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La Indian torna davvero?

di Alan Cathcart, foto di Kyoichi Nakamura il 17/09/2008 in Moto & Scooter

Un giovane imprenditore di successo che ha già rilanciato marchi prestigiosi vuole riportare sul mercato un nome mitico del motociclismo USA. Altri hanno fallito l'impresa. Lui assicura che ci riuscirà

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La magia del nome Indian è rimasta quella di sempre, essendo il leggendario marchio motociclistico americano stato fondato la bellezza di 107 anni fa, due prima della Harley-Davidson. Tuttavia tutti i tentativi di riscatto che hanno accompagnato la storica azienda della Massachussetts in seguito al fallimento avvenuto circa 50 anni fa non sono mai andati a buon fine, compreso l'ultimo, che risale al 2003, ad opera della californiana Gilroy.

Adesso, dopo un lungo contenzioso relativo all'effettiva appartenenza dei diritti sul marchio, la nuova Indian Motorcycle Co., con sede a Kings Mountain (nel North Carolina), è stata presentata in occasione del raduno internazionale di Sturgis.
Stavolta, dietro al rilancio di questa azienda così importante, c'è un personaggio piuttosto particolare. Si tratta di Stephen Julius, imprenditore quarantottenne che, nell'arco della sua carriera, ha dimostrato una straordinaria capacità di successo nel riportare in auge numerosi marchi storici, il che lo candida di diritto come l'uomo più indicato per fare la stessa cosa con la Indian.

Julius è nato in Inghilterra da madre italiana e il suo fondo di private equity, la Stellican Ltd (che adesso possiede appunto il 100% della Indian), ha sede a Londra. Laureato all'Università di Oxford in materie classiche, Julius è passato dai testi in latino e greco ai numeri dei bilanci aziendali, acquisendo insieme al suo socio Steve Heese le conoscenze e le capacità per il rilancio di compagnie in difficoltà, iniziando con l'acquisizione, avvenuta nel 1995, dell'italiana Riva, costruttrice di imbarcazioni di lusso.
Dopo averne risollevate le sorti, Julius l'ha rivenduta e ha ripetuto la stessa operazione con un altro marchio importante nel campo delle imbarcazioni, la Chris-Craft, specializzata in modernissimi motoscafi, che ha rilevato nel 2001 e che possiede tuttora, riscuotendo i profitti di un felice turnaround.
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Stephen Jiulius
Per scoprire, dunque, come intende ottenere analoghi risultati con la Indian, siamo andati a trovarlo nella sua casa di South Kensington, nel cuore di Londra, dove, davanti a un ottimo tè pomeridiano, abbiamo parlato della costruzione di motociclette negli Stati Uniti…
- Come è entrato in contatto con la Indian per la prima volta?
" Sono sempre stato attento a eventuali opportunità per rafforzare in America la Chris-Craft. Il marchio Indian ha attirato la mia attenzione perché presenta un sacco di analogie con quest'ultima. In pratica, la compagnia e i diritti sul marchio appartenevano a due società diverse e io ho avuto la fortuna di riuscire a riunirle sotto lo stesso tetto dopo 35 anni di separazione. Perciò ho maturato un interesse particolare nei confronti dei marchi storici. La Indian aveva le caratteristiche ideali di ciò che stavo cercando: una lunga e complicata storia relativa al marchio, un nome leggendario e una tradizione di grande spessore.
- Questo accadeva prima o dopo che la Gilroy ne tentasse il rilancio dal 1999 al 2003?
"Dopo. Ne ho rilevato la proprietà nel 2004".
- Ha dunque acquistato anche una parte della Gilroy?
"Sì. Abbiamo acquistato tutto ciò che era relativo all'ufficio di progettazione, come disegni tecnici, computer e documenti. In pratica, il bagaglio "intellettuale" dell'azienda e il marchio sono diventati nostri".
- Che esperienze ha a livello motociclistico?
"Ho ereditato una Lambretta da mio nonno, dopo di che ho comprato una Vespa 125. Fino a quattro anni fa queste rappresentavano gli unici mezzi a due ruote che ho posseduto. Poi, ho preso la patente in America, ho iniziato a leggere libri storici, a vedere le gare e a guidare le moto vere".
