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I viaggi dei lettori

La mia Africa

di Giampiero Pagliochini e Giorgio Bistocchi il 27/02/2008 in I viaggi dei lettori

Un viaggio sognato e cullato per anni, poi la decisione di partire ed affrontare "all'indietro" oltre 17.000 chilometri di Continente nero dal Capo di Buona Speranza fino a Milano

La mia Africa
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Africa e ritorno: partiamo direttamente dal fondo del continente nero, dal Sudafrica dove abbiamo spedito le moto ed i bagagli.
Sono le 13,30 quando lasciamo la dogana di Waterfront, la parte nord di Città del Capo.
Mai successo di sdoganare così velocemente, in tre ore abbiamo aperto le casse rimontate le moto ed espletato le formalità doganali.
Raggiungiamo l'albergo, il pomeriggio ci servirà per organizzare il carico, davanti a noi i 17.
000 chilometri necessari per tornare in Italia attraversando il continente nero.
All'indomani scendiamo a sud lungo l'Atlantico con destinazione Cape Hope (Capo di Buona Speranza), un luogo tanto battuto dai venti che diventa arduo scattare una foto con il cartello alle spalle, è il ricordo che tutti vogliono.
Lasciamo Cape Town di buon mattino si punta verso nord, il paesaggio cambia, verdi colline con panorami mozzafiato, la sosta a qualche stazione per fare benzina ci ricorda che siamo in Sud Africa: il proprietario dietro la cassa è bianco mentre l'uomo che serve i clienti è nero.

La sera siamo a Springbok, fa freddo, ma siamo ben equipaggiati: siamo in Africa ma un capo in più non guasta.
Con un cielo ben augurante, di buon mattino puntiamo verso la frontiera della Namibia: il viaggio prende consistenza, da ora in avanti si fa sul serio, con paesaggi che tutti i motociclisti vorrebbero avere per contorno.
L'occhio rallegra l'anima quando a sera giungiamo a Maltahohe.
Una curiosità: i proprietari sono tedeschi, all'interno del bar-ristorante si parla tedesco, anche il cane: è uno schnauzer… Insomma, dentro sembra di essere in Germania e fuori c'è l'Africa.
La pista corre veloce sotto le nostre ruote, siamo in off-road, per giorni questo sarà il nostro habitat.
Sossuslavi, ovvero le dune rosse circondati dal deserto più vecchio del mondo: il Kalahari.
Lo spettacolo è coinvolgente, dune a non finire fino alla Duna 45, la più alta.
Di tanto in tanto incrociamo qualche veicolo e allora polvere non finire… Non è che noi non ci lasciamo prendere la mano, le nostre moto, una KTM 990 e un 640, si prestano a questo tipo di pista.
La sera dormiamo a Solitarie: un hotel con piscina, uno Store e la pompa di benzina, insieme all'acqua sono le cose di cui non possiamo fare a meno.
Quando lasciamo la pista e prendiamo il tratto di asfalto ci ritroviamo a Walvis Bay. Siamo sull'oceano Atlantico, saliamo a nord verso Swakopmund, la nostra meta è Cape Cross, 160 km di pista salata.
È l'unica strada che costeggia al Skeleton Coast, la Costa degli Scheletri: un nome sinistro causa i tanti resti umani ritrovati a seguito di naufragi d'imbarcazioni.
Alla reception la ragazza mostra un sorriso a 32 denti, ci facciamo riservare una camera al vicino Resort, poi via a vedere le otarie: uno spettacolo unico, almeno per noi che viviamo in una regione che del mare non ha nemmeno l'ombra.
Le otarie sono 100.000 secondo le stime ufficiali, uno spettacolo nello spettacolo con il sole che tramonta e una balena a largo che ci elogia della sua presenza.
