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Guardrail per motociclisti: che fine hanno fatto?

Marco Gentili il 19/06/2018 in Attualità

Una norma europea assente. un decreto pronto ma fermo da anni in un cassetto. Il risultato? In Italia ci sono appena 100 km di barriere salvamotociclisti. La versione integrale della maxi inchiesta di Dueruote

Guardrail per motociclisti: che fine hanno fatto?
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In Italia c’è un killer silenzioso dei motociclisti e degli scooteristi. Un killer che sfugge alle rilevazioni, che è infido perché la sua natura dovrebbe essere quella di proteggere. Il guardrail non compare nelle statistiche sulla mortalità e sulla incidentalità, eppure ogni anno uccide o rende disabili molti sventurati che hanno la disgrazia di impattare contro i suoi sostegni, pali metallici che possono tagliare come lame. Eppure i modi per rendere i guardrail degli strumenti salvavita anche per noi motociclisti ci sono. E costano poco. Però sono sottoutilizzati, un po’ per mancanza di sensibilità generale, un po’ per mancanza di volontà politica.

Una norma incompiuta

La nostra inchiesta parte da Bruxelles. Qui, nei palazzi della Comunità europea, vengono prese le decisioni che riguardano i cittadini degli stati membri, anche in tema di mobilità. L’Italia, nel giugno del 2008, si era fatta promotrice della necessità di elaborare una norma tecnica sui dispositivi di protezione ausiliari (leggi: guardrail) per motociclisti, istituendo un gruppo di lavoro. La Comunità europea, su richiesta dell’Italia, iniziò a pensare a una norma che stabilisse come devono essere fatti i guardrail salvamotociclisti. Il gruppo partorì un documento denominato 1317-8 che non è mai entrato in vigore come norma tecnica (EN). Venne infatti declassato nel 2011 a semplice Technical Specification (TS), per volere della Germania e dei Paesi nordici, con il voto contrario dell’Italia. Cosa significa? Che la TS è una regola non vincolante, a differenza della EN che avrebbe reso obbligatorio l’adozione di questa tipologia di barriere salvamotociclisti. In sostanza è stato una sorta di “tana libera tutti”: ogni Stato si riteneva libero di adottarla o meno.

Europa spaccata in due

La decisione della Germania è stata dettata da un motivo ben preciso: i rappresentanti tedeschi erano contrari alla metodologia dei test previsti dalla 1317-8 per certificare i guardrail per motociclisti (che prevedono la rilevazione dell’impatto delle barriere sulla testa e sul collo del motociclista a 60 e 70 km/h, attraverso dei sensori posizionati su un manichino attrezzato ad hoc). Inoltre i Paesi scandinavi, in cui i motociclisti morti in strada si contano sulle dita di una mano (in Norvegia sono meno di 10 ogni anno), non vivono la questione come un problema sentito. Ma nei Paesi mediterranei, dove la moto viene utilizzata spesso per 365 giorni all’anno e il parco circolante è ben più consistente, la questione è decisamente più calda.

Il nemico silenzioso

Dati alla mano, la mortalità stradale negli ultimi anni è in calo. Il guardrail quindi non è più pericoloso come una volta? Tutt’altro. Esso continua a rappresentare un motivo di decessi e lesioni permanenti, ma non lascia traccia nei registri ufficiali: “I formulari a disposizione delle forze dell’ordine in Italia non sono uniformi e non prevedono una voce specifica per gli incidenti che coinvolgono motociclisti che vanno a sbattere contro le protezioni laterali. In sostanza, se un centauro muore o resta ferito in modo permanente, il guardrail non risulta mai come la causa dell’evento”, dice Marco Comelli, ingegnere civile e responsabile della sicurezza per l’Associazione Motociclisti Incolumi. E allora? Possiamo solamente dedurre quanti siano i motociclisti danneggiati dall’impatto coi guardrail. Incrociando le statistiche della Volkmann & Rossbach (azienda tedesca che produce barriere laterali) e dell’European Transport Safety Council che abbiamo consultato, si deduce che queste barriere incrementano fino all’11% la possibilità di un incidente mortale. Sulle lesioni permanenti in seguito a questo tipo di impatto, invece, non esistono dati.