AC: Ha posseduto per caso una Harley-Davidson?
"No. Ho avuto molte Indian però!".
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I dipendenti della Indian
- Com'è arrivato fino al rilancio di questa Casa motociclistica così importante?
"Ho impiegato due anni per definire un piano d'azione. Si tratta, infatti, di un business dove molte persone ci hanno rimesso un sacco di soldi, un campo dove la tecnologia riveste un'importanza fondamentale, così come le risorse economiche. Perciò ho voluto fare le cose con calma. Dopo due anni mi sono sentito pronto e, nel luglio del 2006, ho comprato uno stabilimento nel North Carolina, a quaranta minuti dal quartier generale americano della BMW. Si tratta di una location strategica, che permetterà alla Indian di essere ben supportata logisticamente. Ad ogni modo, una delle mie principali preoccupazioni fin dall'inizio è stata quella di basare l'azienda sul talento ingegneristico delle persone che vi avrebbero lavorato e sulla forza dei loro prodotti. Per questo ho investito tanto nell'area tecnica della fabbrica piuttosto che in altri settori. Insomma, volevo essere sicuro che le nostre moto fossero fatte come si deve prima di spendere soldi nella loro pubblicità".
- Come pensate di ottenere questo risultato?
"Posso contare su Stephen Heese, che è il mio socio di minoranza negli Stati Uniti. Oltre a essere un uomo d'affari è un mio amico da molti anni, è il presidente della mia compagnia e anche della Chris-Craft. Il nostro general manager è Chris Bernauer, che ha lavorato alla Harley-Davidson per undici anni ed è stato a capo del progetto Sporster. Il vice presidente del reparto di Engineering è il romeno Nick Glaja, che ha già ricoperto lo stesso ruolo presso la Victory ed è stato uno dei principali ingegneri all'interno della Harley-Davidson, dunque vanta un'esperienza notevole e un gran talento. Al momento contiamo su trentacinque dipendenti, venticinque dei quali sono ingegneri. Una delle sfide più importanti nell'opera di rilancio della Indian è proprio quella di far funzionare al meglio questo team di persone. È in questo modo, infatti, che intendo sviluppare l'azienda. Ciò che veramente importa è lo staff tecnico e il marchio. Molte compagnie hanno soltanto uno di questi elementi. Noi abbiamo la fortuna di possedere entrambi".
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- Come verranno sviluppati i futuri modelli Indian? Realizzerete tutto in casa o la produzione avverrà da qualche altra parte?
"Abbiamo preso in esame tutti i progetti ispirati ai modelli del passato. Ciò che John Bloor ha fatto con la Triumph, Polaris con la Victory ecc. Abbiamo studiato i successi di MV Agusta, MZ, Ducati e, viceversa, abbiamo analizzato il declino dell'industria motociclistica britannica e statunitense. Abbiamo deciso di partire da zero e avevamo a disposizione tre scelte. Una prevedeva di utilizzare motori prodotti da terzi, ma la nostra intenzione era quella di mettere in piedi un'azienda seria, che significa necessariamente avere una propria linea produttiva. Perciò fin dall'inizio abbiamo capito che avremmo dovuto avere dei motori nostri, e anche se in questo caso potevamo partire dal classico foglio bianco, abbiamo deciso di sfruttare quanto era stato fatto sotto la gestione Gilroy trasformando i semplici studi in realtà. Tra il 1999 e il 2003 la Indian ha venduto 12.000 moto, di cui 4000 Scout con motore S&S e 8000 Chief, le prime 4000 motorizzate anch'esse con l'unità S&S e le altre 4000 spinte dal motore Powerplus 100 che la Gilroy ha introdotto a partire dal 2002. Una delle migliori caratteristiche di questo bicilindrico raffreddato ad aria era l'aspetto estetico, davvero ben riuscito. Dal momento che in una moto il design è una componente fondamentale, abbiamo deciso di lavorare solo a livello di componenti interni. Il risultato è un motore apparentemente molto simile al precedente, ma che in realtà è stato riprogettato per il 90%".
