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Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 07/03/2024 in Moto & Scooter
Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni
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Spesso considerato un elemento accessorio della moto, il ride-by-wire è in realtà al cuore della rivoluzione della moto moderna: ha reso gestibili potenze prima riservate ai piloti della MotoGP e resta al centro della rete degli ausili alla guida. Ripercorriamo i passi che hanno portato dalle 500 GP analogiche alle attuali MotoGP

Oggi parliamo del Ride by Wire, che per molti è un dettaglio non particolarmente rilevante nelle dotazioni di una moto, e sicuramente privo del fascino e della “nobiltà” delle soluzioni meccaniche di pregio, come una distribuzione a fasatura variabile o una sospensione esotica.

Il Ride-By-Wire, però, è un passo decisivo all’interno di un lungo percorso di sviluppo che ha reso la moto più facile, intuitiva e alla portata di tutti. E non parliamo del controllo di trazione o delle mappe motore ma di un aspetto ancora più fondamentale, che è la risposta al comando del gas.

Quando parlai con Kazuhisa Takano, il progettista della Yamaha M1 di Valentino, mi disse che in MotoGP da tempo le richieste dei piloti non erano per avere più potenza, ma per avere una moto “easy to ride”, una moto facile da guidare. Ma che cos’è una moto facile da guidare? Una moto facile da guidare è una moto che fa quello che dici tu. Meglio ancora, fa quello che pensi, e questo riguarda un equilibrio tra motore, ciclistica e pneumatici decisamente complesso.

Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni
Kazuhisa Takano

Il percorso tra mente e ruota: le non linearità

Proviamo a spacchettare quello che succede tra il nostro pensiero e la reazione della moto partendo proprio dal lato delle prestazioni estreme, dove è più facile comprenderne i benefici. Prendiamo la MotoGP, anzi per chiarezza partiamo da un po’ più indietro: partiamo dall’era delle 500 2T da GP che tutti ricordiamo, e che si è chiusa proprio con il titolo di Valentino Rossi sulla Honda NSR500 nel 2001. Stiamo parlando quindi di una moto fondamentalmente analogica: c’era un po’ di elettronica a bordo, ma nella sostanza il motore era governato da una bella batteria di carburatori comandati da cavo.

Il motociclista appassionato ha imparato più o meno fin da piccolo che più gira la manopola, più aumenta la spinta. Questa è una regola fondamentale della guida, talmente fondamentale che un buon pilota viene chiamato “una bella manetta” anche se poi sappiamo tutti che la moto si guida con tutto il corpo. Il punto è che il cervello ama ragionare in termini lineari, come dicono gli ingegneri: cioè in termini di proporzionalità: giro la manopola di poco e il motore mi dà poca spinta; la giro il doppio e il motore mi dà il doppio della spinta. Questo, però, raramente succede, soprattutto nel campo delle alte prestazioni: la moto è una faccenda decisamente non lineare, e per farla andare veloce il pilota deve interpretare e compensare una lunga serie di effetti che ora vedremo, seguendo il percorso tra il cervello e la ruota che passa per il polso destro, il sedere del pilota e una sequenza di elementi meccanici.

Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni
Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni

Il rebus del motore: prima parte

Partiamo dal comando del gas. Ricordiamo che siamo a bordo di una 4 cilindri 500 a carburatori. La camma non è cilindrica e ha una sua legge di apertura, per cui non è vero che ad angolo di apertura doppio del comando del gas corrisponde un’alzata doppia della ghigliottina nel carburatore. Questa legge è di solito studiata per correggere le non linearità che vengono dopo, ma il pilota deve comunque tenerne conto.

Carburatore: anche qui c’è una grossa non linearità. Sappiamo che il carburatore è un elemento meccanico con un compito particolarmente complesso: generare la miscela di aria e benzina nelle proporzioni e nelle quantità richieste dal motore in una enorme varietà di condizioni, con dei transitori particolarmente critici. La miscela viene realizzata e regolata con un complicato equilibrio di flussi d’aria, evaporazione della benzina, getti, spilli e serrande. Tra la fine degli Anni 80 e i primi Anni 90 i giapponesi avevano raggiunto una incredibile maestria nel realizzare carburatori che alimentassero la sete delle 500 GP, ma inevitabilmente la loro risposta era non lineare.

Motore e scarico: e qui c’è la festa della non linearità. Chiunque abbia guidato anche solo un cinquantino 2T sa cosa sia “l’entrata in coppia”, che non è altro che l’espressione più usata per descrivere una forte non linearità: il momento in cui il motore passa, nell’arco di pochi giri, dall’erogare poca coppia a erogarne molta. Questo succede a volte per piccolissime (o nessuna) aperture del gas, senza nessuna proporzionalità, per effetto dei fenomeni fluidodinamici nei travasi, delle onde di pressione nello scarico a espansione e dell’intervento della valvola sullo scarico. Non abbiamo ovviamente curve al banco di una 500 GP, ma per dare un'idea possiamo prendere quelle di un odierno motore 125 2T da cross a carburatore, dal comportamento piuttosto simile (le 500 GP avevano 4 cilindri da 125 cc): guardate cosa succede a 7.000 giri.

Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni
Curve di coppia di motore 2T sportivo: l'entrata in coppia avviene poco dopo i 7.000 giri

Il rebus del motore: seconda parte

Proseguiamo con la trasmissione: frizione, cambio, catena, parastrappi… ognuno di questi elementi ha in sé delle non linearità, legate a oscillazioni, vibrazioni e al fatto che si tratta di elementi non perfettamente elastici.

Pneumatico: l’altro apice della non linearità. Qui possiamo disegnare un paio di curve che tornano sempre buone. Il pneumatico genera una forza che possiamo scomporre per praticità in una componente longitudinale e una trasversale. Entrambe sono legate a quanto la gomma si deforma nella zona di contatto, in particolare a quanto “slitta”, dove per slittamento si intende un fenomeno microscopico: possiamo immaginare un elementino di battistrada sulla periferia, che dovrà rallentare, fermarsi quando è in contatto con l'asfalto e poi ripartire nel suo percorso circolare. L’accelerazione da fermo comporta un piccolo slittamento, che cresce con la richiesta di coppia fino a diventare macroscopico. Questo slittamento viene preso come misura della richiesta che il pilota fa alla gomma, e il grafico riporta la forza che la gomma riesce a generare rispetto allo slittamento.

La forza longitudinale ha un andamento a campana rispetto allo slittamento. Questo significa che la forza di aderenza disponibile cresce (in modo peraltro non lineare) fino a un massimo, oltre il quale anche se il pilota chiede di più, la gomma dà di meno. Siccome il pilota cerca la prestazione, deve stare il più vicino possibile al picco, il che significa anche stare il più vicino possibile al baratro (traduzione in gara di baratro: low-side o high-side). Più non lineare di così…

Dal carburatore all'iniezione

Cosa fa il pilota che si trova a dover gestire tutta questa complessità – e ora possiamo dirlo, non linearità? Impara. Ci mette del tempo a capire la moto, l’erogazione, le regolazioni. Nell’era delle 2T le vittorie all’esordio erano rarissime e lo stesso Valentino ha avuto bisogno di una stagione di apprendistato in 125, una in 250 e una in 500 prima di vincere il titolo. Se andate a rivedere le sue dichiarazioni ai primi GP in 500, diceva cose come sono caduto e non capisco perché, stavo facendo esattamente le stesse cose del giro prima… dobbiamo vedere la telemetria”. Era un apprendistato da autodidatti, lungo e delicato, in cui il talento faceva molto ma era impossibile prescindere da tempo ed esperienza per imparare a gestire la non linearità.

La situazione è cambiata molto rapidamente con l’avvento della MotoGP, ed è cambiata soprattutto lato motore (anche se gli pneumatici hanno fatto un altro bel salto in avanti) con l’arrivo incontrastato dei 4T a iniezione. Yamaha ha inizialmente provato a mantenere i carburatori sulla M1, ma in generale tutti quanti sono passati subito all’iniezione elettronica.

L’iniezione elettronica, unita alle caratteristiche intrinseche di erogazione del 4T, ha risolto in larga parte le non linearità della camma del gas e dei carburatori. Il rebus della risposta del motore diventa un po’ meno ostico, aiuta a sviluppare anche ciclistiche diverse, ma il problema resta parecchio complicato. Si cade sempre tanto, in tutti i frangenti di guida, ma siccome i piloti sono ancora quelli della generazione 2T, sono abituati a imparare cadendo.

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Dall'iniezione elettronica al ride-by-wire

Molto presto, però, si comincia a introdurre il ride-by-wire. Prima in forma ibrida, mantenendo anche il cavo, e poi in forma “pura”. Sono gli anni in cui si scatena la competizione tecnologica tra giapponesi e italiani, con gli italiani più radicali: Aprilia è la prima a mettere il RBW sulla sua RS3, seguita da Ducati, mentre Honda e Yamaha sono più “prudenti”.

Qui capiamo tutto il peso del RBW. Questa tecnologia taglia il cavo meccanico tra il cervello del pilota e la ruota e lo sostituisce con un cavo elettrico, sul quale sovraintende una centralina elettronica che può “risolvere” gran parte della non linearità del motore. I tecnici la programmano “in controllo di coppia”, cioè fanno in modo che ad apertura doppia della manopola del gas corrisponda il doppio della coppia erogata dal motore. Questo risultato può essere ottenuto in maniera molto più precisa che non con la semplice iniezione, anche con sistemi sofisticati come quelli a doppia farfalla usati da Suzuki e Kawasaki. Capite bene come si semplifica il lavoro del pilota.