Sveglia sotto una cortina di nebbia, sembra di essere in pianura padana… Torniamo indietro e poi verso l'interno, a sera ritroviamo l'asfalto, siamo a Tusmeb.
La visita all'Etosha Park impone di affittare un auto, credo che difficilmente potremmo entrare in moto.
L'Etosha è uno dei parchi più grandi dell'Africa e di sicuro il biglietto è tra i meno cari: 17 dollari di antilopi, orici, zebre, elefanti, giraffe e non mancano i rarissimi rinoceronti neri che convivono con altrettanti predatori come leoni, ghepardi, leopardi, iene e sciacalli.
Non siamo riusciti ad incontrarli tutti, a volte ci sono sfuggiti come un gruppo di leoni che se non era per un "locale" non avremmo avuto il privilegio di vedere.
Lasciata Tusmeb siamo saliti al nord, la sera eravamo in Botswana in riva al Delta dell’Okavango, dove un altro tipo di safari caratterizza questa "land", e cioè quello sul fiume.
Proseguiamo verso sud: la strada è una lama di coltello, diritta e noiosa con un paesaggio piatto ed ostile dove la povertà contrasta con il Lodge della sera prima.
Quando giungiamo a Gewta il sole offre gli ultimi sprazzi di luce, poco prima abbiamo ingaggiato una corsa con degli struzzi, uno in particolare velocissimo, vicino ai 60 km/h.
Il giorno seguente andiamo alla ricerca dei baobab, siamo senza GPS, troviamo il primo e poi una caduta rovinosa ci obbliga a tornare indietro.
Una notte con il ginocchio sotto effetto ghiaccio e l’indomani via verso lo Zambia; è notte quando giungiamo a Livingstone dopo un pomeriggio perso nei meandri della burocrazia della frontiera zambese.
Le cascate Vittoria sono tra le più spettacolari al mondo, peccato che in questo periodo la portata dello Zambesi sia tra le più basse dell’anno.
Concludiamo la giornata su un barcone per un tour sul fiume dove avvistiamo ippopotami e coccodrilli, un tramonto da favola fa da contorno ad una giornata indimenticabile.
Dopo tre giorni ci lasciamo alle spalle lo Zambia: prima di uscire, a Lusaka, siamo costretti ad estendere l’assicurazione per i paesi a venire.
I luoghi attraversati sono suggestivi ma riflettono le contraddizione di questo continente.
Arriviamo in Tanzania, un paese che di contraddizioni ne ha mille e più. Tutti ci hanno sconsigliato la pista che sale da Iringa verso Dodoma, la capitale che per una volta al mese si anima, con i parlamentari che salgono da Dar es Salaam per tre giorni… E poi il parlamento torna ad essere una cattedrale nel deserto.
Lasciata Iringa siamo in fuori pista: per due giorni sarà il nostro habitat, ma quella pista da tutti sconsigliata sarà uno dei momenti più belli del viaggio, con un panorama mozzafiato, un’infinità di baobab, popolazioni ospitali e poi quando incontriamo i Masai potete immaginare il nostro stato d’animo.
La pista Dodoma Arusha è la copia di quella del giorno prima, tappa difficile a causa di una foratura.
La mattinata è carica di nubi, il che ci costringe a puntare verso la frontiera kenyiota e rinunciare un salto ad Moshi per fotografare il Kilimangiaro.
Superata la frontiera via verso Nairobi dove siamo ingoiati dal traffico caotico della città; questo non ci impedisce certo di trovare una degna sistemazione.
Nei giorni a seguire controlliamo le moto, dobbiamo sostituire i pneumatici, i posteriori sono quelli più usurati.
Troviamo il nuovo per il 640 ma dobbiamo ripiegare su un usato per il 990: questa misura è sconosciuta in Africa, così mi porto dietro il posteriore che installerò di nuovo più avanti.