Le pastoie della politica

Nel gennaio 2012 venne approvata la Technical Specification 1317-8. L’Italia, fermamente convinta della necessità di predisporre uno schema di decreto secondo le indicazioni della norma europea, dette vita a un tavolo coinvolgendo tutti i soggetti in campo, dai gestori delle strade alle associazioni di categoria, i produttori di barriere, i tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e rappresentanti del mondo accademico. Nel marzo del 2016 arrivò la stesura di una bozza di decreto (con annessa relazione di accompagnamento) che ricevette anche l’ok del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Nell’attesa dell’approvazione, il Ministero aveva addirittura autorizzato i gestori all’installazione in via sperimentale dei dispositivi salvamotociclisti. Poi, come spesso accade in Italia, il provvedimento restò seppellito in qualche cassetto del Ministero a prendere polvere.

Nel frattempo ci sono state nuove elezioni e (al momento in cui andiamo in stampa) siamo ancora in attesa di capire chi sarà il prossimo responsabile del dicastero. Insomma, il decreto ministeriale è pronto, in attesa tra i provvedimenti alla firma dell’ufficio legislativo del Ministero. Necessita solo di qualcuno che lo firmi e lo porti in notifica alla Commissione europea. Se entro tre mesi non dovesse muovere dei rilievi, il decreto entrerebbe automaticamente in vigore. “Siamo a conoscenza - dice il presidente di ANCMA Andrea Dell’Orto - del fatto che uno schema di decreto ministeriale è pronto sul tavolo del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti per essere approvato. Faremo tutto il possibile per richiedere al nuovo governo di emanare subito questo decreto: non ci sono più pretesti per rinviare la soluzione del problema. I concessionari stradali e gli enti proprietari dal canto loro hanno il dovere morale di mettere in sicurezza le infrastrutture anche per i motociclisti. Mettere in sicurezza tutta la rete esistente è difficilmente perseguibile, ma chiediamo che almeno le strade di nuova costruzione vengano obbligatoriamente dotate di guardrail sicuri anche per i motociclisti”, conclude.

Cosa succede all’estero

Al di là dei confini nazionali la volontà politica non è mancata. Soprattutto in Spagna, che è il Paese con la legislazione più avanzata in questo settore. Chi ha buona memoria ricorderà quando, nel giugno 2008, Dani Pedrosa festeggiò la vittoria nel GP a Montmelò sventolando la bandiera con l’icona dei guardrail assassini. Una mossa che spinse in modo decisivo la Spagna a varare la UNE 135900. La legge, approvata nel 2008 e aggiornata nel 2017, stabilisce che tutte le infrastrutture di nuova costruzione o in fase di ristrutturazione devono essere dotate di barriere laterali salvamotociclisti, ossia dotate di paratie basse che impediscano ai biker di impattare pericolosamente contro i sostegni dei guardrail. Una norma che è stata presa ad esempio da molti costruttori di barriere e che ha dato una mano all’industria locale. Non è un caso che il più importante produttore di barriere salvamotociclisti sia un’azienda spagnola, la Gonvarri.

Una legge da interpretare

In mancanza di una normativa che regoli questo tipo di protezioni, l’installazione di dispositivi di sicurezza per i motociclisti è stata percepita prevalentemente come una modifica di barriere di sicurezza omologate e, come tale, si legge nella pubblicazione realizzata da ANCMA e dal DISS (il Centro di Sicurezza Stradale dell’Università di Parma) “confinata ai limiti della legalità, se non addirittura osteggiata da parte dei gestori delle infrastrutture stradali i quali, decidendo di attrezzare le loro strade con dispositivi non previsti da alcuna norma di riferimento, dovrebbero assumersi pesanti responsabilità nel caso di contestazione da parte di possibili vittime di impatti contro tali dispositivi”. Le cose stanno esattamente così, come spiega Stefano Calamani dell’Aisico, uno dei due laboratori italiani dove vengono rilasciate le certificazioni per le barriere stradali: “Certificare una bandella laterale salvamotociclisti è difficile perché, se io attacco questo dispositivo a un guardrail certificato CE, in quanto centro prove devo verificare se modifica il comportamento della barriera stessa. Difficilmente potrei accettare di marchiare il guardrail con la fascia salvamotociclisti semplicemente aggiungendo alla barriera il marchio CE Modificato. Dovrei quindi ripetere le prove di omologazione, ma il rischio è che, per salvare un motociclista, danneggio in modo severo un’auto o un mezzo pesante”. La soluzione ci sarebbe: “Come accade all’estero, sarebbe sufficiente che un organismo di controllo (il Ministero delle infrastrutture; ndr) stabilisse dei criteri di guida e indirizzo per cui la bandella laterale salvamotociclisti, se attaccata a un guardrail esistente, è ammessa come sicura ai sensi della Technical Specification esistente”.

