre campioni del motomondiale 2005. I piloti di oggi lamentano spesso la pressione dello showbusiness ma la loro attività fortunatamente oggi si svolge tra margini di sicurezza molto ampi

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