Dopo un meritato riposo di tre giorni lasciamo Nairobi per la frontiera Etiope: il primo giorno su asfalto fino ad Isolo poi, un fuoristrada al limite della sopportazione che ci porterà prima a Marsabit e poi a Moyale, a ridosso della frontiera.
Le storie che che ci hanno raccontato su questo tratto di pista assomigliano ad una leggenda metropolitana: leoni, banditi… Ma tolta l’aridità del luogo e una serie di forature, è un’ altra perle del viaggio che resterà indelebile nella nostra mente. Dura, sì… Ma penso che ogni motociclista sogni di vedere questi luoghi.
Moyale una delle tante frontiere sgangherate dove la confusione è sovrana, anzi il difficile è ritrovare gli addetti: che sono irreperibili chi per un motivo reale chi con una scusa qualsiasi.
Perdiamo circa tre ore prima di imboccare la direttrice per Addis Abeba. A Yavello deviamo per Arba Minch: ancora fuoristrada di quello che piace a noi, ma per il sopraggiungere della notte dormiremo a Konso, un paesino sparso sugli altopiani etiopi.
La notte ha piovuto e allora non più solo polvere ma guadi a non finire: diventa difficile non bagnarsi.
Solo 70 km ci dividono dalla capitale che raggiungiamo all’indomani, trovato l’albergo di corsa all’ambasciata sudanese: è lunedì e dovremmo attendere il mercoledì mattina per avere il visto, dopo di che via verso nord.
In questi giorni trascorsi ad Addis Abeba abbiamo il piacere di gustare quello che (poco o tanto che sia) di buono ha lasciato la nostra presenza: la cucina è prettamente italiana e allora lasagne e spaghetti a volontà.
Più saliamo al nord più gli altopiani diventano immensi e verdeggianti, a tratti sembra di essere in prossimità delle nostre Alpi, l’altitudine è oltre i 3.000 mt. La gente dedita al pascolo ma la povertà di sempre affiora ovunque.
Dormiamo a Debra Marcos, il giorno seguente costeggiamo il lago Tana da dove nasce una branchie del Nilo, superata Gondar, dove è possibile ammirare un castello seicentesco ben conservato.
Svoltiamo per la frontiera sudanese, ancora “off” giungiamo a Aykel, da qui al confine mancano 150km che percorriamo all’indomani, in un paesaggio che ripaga delle fatiche.
Siamo a oltre 12.000 km percorsi e un po’ di stanchezza si fa sentire.
Espletate le formalità doganali etiopi passiamo a quelle del Sudan, e allora inizia quello che noi chiameremo lo “spennare”.
Dollari a non finire vengono richiesti per normali attività di frontiera, e la cosa si farà più evidente a Karthoum dove, dopo essere stati costretti a viaggiare di notte senza un hotel lungo la strada, per un albergo di pessima qualità ci verranno richiesti 75 dollari. Non male per essere in Africa.
Da Karthoum partono due strade che portano a Wadi Halfa il porto sul Nilo da cui è possibile raggiungere l’Egitto.
Noi scegliamo quella più corta ma non per questo meno difficile, se per Dongola tutto il tratto è asfaltato tranne 150 km di pista in buono stato, per Abu Hamad tutto asfalto e poi 370 km che non potremo dimenticare.
Lungo la strada visitiamo il sito di Meroe 40 con piramidi più antiche di quelle in Egitto.
Piazziamo la tenda nella stazione della polizia, poi con una levataccia dakariana ci inoltriamo in questo deserto arido dove il caldo è soffocante.
Il carico che abbiamo costringe a tratti a viaggiare di motore per non sprofondare nella sabbia, è il primo pomeriggio quando giungiamo a Wadi Halfa, stanchi ma orgogliosi di aver percorso una pista terribile per lo più senza GPS.
Il giorno seguente ci rechiamo all’agenzia che gestisce il ferry per Assuan, per evitare dei controlli doganali siamo costretti a sborsare dollari, tutto il mondo è paese.
Noi partiamo con un ferry, le moto ci raggiungeranno con una chiatta un giorno più tardi.
Questo ci permette di fare i turisti ad Assuan, dove tra difficoltà burocratiche e una flemma egiziana che solo la mancia riesce a velocizzare, passeremo quattro giorni prima di rimettere il sedere sulla sella.
Ma le difficoltà non sono finite, scopriamo sulla nostra pelle che ora è proibito viaggiare da soli in Egitto, necessita una scorta che devi pagare o aspettare il convoglio di cui non si riesce a percepire i contenuti e i tempi.
Alla fine, dopo Luxor, ad uno dei tanti check point alziamo la voce e non solo, una tattica che si rivelerà vincente.
Solo dopo il Cairo questo assillo svanirà come per incantesimo.
Arriviamo alla Piana di Giza di buon mattino, non è la prima volta che mettiamo piede qui, ma è la prima in moto e allora immortalare noi, le moto e le piramidi diventa un piacere.
Attraversiamo tutto il Cairo e via verso Suez, passiamo sotto il canale e con il sole tramontato da varie ore giungiamo a Nuweba, il porto egiziano sul Golfo di Aqaba. Alla dogana incontriamo Andrew un ragazzo sud africano pure lui in moto, si procede insieme, sostiamo ad Aqaba poi di buon mattino visitiamo Petra la città cara ai beduini,… o almeno “vorremmo” ma per due ore siamo costretti ad attendere un ok che poi arriva liberatorio.
Il fatto è che c’è Mr Bush e signora… Si, LUI, The President of the USA.
Amman stupisce per il bianco degli edifici che riluce come a proteggersi da un caldo eccessivo, che in questo periodo non si avverte.
Fatta frontiera con la Siria risaliamo verso la Turchia: abbiamo un appuntamento all’Eicma di Milano e l’ultima nave che parte dalla Turchia arriva in Italia il giorno 4 novembre.
Quando a Cesme saliamo nella stiva della nave un senso di dispiacere ci assale perentorio.
È stata dura ma personalmente ripartirei all’indomani, anche se Cape Town sembra lontana.

Conduttori: Pagliochini Giampiero-Giorgio Bistocchi
Moto: KTM 990 ADV- KTM 640ADV
Kilometri percorsi 17.320
Paesi attraversati 12
Sul sito personale www.motorbiketravel.it c’è un reportage dell’intero viaggio
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