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Kawasaki ZX-6R, campione del mondo 2001

il 12/12/2001 in Moto & Scooter

L’anno scorso a Cathcart era sembrata potente, competitiva, ma inguidabile. Quest’anno ha vinto il titolo. L’ha provata di nuovo e ha scoperto perché

Kawasaki ZX-6R, campione del mondo 2001


di Alan Cathcart, foto Kel Edge e Phil Smith





Brutta sorpresa per Paolo Casoli la corsa del 30 settembre 2001 a Imola, ultima del campionato mondiale Supersport, nella quale ha visto svanire le sue possibilità di vincere il secondo titolo mondiale della categoria ed ha assistito al trionfo iridato del venticinquenne australiano Andrew Pitt, in sella alla Kawasaki ZX-6R del Team Eckl.

Lo stesso giorno, Eric Bostrom, anch’egli con la ZX-6R, vinceva in America, a ribadire una supremazia che le vittorie testimoniavano ad onta di una presenza assurdamente esigua in confronto alle forze poste in campo dalla Yamaha, dalla Suzuki e dalla Honda. La forza è data dal numero? Evidentemente no: la conquista del titolo mondiale Supersport da parte della Kawasaki è il trionfo del più debole, contro ogni pronostico.




Il potenziale vero della ZX-6R è emerso nel 1999, dopo una lunga gestazione. Quell’anno, MacPherson vinse tre corse e si piazzò secondo nel mondiale, dando ragione al Team Eckl, che credeva fermamente nella competitività della moto e che si era assunto tutte le spese di partecipazione al campionato.




Nel 2000 la Kawasaki si decise ad intervenire direttamente e a MacPherson fu affiancato Pitt, tuttavia i risultati furono inferiori a quelli dell’anno precedente: un solo podio in tutta la stagione, a causa di evidenti problemi di crescita della moto e della mancanza della giusta dose di buona sorte.






Il Team Kawasaki Eckl alla fine del 2000 decise di considerare la stagione come un banco di esperienze per raggiungere la miglior competitività in vista del 2001. La costanza è stata premiata profumatamente col titolo vinto da Andrew Pitt contro piloti e macchine concorrenti di altissimo livello.





Una settimana dopo il trionfo di Pitt, ho avuto la possibilità di provare in Germania, sulla pista di Oschersleben, la sua ZX-6R, un’opportunità particolarmente gradita, in quanto lo scorso anno avevo provato le Kawasaki 600 di Pitt e MacPherson proprio su quella stessa pista, riportandone sì un’impressione complessivamente molto positiva, ma riscontrando anche, sulla moto dell’attuale campione del mondo, sensibili difetti, soprattutto di taratura della ciclistica: la ZX-6R di Pitt risultava infatti molto instabile in frenata e zigzagava in rettilineo, cosa che quella di MacPherson non faceva, e la mia impressione era stata che con una moto messa a punto in quel modo, Pitt non avrebbe avuto alcuna chance di lottare per il titolo mondiale 2001...




A Oschersleben ho scoperto quindi com’è cambiata la ZX-6R dell’australiano e sono rimasto allibito al momento stesso in cui sono montato in sella, constatando il perfetto inserimento del pilota, non più sopra, ma dentro la moto. Ho poi avuto modo, inanellando giri su giri del tracciato tedesco, di verificare tutte le modifiche apportate da Scott Breedin, ingegnere responsabile delle Supersport del Team Eckl, che hanno trasformato una moto imperfetta nell’arma capace di vincere un titolo mondiale.






Per creare la versione J1 della ZX-6R, introdotta nel 2000, la Kawasaki si è concentrata sull’evoluzione, piuttosto che sulla rivoluzione.
“Fondamentalmente la moto andava già bene quando sono arrivato al Team Eckl – ammette modestamente Scott Breedin – era solo questione di organizzarsi meglio e di lavorare bene sul set-up del telaio. Una cosa che mi ha sorpreso molto è stata la mancanza di rapporti sostitutivi per il cambio, materiale indispensabile in corsa e di cui qualsiasi team ufficiale dispone. Li abbiamo chiesti ai giapponesi e, pur con molta lentezza, sono arrivati. Ora abbiamo 5 rapporti per la prima, 3 per la seconda, la terza e la quarta, infine 2 per le marce più lunghe. Adesso possiamo cambiare i rapporti interni in un’ora e mezza di lavoro, capovolgendo il motore e rimuovendo la parte inferiore del carter”.





