Moto & Scooter
Amarcord: la gamma Aprilia 1995 era davvero uno spettacolo!
Cinquantini iconici come Amico, Scarabeo, SR Replica e Rally, sportive da sparo come la RS 250 o tuttofare come la Pegaso 650: 30 anni fa la Casa di Noale lasciava tutti a bocca aperta
Oh sì, quelli erano anni mitici. Riavvolgiamo il nastro di 30 anni: era il 1995 e nel mondo delle moto c'era un'azienda che stupiva il mondo. Aprilia cresceva a ritmi forsennati, in appena 3 anni aveva triplicato i volumi e vendeva 147mila unità tra moto e scooter nel mondo, fatturando 470 miliardi di lire. Un autentico portento, che da sola valeva il 20% del mercato italiano dei cinquantini (ma se si consideravano quelli a marce, la quota era del 51%) e il 13% di quello europeo.
Insomma, in quegli anni Aprilia era fortissima, era sulla bocca di tutti, forte anche delle vittorie nel Motomondiale in 125 e 250. Allora sì che valeva il detto "Win on sunday, sell on monday", perché l'azienda di Noale vendeva davvero tantissimo. E aveva una gamma prodotto pazzesca. Coraggiosa, azzeccata, a modo suo fortunata. E allora, che cosa c'è di meglio se non riscoprire la cartella stampa di quel meraviglioso 1995?
I CINQUANTINI: SCARABEO, AMICO, SR E RALLY
Nella gamma 1995, Aprilia sfoggiava i suoi cavalli di battaglia. C'era lo Scarabeo, nelle cilindrate 50 e 65 cc, con un motore 2T a carburatore Dell'Orto raffreddato ad aria e un doppio freno a tamburo (anche perché lo scooter pesava appena 71 chili…). E lo stesso motore che aveva misure da 40 per 39,2 mm equipaggiava altri best seller della gamma, dal vendutissimo Amico nelle doppia versione GL ed LX (ma le differenze erano davvero minime) fino al Gulliver, cinquantino tondeggiante che davanti aveva addirittura il freno a disco.
E fin qui si esauriva la gamma dedicata alle donne e agli adulti. Per poi dare spazio ai mezzi più amati dai giovani, quelli sportiveggianti, con rapporto di compressione più spinto (arrivava a 13:1) e i cerchi da 13 pollici, come l'SR Replica (unico col raffreddamento a liquido) e il bellissimo SR Sunfire, la cui livrea gialla e nera ancora oggi rappresenta una vetta insuperata di stile. Fino ad arrivare al più esotico di tutti, il Rally 50. Già, perché allora c'era il coraggio di osare, di sperimentare con pneumatici ciccioni da 10 pollici e leggermente tassellati, forcelle a corsa lunga e parafanghi alti.
UNA CUSTOM 50? CERTO!
E poi c'erano le moto a marce. Allora non c'erano troppe regolamentazioni antinquinamento, i motori erano semplici e privi di elettronica, e il kit di preparazione era quasi un passaggio obbligato per molti 14enni dei tempi. E ai ragazzi piacevano perché non erano spompate. Insomma, sembravano piccole moto da grandi. Metti la Aprilia Classic 50 (nata qualche anno prima come Red Rose) una Harley-Davidson in miniatura, con cambio a 5 marce, cerchio anteriore a raggi da 18 pollici e posteriore da 16, trasmissione a catena e tante cromature. Volevi una dual? C'era la Pegaso 50, con l'anteriore da 19 pollici, cambio a tre marce e una ciclistica da grande, con sospensioni all'altezza, forcella a steli rovesciati da 35 millimetri e mono posteriore regolabile. E per chi strizzava l'occhio all'off-road, c'era anche la mitica RX. Ma la più apprezzata era senza dubbio la RS 50 Extrema, con la livrea Chesterfield nera replica di quella usata da Max Biaggi.
A 14 E 16 ANNI
Ma la gamma Aprilia 30 anni fa pensava a tutti: il motociclista lo conquistavi a 14 anni. E poi c'erano anche quelli che magari arrivavano a 16. E in questo caso la scelta era davvero niente male. A Noale infatti avevano un mono 2T da 124,7 cc con cambio a sei marce. Con le dovute differenze di carburazione, lo stesso motore equipaggiava sia la Pegaso 125, sia la RX 125, sia la Classic. E ovviamente la RS 125 coi semimanubri per gli epigoni di Max Biaggi.
APRILIA RS 250: UN CANNONE DA 210 KM/H
In quegli anni gloriosi la velocità non era qualcosa di cui vergognarsi. Ditelo a tutti quei giovanotti che sbavavano dietro alla RS 250, spettacolare bicilindrica a V a 90° (il motore era derivato dal twin parallelo Suzuki montando i cilindri su un nuovo basamento) con doppia valvola allo scarico a controllo digitale, doppio carburatore Mikuni da 34, cambio a sei marce, telaio doppia culla in alluminio e magnesio, pneumatici radiali Pirelli di serie…
Insomma, una vera bomba da 141 chili a secco per divertirsi su strada. Alla velocità massima - dichiarata - dalla casa di 210 km/h. Sì, esattamente, avete letto bene: le duemmezzo a quei tempi raggiungevano queste vette, anche per cercare di competere con le più potenti, ma anche più pesanti, 4 in linea 4T da 600 cc. Oggi per andare così forte dovete comprare almeno un 900 cc. E vi divertite di meno. Ora potete anche asciugarvi le lacrime.
LA STRANEZZA CLIMBER
In quegli anni però si poteva gettare il cuore oltre l'ostacolo: ai tempi Aprilia si dedicava anche agli appassionati di trial con la sua Climber, una curiosa 280 (in realtà il motore era un mono 2T da 276,6 cc) con carburatore Dell'Orto da 26, sospensioni interamente regolabili, canoniche ruote anteriore e posteriore da 21 e 18 pollici. Per quanto essenziale, per l'epoca era avanzatissima: la prima Trial con forcella rovesciata e raffreddamento ad acqua - puro stile Aprilia, come sulle GP - e fu anche la prima moto di Noale iridata: mondiale 1992 con Tommi Ahvala, qualche mese prima del titolo di Gramigni in 125 GP.
LE MAXI? MASSIMO 650 cc
Per trovare un motore 4T bisogna andare a quella che era la risicatissima gamma delle "maxi". Con le virgolette, perché allora a Noale non si producevano motori (erano forniti da Rotax o da Minarelli) e in gamma non c'era nulla da più di 650 cc. E, con le richieste del mercato di allora che tirava tantissimo grazie ai giovani, non c'era nemmeno bisogno di sforzarsi molto.
In alto, per l'appunto, trovavamo due modelli che a modo loro hanno fatto storia. Da un lato l'indistruttibile Pegaso 650 (che fino a pochi anni fa motorizzava ancora la polizia locale a Roma, a testimonianza di una solidità costruttiva proverbiale), dall'altro la controversa Motò 650, sfortunato progetto della matita di Philippe Stark, diventata a modo suo un oggetto di culto.
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