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Si smette di derapare

Finora, però, le MotoGP derapano ancora. La non linearità del motore è in gran parte risolta, ma resta l’altro grande elemento problematico: le gomme. Grazie alla sua precisione, il RBW consente però di lavorare anche su di loro. Quasi subito, infatti, i tecnici si mettono a studiare il controllo di trazione in chiave prestazionale, in particolare in casa Ducati che su questo terreno costruirà parte del suo vantaggio competitivo. Per gestire la coppia erogata, l’iniezione con RBW ha bisogno di una serie di sensori relativi al motore (temperatura e flusso dell’aria in ingresso, temperatura motore, posizione dell’acceleratore, posizione della farfalla).

Aggiungendo altri sensori con informazioni sul veicolo (piattaforma inerziale con accelerazioni e angoli di piega, sensori di velocità delle ruote eccetera) è possibile limitare la coppia erogata quando la richiesta del pilota è eccessiva rispetto all’aderenza disponibile. Questo è il momento in cui le MotoGP hanno smesso di derapare – perlomeno in modo macroscopico – perché per quanto spettacolare, la derapata comporta di solito una perdita di velocità e una usura accelerata della gomma, incompatibili con la ricerca della perfezione sul giro della MotoGP di oggi.  Allo stesso modo, si è intervenuti efficacemente anche sull’impennata, mantenendola quel tanto che basta a massimizzare la prestazione.

Questo è anche il momento in cui il tempo di apprendistato sulla moto si è drasticamente ridotto. Intendiamoci: ci vuole ancora tempo per capire una MotoGP. Ma questo tempo serve per imparare a sfruttare le potenzialità dell’elettronica, non più a imparare a sopravvivere all’impatto delle non linearità. È quindi più probabile che un rookie di talento stampi un bel giro o una bella gara portando a casa le ossa tutte intere.

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L'intervento di Dorna

Questo è anche il motivo per cui Dorna già dal 2016 ha imposto centraline e in parte anche algoritmi uguali per tutti. Mentre tutti capiamo immediatamente l'importanza del monogomma, l'imposizione della centralina unica ha lasciato un po' perplessi. In realtà questa imposizione è figlia proprio del successo del RBW e dei raffinati controlli di trazione che ha consentito di introdurre.

Non conosciamo esattamente gli algoritmi a bordo, ma è chiaro che siamo già passati dal “controllo di coppia” al “controllo di slittamento”: il pilota con il comando del gas non chiede più nemmeno la coppia al motore, ma lo slittamento alla gomma. Nel nostro disegno la scatola che ingloba le non linearità è diventata uno scatolone, la risposta al comando del gas è ormai perfettamente lineare; ma lo spettacolo è salvaguardato perché si può ancora cadere se si richiede troppo slittamento: basta che il sistema non preveda alcun “paracadute”. Dorna ha di fatto vietato il paracadute, evitando che un controllo elettronico troppo raffinato aiuti il pilota in maniera decisiva e per mantenere il peso della componente umana in gara. 

Intanto Ducati e altri hanno già iniziato a offrire questa logica su alcuni loro modelli di produzione: in certe condizioni la Panigale V4 consente la derapata controllata (power sliding), che è esattamente un controllo di slittamento. In questo caso il paracadute è ovviamente mantenuto: il sistema impedisce che il pilota richieda slittamenti eccessivi.

Ride-by-wire: la più grande innovazione tecnica degli ultimi 50 anni

Tornando a noi, che non abbiamo esigenze acuminate come i piloti del Motomondiale e non viaggiamo sui caccia militari volutamente instabili per cui la tecnologia del controllo “by wire” fu originariamente sviluppata, forse il RBW non è così indispensabile. Fa però parte di un percorso che – adesso lo vediamo più chiaramente – ha permesso di addomesticare potenze che qualche anno fa sarebbero state semplicemente ingestibili, aumentare il comfort offrendo le mappe motore, aggiungere funzionalità anche intriganti come il quickshifter bidirezionale (con tanto di doppietta in scalata) e ora il cruise control adattivo grazie all’arrivo dei sensori radar. Il RBW è al centro di una rivoluzione che ha reso la moto più facile, accessibile e sicura, oltre ad aver aperto la porta all’aumento ulteriore delle prestazioni.

Dirò una cosa che farà arrabbiare qualcuno, ma il RBW è anche l’ultimo passo tra la moto tradizionale e la moto elettrica, che ha una erogazione lineare più o meno “per nascita”. Tanti degli algoritmi sviluppati grazie al RBW potranno essere trasferiti sulle moto elettriche, e le moto elettriche ci sembreranno meno strane avendo imparato ad avere a che fare con motori sempre più trattabili e lineari. Più linearità significa più prestazione, e se forse non lo vediamo ancora in MotoGP, in campo off-road lo stiamo vedendo con la Stark Varg. Ma questo è un altro discorso, che faremo in un’altra puntata.

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