Moto & Scooter
P&M Triumph; il sogno di Alan
Quando, negli Anni 80, correva sulla la BSA tre cilindri con telaio ufficiale Rob North, Cathcart era stupito dalle prestazioni della moto di Richard Peckett. Ora che l'ha provata ha capito perché
Eppure, è stata una circostanza casuale che ha portato Peckett, ora 63enne, a intraprendere una carriera ricca di successi in sella a moto con tre cilindri. Dopo aver iniziato a correre nel 1969, all'età di 21 anni, con una Triton 650 autocostruita, che utilizzava anche su strada, il giovane muratore del Middlesex ebbe il suo grande momento l'anno seguente quando, insieme ad alcuni amici, partecipò come spettatore a un evento che si teneva al Crystal Palace, il circuito ricavato all'interno di uno dei parchi di Londra accanto al quale sorgeva una stazione ferroviaria. "Non tutti, nel mio gruppo di amici, avevano una moto da strada, perciò per recarci alla manifestazione prendemmo il treno - spiega Richard - Ricordo che, appena uscito dalla stazione iniziai a sentire il più incredibile rumore di una moto che avessi mai sentito. Una cosa davvero bellissima! Corremmo verso il circuito per vedere di quale modello si trattava e, una volta giunti a bordo pista, vedemmo Paul Smart e la sua Triumph ufficiale a tre cilindri che stava arrivando verso di noi. Avevo sentito parlare del fantastico rumore di quella moto, ma udirlo dal vivo nel centro di Londra fu una cosa incredibile, così dissi a me stesso: 'Devo a tutti i costi costruire una Trident!' Pertanto, vendetti la mia Triton per ricavare un po' di soldi e la realizzai!"
"Il telaio Rob North era un'esclusiva delle moto ufficiali e doveva passare ancora un po' di tempo prima che diventasse accessibile per tutti. - spiega Peckett – Pertanto, l'unico telaio aftermarket per la BSA/Triumph a tre cilindri disponibile nel 1970 era il Rickman Metisse, che però non mi piaceva per niente. In ultimissima analisi avrei potuto montare il telaio Featherbed (in italiano "Letto di piume", ndr) della Norton, ma lo utilizzavano praticamente tutti e poi, secondo me, era troppo lungo. Nel frattempo, però, Dave Degens aveva iniziato a costruire le proprie moto, così presi ad andare da lui dopo il lavoro e, 18 mesi più tardi, ultimammo il mio telaio, realizzato sulla base di un Featherbed. In realtà, avremmo potuto finirlo anche prima, ma eravamo rimasti senza soldi per costruirlo! Alla fine comunque ce la facemmo, tant'è che Dave mi prese addirittura a lavorare con sé. È per questo che inizialmente la moto fu ribattezzata Dresda 3, anche se in realtà era una mia creazione. Ad ogni modo, la Dresda pagava il mio stipendio e il fatto che io attirassi nuovi clienti con la mia moto faceva comodo a entrambi e significava che avevo ancora un lavoro. Quando però io e Dave dividemmo le nostre strade, la Dresda3 diventò RPS-Triumph! e mi preme sottolineare che quando Dave diede vita al suo telaio per questo tipo di motore utilizzò tubi conformati in modo diverso, in modo da poter installare il serbatoio e la sella Dresda di sua produzione, mentre la mia componentistica era realizzata appositamente.
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Ecco perché mi sentii giustificato nel chiamare quella moto P&M Triumph, perché anche se io e Peter abbiamo lasciato la Dresda per iniziare la nostra attività nel novembre del 1975, quel tre cilindri rappresenta comunque la prima moto che abbiamo costruito insieme".
Dopo aver fatto il suo debutto in gara a Brands Hatch, nell'agosto del 1972, la P&M Triumph (sotto varie denominazioni e in varie cilindrate) permise a Richard Peckett di affermarsi nel panorama motociclistico britannico, all'epoca dominato da mezzi come la Vincent di Lance Capon, la Weslake di Chris Emmins e la Honda Hadleigh di Julian Soper. Non gliel'ho mai detto, ma Richard era uno dei miei idoli quando, proprio in quel periodo, io stesso stavo cominciando a correre in sella a una Ducati 750 SS, ottenendo peraltro buoni risultati nelle gare riservate alle moto derivate dalla produzione di serie, pur non essendo viceversa mai stato in grado di tenere il passo della sua P&M Triumph bianca e rossa nella categoria Open. Tuttavia, quando decisi di passare alla classe F1 nel 1979, c'era solo una moto con la quale volevo affrontare questo impegno ed era la P&M Kawasaki che aveva sconfitto il Team Honda Britain ufficiale l'anno precedente per mano del giovane John Cowie.