Pochi esperimenti

Il risultato è che in Italia (dove si contano circa 851.400 km di strade tra principali, secondarie, vicinali e autostrade) i dispositivi salvamotociclisti si contano sulle dita di una mano. L’ANAS, che gestisce oltre 26mila km di strade e autostrade, ha installato 100 km di barriere tra la metà del 2016 e la fine del 2017 e ne monterà altrettante quest’anno, sempre secondo la logica dei tratti saltuari (individuati sulla base di indici di pericolosità). Autostrade per l’Italia (poco meno di 6.600 km di rete) invece, ha scelto per adesso di non installare queste barriere. Passando alla mobilità urbana, dove la pericolosità per le due ruote è molto elevata a causa del traffico, gli unici esperimenti degni di nota sono stati fatti a Torino, dove l’amministrazione ha installato alcuni tratti di barriere salvamotociclisti secondo la logica dei black-point, ovvero nei tratti e nelle curve dove si verificano il maggior numero di sinistri.

Una strada, tante strade


A complicare il quadro della situazione italiana c’è anche una particolarità specifica del nostro territorio, come spiega l’ingegner Comelli (Associazione Motociclisti Incolumi): “A ingarbugliare ancora di più le cose c’è la difformità di fondo delle nostre infrastrutture. Basta fare un giro in una qualunque strada e vedremo che nel giro di pochi chilometri cambia la struttura stradale e il tipo di guardrail usato. Questo perché in Italia la progettazione delle strade dal punto di vista geometrico-funzionale è stata regolata tramite un decreto ministeriale solo nel 2001. Prima si usavano le circolari del CNR, quindi ogni ingegnere procedeva in modo indipendente”. Intervenire sui guardrail italiani, datati e differenti tra di loro, sarà a conti fatti un processo che richiederà molto tempo. Qualcuno dirà anche che ci vorranno molti soldi, anche se ciò non è vero: “Un guardrail standard costa 150 euro al metro, quello con protezione per motociclisti dai 30 ai 60 euro in più al metro. Quindi non è un impatto sconvolgente dal punto di vista economico. Basti pensare che la posa di un metro di asfalto costa dai 10 ai 12mila euro”, dice Comelli.

I brevetti più avanzati


Al di là dell’incidenza ancora molto limitata dei chilometri di strada coperti, ANAS ha iniziato a installare i primi guardrail per motociclisti nell’estate del 2016. Al momento, le protezioni (di classe H2, ossia bordo strada, e H3-H4, protezioni bordo ponte) usate da ANAS sono state progettate e brevettate in casa, secondo standard molto severi e rappresentano secondo alcuni tecnici indipendenti interpellati da Dueruote il non plus ultra in termini di sicurezza (in quanto testate in configurazione finale per auto, moto e camion). Così come sono state progettate e brevettate nel lontano 2006 le barriere della Provincia di Bolzano. “Il Servizio strade ha studiato e certificato una fascia di protezione per motociclisti da montare nella parte inferiore del guardrail, provandola mediante opportuni manichini. Le prove, state svolte in conformità con la norma spagnola, sono state effettuate al Laboratorio di sicurezza dei trasporti del Dipartimento di ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano”, fa sapere il dirigente del settore, Valentino Pagani. Questa fascia, denominata PAB, chiudendo il varco tra asfalto e lama del guardrail, impedisce al motociclista in scivolata di impattare contro il paletto. Tale fascia è collegata al paletto da un distanziatore metallico che in caso di urto del motociclista si deforma, rendendo l’urto un po’ più morbido. “Dal 2007 a oggi sono state installate 12.110 metri di fasce moto PAB su un totale di 157 curve protette, con una media di 1.200 metri annui. Le curve da proteggere sono state determinate anche interpellando le associazioni dei motociclisti altoatesine. Nei prossimi due anni - conclude Pagani - abbiamo in previsione il montaggio di ulteriori 2.400 metri di fasce a protezione di circa 40 curve”. Un esperimento felice, che non ha annullato la mortalità tra i motociclisti ma l’ha ridotta drasticamente: tra le curve e i tornanti dell’Alto Adige è passata dai 25 decessi del 2005 agli 8 del 2016, ultimo anno per cui sono disponibili le rilevazioni.
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