- Il vostro piano d'azione è dunque basato su un certo tipo di progetto. Non siete però preoccupati dal fatto che il clima economico mondiale stia peggiorando e che il mercato del bicilindrico sia in declino, come conferma il calo di vendite registrato da parte di Harley-Davidson?
"In effetti, quando ho preparato la nostra strategia, nel 2005, il mercato delle due ruote non aveva ancora subìto il contraccolpo attuale. Da allora, c'è sicuramente stato un calo nelle vendite e lo stesso è avvenuto nel campo delle imbarcazioni. Detto questo, i nostri piani sono quelli di iniziare a vendere volumi piuttosto piccoli. Il primo anno, ad esempio, stimiamo di vendere 750 unità, arrivando a 6000 nel giro di cinque anni. Si tratta, dunque, di un target abbastanza modesto. Del resto, il prezzo dei nostri prodotto oscillerà tra i 31.000 e i 37.000 dollari, che rappresenta la fascia più alta del mercato. Quando ho preparato il nostro business plan, il mercato delle custom ammontava a circa 40.000 unità all'anno e adesso è probabilmente quasi dimezzato. Tuttavia, se si acquista una moto custom, oggi si è disposti a sborsare una cifra che si aggira mediamente sui 20.000 dollari. Parlare con gli addetti ai lavori e osservare il mercato è certamente fonte di ispirazione per molti aspetti, ma non per quello che riguarda la ricerca e lo sviluppo. Semmai, offre spunti che ti permettono di avere una migliore prospettiva in termini di design. Il mercato riflette in pratica il desiderio di qualcosa di diverso, di un'alternativa alla Harley. Mi sono reso conto che la produzione di moto di alta fascia ci avrebbe aiutato nei primi anni: pochi pezzi a prezzo elevato per fare concorrenza alla Harley-Davidson che, viceversa, domina il mercato dei modelli tra i 15.000 e i 20.000 dollari, con Victory al suo fianco, e piazza la Sportster, insieme ai prodotti dei costruttori giapponesi, al di sotto di questa cifra".
La Indian torna davvero?
- Il suo obiettivo finale è quello di portare la Indian sul mercato attraverso una IPO (offerta pubblica iniziale)?
"No, non intendo vendere la Indian. Quello che mi interessa è far crescere il suo business e farlo andare per il verso giusto. Provo soddisfazione nel tirare su e far marciare correttamente un'azienda. Non sono soltanto un investitore, sono un uomo d'affari. Mi piace essere coinvolto in ogni aspetto del business, così come ho fatto prima con Riva e poi con Chris-Craft".
- Quali sono i vostri piani per quanto riguarda la produzione delle Indian?
"Abbiamo a disposizione 3600 metri quadri presso lo stabilimento di Kings Mountain. La mia intenzione è quella di limitare tutti gli sprechi che si sono verificati sotto la precedente gestione. Per realizzare in proprio i nostri motori, in ogni caso, stiamo pensando di aggiungere altri 5400 metri quadri alla superficie utile".
- Quando verrà costruita la prima Indian del nuovo corso?
"La prototipazione è già stata conclusa e adesso stiamo svolgendo i test sugli esemplari di pre-produzione. Abbiamo già percorso più di 25.000 miglia. Siamo molto vicini alla catena di montaggio, dunque, ma dipende da quanto dureranno ancora i test. Non vogliamo infatti che i nostri prodotti raggiungano il mercato se prima non soddisfano in pieno i nostri standard. Il primo Indian Store dovrebbe essere inaugurato tra pochissimo e avrà uno sviluppo di circa 900 metri quadri. Sarà il nostro concessionario di riferimento e avrà sede a Lowell, nel North Carolina naturalmente. Anche il progetto relativo allo Store è opera mia. Una volta realizzato il primo verrà poi proposto ad altri concessionari. Ad ogni modo speriamo di vendere le prime Indian entro la fine del 2008, anche se non intendiamo stabilire una data. Le moto verranno messe in vendita solo quando saranno pronte al 100%. Manca poco".
- All'inizio vi concentrerete solo sul mercato americano?