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Dico questo avendo un valido riferimento con cui paragonare il livello della tre cilindri di Peckett, come la BSA a tre cilindri con telaio ufficiale Rob North che ho guidato a metà degli anni Ottanta nel campionato del mondo Formula TT 1 o in eventi come il Tourist Trophy all'Isola di Man TT e l'annuale gara di contorno al Gran Premio di Silverstone. Ebbene, se all'epoca avessi avuto a disposizione un "pacchetto" competitivo come quello della P&M Triumph, probabilmente avrei ottenuto risultati migliori e, di conseguenza, avrei raccolto premi in denaro più sostanziosi, che mi avrebbero permesso di finanziare il mio passaggio alla classe TT F2 e di pagare qualche bolletta in più...!
Tra le caratteristiche della P&M c'è in un certo senso il fatto di riflettere l'elevata statura di Richard (alto più di un metro e ottanta) attraverso una posizione di guida un'ampia e spaziosa, rispetto a quella ben più scomoda delle moto con telaio Rob North, e di disporre di un motore nettamente superiore alle unità con cui ho avuto modo di gareggiare in passato, nonostante queste ultime fossero a loro volta allestite con materiale "ufficiale". Il motivo consiste nel significativo lavoro di sviluppo che Peckett ha portato avanti sul propulsore a tre cilindri in collaborazione con suo amico/rivale Phil Peck della Triple Cycles, anch'essa con sede a Londra.
In sella alla P&M si notano subito due cose: la totale assenza di vibrazioni e la grande attitudine nel salire di giri. In realtà, il manubrio trasmette qualche piccola sollecitazione ad alta frequenza, ma lo si nota solo quando si scende dalla moto e non durante la guida. Altrimenti, il tre cilindri "gira" liscio come l'olio e si dimostra molto potente, oltre che dotato di un allungo notevole, essendo in grado di superare i 10.000 giri. Un limite che, tuttavia, è meglio non raggiungere per non compromettere l'affidabilità di un propulsore così longevo. Prima dei 9000 giri indicati sul contagiri Kröber bisogna pertanto reprimere il desiderio di andare oltre, passando al rapporto successivo grazie alla morbida azione del cambio Quaife a cinque marce ravvicinate.
Peckett ha inoltre realizzato un efficace leveraggio per spostarne il comando sul lato sinistro dopo aver trovato delle difficoltà nell'abituarsi di nuovo al cambio sul lato destro da quando ha ripreso a correre con le moto classiche nel 1988.
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Una volta in marcia, però, è possibile passare al rapporto successivo anche senza l'utilizzo della frizione, mantenendo il motore nel miglior range di utilizzo, accompagnati dal bellissimo rumore dell'impianto di scarico P&M di tipo 3 in 1 che non risulta eccessivamente smorzato dal silenziatore SuperTrapp. Anche cambiando a quota 9.000 giri, il tre cilindri Triumph di 750 cc (caratterizzato da misure di alesaggio e corsa pari a 67 x 70 mm) rimane sempre al di sopra dei 7000 giri, cui corrisponde il picco di coppia di 74,5 Nm, mentre la potenza massima, di 84 CV alla ruota, è erogata a 8750 giri.
Il motore a due valvole con aste e bilancieri ha un comportamento molto simile a quello di un'unità più moderna, risultando fluido e al tempo stesso energico. Pertanto, la spinta agli alti regimi non va a scapito del tiro in basso e la curva di potenza si dimostra estremamente lineare. Per quanto il tre cilindri Triumph "preferisca" rimanere al di sopra dei 6000 giri, infatti, al di sotto di questa soglia l'erogazione è comunque valida, rendendo la P&M efficace anche nelle curve più strette. Lo stesso vale nelle varianti, dove facendo leva sulla coppia disponibile ai medi regimi è possibile limitare l'uso del cambio. La facilità con cui il motore sale di giri, inoltre, rivela il grande lavoro che è stato fatto per ridurre l'inerzia al suo interno, senza contare l'aumento di prestazioni (pari a 3 CV) dovuto alle migliorie che Peckett ha effettuato a livello di altezza di squish e camera di combustione.
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Le bielle installate sono della Carrillo, mentre i pistoni (caratterizzati da un rapporto di compressione di 12:1) sono Omega ottenuti tramite forgiatura e realizzati appositamente per la P&M. La testa è stata lavorata nei condotti e dotata di fori centrali per candele da 10 mm: "La casa madre utilizzava le poco affidabili candele con elettrodo incassato. - spiega Richard – Così, per fare in modo che i nuovi pistoni rendessero al meglio, ho chiuso gli alloggiamenti originali, che risultavano decentrati, e ne ho ricavati altri centrali per candele più piccole. Inoltre, sulla Trident di serie, la candela del cilindro centrale è inclinata diversamente per facilitarne la rimozione, ma questo comporta un rapporto di compressione più basso rispetto agli altri due cilindri, perciò l'ho modificato".
