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Tutti CONTRO il bicilindrico a V

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 19/11/2021 in Moto & Scooter
Tutti CONTRO il bicilindrico a V
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Nel giro di pochi anni il motore che tutti volevano ha perso appeal per i costruttori: complesso e costoso da costruire, ha ceduto il passo a un esercito di twin paralleli

Tutti CONTRO il bicilindrico a V

Appena usciti dalla sbornia di quattro cilindri giapponesi, ma anche tedeschi e italiani, nei primi Anni 2000 i filosofi delle due ruote stabilirono che “il” motore motociclistico per antonomasia è il bicilindrico, per la precisione il V2. Motore dal pedigree racing, sofisticato, snello, bello da vedere, di grande personalità nel timbro e nell’erogazione. In America Harley-Davidson non aveva mai cambiato idea e da Bologna Ducati aveva convinto i giapponesi a deviare dalla religione del 4 cilindri persino in ambito sportivo: Honda e Suzuki presentarono evoluti V2 che sembravano destinati a diventare l’ossatura delle loro gamme, mentre in Europa Aprilia e KTM si affacciavano nel mondo delle maxi guarda caso con motori V2.

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Motore bicilindrico parallelo,  il parente povero

Il V2 aveva un parente povero: il bicilindrico parallelo. Più semplice ed economico nella costruzione, più modesto nell’impatto estetico e nella sonorità, meno sportivo nonostante qualche eccezione. Era la scelta naturale sulle moto “intelligenti”, quelle medie da ragioniere che nei bar non venivano mai nominate: la Suzuki GS 500, la Kawasaki GPz 500 e via dicendo.

La musica iniziò a cambiare nel 1995 con l’arrivo della Yamaha TRX. A Iwata avevano in casa il twin parallelo della prima Super Ténéré 750, salito a 850 per la TDM – non proprio un prodigio di personalità – e volevano farci una sportiva all’italiana come la Ducati Supersport, che aveva la mezza carena, il telaio a traliccio e il “pompone” due valvole ad aria di Borgo Panigale. La TRX le si ispirò molto da vicino, e per ovviare alla mancanza di un motore a V i tecnici giapponesi cambiarono l’albero motore portando i perni di biella dagli originali 360° a 270°. Il risultato era una successione degli scoppi “zoppicante” come quella del motore Ducati, qualche vibrazione in più ma un’erogazione e una personalità più soddisfacenti.

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Moto Guzzi V100, il ritorno 

La Yamaha TRX 850, rea di lesa maestà, in Italia vendette pochissimo; ma la soluzione dei perni a 270° si rivelò capace di rivitalizzare il bicilindrico parallelo. Negli ultimi 20 anni l’unico V2 veramente nuovo ad arrivare sul mercato è stato il Revolution Max di Harley-Davidson (e ora l’annunciato V100 della Moto Guzzi), mentre gli altri twin sono tutti in linea e quasi sempre fasati a 270°. Yamaha ha il 700 della MT-07 e Tracer 7, KTM ha l’LC8c della Duke e della Adventure, Aprilia ha il 660 della RS e della Tuareg, BMW l’850-900 della serie F, Triumph ha il 1200 della Speed Twin, Honda ha il 750 della serie NC e l’Unicam 1100 dell’Africa Twin, con la quale il bicilindrico parallelo è sbarcato nel pianeta delle maxi fin lì presidiato dai nobili V2.

Assediato dai triple e dai recenti V4 con la loro meravigliosa personalità, il bicilindrico a V oggi sembra dunque in difficoltà: altro che motore motociclistico per antonomasia. Ma se c’è una cosa che si può dire dei motociclisti, è che i loro gusti sono piuttosto elastici. Questo è il momento dei twin paralleli, in futuro chissà…

la guerra degli schemi: il v2 è oggi assediato dai triple e dai recenti v4 dalla meravigliosa personalità

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