"Ci concentreremo principalmente sugli Stati Uniti, viste le origini del nostro marchio, ma abbiamo già raccolto anche un discreto numero di richieste provenienti dall'altra parte dell'Oceano. Chi vorrà acquistare le nostre moto da altri paesi, preoccupandosi della relativa omologazione e immatricolazione, potrà farlo e credo che in molti approfitteranno del fatto che il dollaro non è più così forte nei confronti delle altre monete. Tuttavia, non andremmo a vendere direttamente al di fuori dell'America, almeno per il momento".
- Non ci saranno quindi concessionari al di fuori degli Stati Uniti?
"All'inizio no. Le priorità attuali riguardano l'omologazione della Chief e il lancio della Scout. Quest'ultima rappresenta il nostro prossimo passo. Sarà più leggera della Chief pur impiegando lo stesso motore. Avrà insomma caratteristiche più sportive".
- Produrrete solo moto a due cilindri? Con il marchio Indian avete un sacco di possibilità per quanto riguarda il frazionamento, visto che in passato ha prodotto anche dei monocilindrici e dei quattro cilindri.
"Questa domanda è quanto mai gradita. Siamo ben consapevoli dell'opportunità che abbiamo grazie alla storia di questa azienda. Il motore a quattro cilindri in linea è una di queste. Il punto però è se il mercato di oggi è adatto a una Indian di questo tipo, o se si corre il rischio di realizzare un prodotto, per quanto esclusivo, che nessuno compra".
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Un tecnico al lavoro sul motore della nuova Indian
- Indian rappresenta anche un marchio tradizionalmente sportivo. Tra le vostre attività è per caso prevista anche quella agonistica?
"Il mio sogno sarebbe di riportare la Indian nelle corse. Credo infatti che il suo potenziale sia ben superiore alla sola produzione di modelli cruiser. Dall'alto della sua storia, Indian potrebbe produrre cruiser, moto sportive, off-road ecc. Addirittura, anche se qualcuno potrebbe mettersi a urlare, avrei in mente un bellissimo scooter marcato Indian! Tuttavia si tratta di eventualità molto remote. Guardando agli aspetti concreti della nostra strategia, il segmento delle cruiser rappresenta quello più interessante per noi e anche il più profittevole in questo momento".
- Si ritiene soddisfatto di quanto fatto fino a questo momento?
"Assolutamente no. Non abbiamo ancora consegnato le moto ai clienti, perciò c'è ancora molto da fare. Offriremo due anni di garanzia a chi compra i nostri mezzi, dunque non possiamo abbassare la guardia. Crediamo nella nostra tecnologia e intendiamo mettere quella a fianco del prodotto. Credo che ci saranno due tipologie di clienti che sceglieranno di acquistare una Indian: quelli più esigenti, che per noi sono molto importanti, e i "first time buyer", ovvero quelli che comprano una moto per la prima volta".
- Siete pertanto pronti al giudizio dei futuri acquirenti?
"Il fatto che verremo giudicati esclusivamente sulla base delle nostre moto è giusto. Anche l'esperienza dei concessionari è importante. Non dimentichiamoci che stiamo per vendere moto di lusso e dunque è fondamentale dove e tramite chi verranno acquistate. I clienti si aspettano luoghi piacevoli e persone preparate. Inoltre, abbiamo anche un distaccamento della nostra azienda dove nove dipendenti a tempo pieno si occupano solo del merchandise. Non facciamo produrre su licenza, come fanno quasi tutte le altre case motociclistiche, ma realizziamo in proprio tutto ciò che vendiamo".
- Come si evolverà la Indian in futuro?
"Per i prossimi cinque anni venderemo i modelli Chief e Scout. Voglio che questi prodotti siano solidi, belli, di qualità e curati nei dettagli, in virtù dei migliori materiali disponibili. Queste moto non verranno apprezzate solo dal punto di vista delle performance, ma rappresenteranno dei piccoli gioielli. Spesso faccio un paragone tra le nostre moto e gli orologi svizzeri, nei quali ogni particolare è esteticamente coerente, quasi come se fosse stato scolpito. Sulle Indian non vedrete un singolo cavo nel posto sbagliato o realizzato con materiale non appropriato. I nostri modelli dovranno essere distintivi e i concessionari dovranno fare in modo di allacciare un rapporto molto stretto con i nostri clienti, in modo da garantire loro la massima soddisfazione. Questo è il nostro obiettivo".
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