Si tratta di quel tipo di accorgimenti che fanno la differenza, come il diverso spessore della guarnizione installata dalla P&M alla base dei cilindri per modificare il rapporto di compressione. Le valvole sono dimensionalmente identiche a quelle della Trident 750 di serie, ma sono state realizzate appositamente con materiali di qualità superiore e successivamente sottoposte a un trattamento superficiale per aumentarne la durata. Le molle sono della S&W, mentre i bilancieri della distribuzione sono stati alleggeriti e lucidati in abbinamento ad aste in alluminio ad alta resistenza e camme della Megacycle.
Così configurate, le teste della P&M rappresentano una sorta di piccola opera d'arte, contribuendo alle impressionanti prestazioni del motore, munito di accensione Lucas Rita e carburatori Amal Concentrics alesati da 32 a 33 mm. Un radiatore dell'olio di grandi dimensioni e una pompa della Triple Cycles, poi, provvedono a raffreddare e a far circolare il lubrificante.
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Anche se per gli standard moderni la geometria di sterzo è ultra-conservativa, cosa che costringe a spingere abbastanza forte sui manubri nei rapidi cambi di direzione, il telaio della P&M Triumph (derivato dal Norton Featherbed) risulta all'altezza della situazione, dimostrandosi sincero ed efficace sia nelle curve lente che in quelle veloci, grazie anche alla favorevole (ma decisamente insolita per l'epoca) distribuzione dei pesi che vede il 51% della massa sull'asse anteriore e il 49% su quello posteriore.
La moto risulta così super-stabile anche in presenza di buche e avallamenti, e anche quando, in uscita di curva, si affrontano le asperità dell'asfalto a gas spalancato. In tal caso, infatti, il retrotreno tende un po' a "sedersi", a causa della taratura forse un po' troppo morbida dei due ammortizzatori Koni, ma la Triumph non manifesta alcuna tendenza al sottosterzo e mantiene fedelmente la traiettoria ideale, senza richiedere particolare sforzo per essere raddrizzata. L'abbinamento tra la geometria di sterzo P&M, i moderni pneumatici Avon, la forcella Ceriani da 35 mm (rivista nella componentistica interna) e gli efficaci ammortizzatori, offre un alto livello di guidabilità anche nelle curve più impegnative, dove una moto che pesa 165 Kg (con tutti i liquidi ma senza carburante) e che possiede una ciclistica concepita così tanti anni fa potrebbe giustamente trovarsi a disagio. Invece, la moto va esattamente dove le si dice di andare e, anche in piena accelerazione, risulta sempre neutra e facile da gestire.
In realtà, l'unico aspetto deludente della P&M Triumph è la frenata. Da questo punto di vista, infatti, i bicilindrici Ducati le sono superiori oggi come allora. È pur vero che il freno motore del tre cilindri dà un contributo abbastanza importante, ma non bisogna dimenticarsi che la distribuzione non ha il comando desmodromico e che pertanto c'è il rischio di piegare una valvola scalando le marce con troppa foga.
Per questo la decelerazione è quasi completamente affidata ai due dischi anteriori Triumph in acciaio da 254 mm e al disco posteriore da 230 mm, serviti dalla classiche pinze Lockheed a doppio pistoncino, ma il risultato, come detto, è meno efficace rispetto all'impianto Brembo che equipaggia le Ducati dello stesso periodo. Per quanto si provi ad agire con decisione sulla leva al manubrio, infatti, la potenza frenante risulta inferiore e, come se non bastasse, dopo qualche staccata al limite il mordente inizia a diminuire. In tal caso, infatti, gli spazi di decelerazione si allungano e non rimane altro da fare che anticipare il punto di frenata. Un'operazione che non consente margini di errore, pena il rischio di finire lunghi.
È questo, purtroppo, l'unico difetto di una moto altrimenti quasi perfetta, autentico punto di riferimento delle competizioni per moto d'epoca nella categoria F750. Un mezzo in grado di eccellere su ogni tipo di circuito e non solo su certe piste, come dicono alcuni. Pertanto, Rob North può ritenersi fortunato se, a suo tempo, è stato chiesto a lui, piuttosto che a Richard Peckett, di realizzare il telaio delle Triumph ufficiali!
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