Breedin, in collaborazione col motorista Martin Gopp è intervenuto anche sul propulsore, sacrificando qualche cavallo in basso per ottenere maggior potenza in alto attraverso modifiche ben mirate all’alzata delle valvole e ai condotti di aspirazione e scarico, senza cambiare l’albero a camme. Modificato anche l’anticipo dell’accensione ed il rapporto di compressione, elevato a 14,2:1.
Il motore 2001 sviluppa 125 CV alla ruota, al regime di 14.500 giri, vale a dire 11 CV e 1500 giri in più del motore della precedente stagione. L’aumento di potenza è stato ottenuto, fra l’altro, modificando la camera di scoppio a somiglianza di quella della ZX-7RR SBK, adottando condotti di aspirazione più corti di 7mm e montando sui carburatori Mikuni di 36 mm cornetti più lunghi in corrispondenza dei due cilindri esterni e più corti di 5 mm per quelli interni.





Anche sulla ciclistica è stato fatto un intenso lavoro, soprattutto sulle sospensioni WP e sulla posizione di guida, abbassando la sella per scaricare leggermente l’avantreno, che pur rimane fortemente caricato, con una distribuzione dei pesi del 53% anteriore e del 47% posteriore. Il peso attualmente è 2 kg sotto il limite minimo (167 kg) stabilito dal regolamento, ma il Team Eckl, invece di far ricorso a zavorre sul telaio, preferisce presentarsi al peso stando bene attento che nel serbatoio del liquido di raffreddamento ci siano sempre due litri d’acqua... Piombo liquido!






Della posizione di guida, notevolmente migliorata, ho già detto; aggiungo che adesso ci si sente tutt’uno con la moto e che il bilanciamento è pressoché perfetto. Veloce e spontanea nei cambiamenti di direzione, la Kawasaki Zx-6R di Pitt è stabile e precisa anche nei curvoni veloci, come quello che si trova dopo i box a Oschersleben.
Mantiene rigorosamente la traiettoria impostata e risponde con la massima esattezza alle correzioni impostate dal pilota, andando esattamente dove lui le dice di andare.




L’unica critica è rivolta al funzionamento dell’idraulica della forcella WP, che smorza poco e tende a rimbalzare; questo complica la vita nelle curve a ripetizione del tracciato dell’ex-DDR, ma certamente si tratta di un inconveniente che una buona sessione di test coi tecnici della WP può eliminare.
Dove la Kawasaki è veramente eccellente è in frenata, grazie alla sublime potenza dei dischi anteriori di 300 mm di diametro con spessore di 5,5 mm (mezzo millimetro in più dei dischi di serie) abbinati alle pinze Tokico a sei pistoncini.
Il motore asseconda in pieno le doti della ciclistica. Inizialmente facevo l’errore di spingermi costantemente fino al limitatore, ma poi Pitt mi ha consigliato di cambiare con 500 giri di anticipo, a circa 13.800 giri.




La potenza è sufficiente a sparare la moto fuori dalle curve con fantastica progressione già a 9.000 giri, ma tra 11.000 e 13.500 giri si avverte il massimo della spinta, dopodiché la potenza cala rapidamente.
L’erogazione è consistente, ma mai brusca, come sulla Yamaha di Casoli, che peraltro ha un arco di utilizzo più vasto. Il range limitato obbliga ad un frequentissimo uso del cambio per mantenere sempre il motore entro i regimi utili, ma il cambio della Kawasaki, fortunatamente, non ha paura di niente.
Kawasaki ZX-6R, campione del mondo 2001
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