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Suzuki Hayabusa: il falco pellegrino vola forte

di Andrea Padovani il 14/09/2007 in Moto & Scooter

La Casa di Hamamatsu risfodera gli artigli e si lancia oltre il limite dei 300 orari. Pesa tanto, ma il motore è una cannonata e la ciclistica convince per il suo equilibrio, anche in pista

Se pensate che 300 km/h siano un po' troppi per un mezzo che viaggia su gomma; se a girare il gas in qualsiasi marcia vi crea comunque un minimo di apprensione; se con l'adrenalina non andate molto d'accordo; allora la nuova Suzuki Hayabusa non è la moto che fa per voi. Perché, al di là dell'estetica da cartoon manga, del progetto che ha ormai qualche anno sulle spalle, delle migliorie apportate a questa ultima versione, ciò che lascia senza fiato di questa maxi sono le prestazioni.
Suzuki Hayabusa: il falco pellegrino vola forte

Non a caso questo missile terra-terra è stato presentato sulla velocissima pista del Salzburgring; sul rettilineo di ritorno in salita l'Hayabusa vola verso limiti incredibili che la portano in poche centinaia di metri e senza il minimo sforzo a toccare quota 300 km/h (indicati).
Basta ruotare il gas, qualsiasi sia la marcia inserita o il numero di giri, e si viene proiettati in una dimensione in cui il mondo schizza di lato come impazzito, immersi nella bolla d'aria e di tranquillità creata dall'efficacissima aerodimanica e dalla ciclistica che non presta il fianco a critica alcuna.
Il resto è contorno. L'Hayabusa, con i suoi volumi a tratti sbilanciati, con le dimensioni e il peso da tourer, può essere anche di dubbio gusto o discutibile. Ma tutto questo sfuma se vi piacciono le esagerazioni. Anche quelle velocistiche, magari eticamente discutibili. Così i 14.000 euro (indicativi) per portarsi a casa questo "aereo" – in fondo – non sono nemmeno tanti…

1.340 cc, quattro cilindri in linea raffreddati a liquido, una potenza dichiarata di ben 197,2 CV a 9.500 giri e una coppia di 155 Nm. Questi sono i numeri della Hayabusa, un progetto che nasce una decina d’anni fa e arrivato fino ad oggi immutato nella sostanza, affinato però in molti particolari.
A partire da quelli del motore che, oltre ad aver “messo su” cc utili (41 in più della precedente versione per via della corsa più lunga di 2 mm) ed essersi messo in regola in termini di tutela ambientale – leggasi Euro 3 –, ha ricevuto un nuovo albero motore, bielle e pistoni riprogettati con attenzione al contenimento del peso. Ridisegnato anche il blocco cilindri al fine di ridurre le perdite da pompaggio derivanti dal movimento dei pistoni. Novità anche per la testata con l’introduzione di valvole in titanio al posto di quelle in acciaio.
L’alimentazione rimane a iniezione elettronica, ma con corpi farfallati da 44 mm di diametro con doppio iniettore e doppia farfalla (al posto di quelli da 46 con singoli iniettori e singola farfalla).
L’alimentazione è gestita da una centralina che, come per la GSX-R 1000, permette di selezionare mediante un commutatore posto sul blocchetto di destra (anche in movimento) tre mappature: la C per condizioni di scarsa aderenza, la B per ridurre la coppia ai medi, la A “full power”.
Praticamente immutata la ciclistica con un telaio a doppio trave abbinato a un forcellone dotato di capriata di rinforzo (ridisegnato nei bracci principali), a sospensioni completamente regolabili e a un ammortizzatore di sterzo non regolabile.
Novità anche per l’impianto frenante, che all’anteriore guadagna pinze radiali a 4 pistoncini (contro i 6 precedenti) e dischi da 310 mm (al posto delle precedenti unità da 320).
Particolare attenzione è stata posta nella definizione dell’aerodinamica per sfruttare al massimo ogni stilla di potenza e alla cura dei dettagli.
Passino pure le prime due, tre marce, dove ogni moto può dire la sua. Ma che la Hayabusa continui a spingere come una forsennata anche in quarta, quinta e sesta, questo è strabiliante. Strabiliante quanto l’erogazione ai medi; la spinta non conosce flessioni. La moto, in uscita di curva, prende velocità in maniera incredibile con la lancetta del tachimetro che vola costantemente oltre i 200 km/h anche quando si passeggia. Basta ruotare il gas e il gioco è fatto: con una facilità disarmante questa Suzuki vi spara nell’iperspazio. E pure quando si passano i 250 km/h, dove normalmente anche i motori sportivi più pepati soffrono un po’, il falco giapponese non conosce incertezze.
E il bello è che – almeno sul tracciato di Salisburgo - in un soffio si arriva a 300 km/h indicati, protetti e “tranquilli” come si viaggiasse a 130… Forse è proprio questo il problema di questa moto, che con troppo facilità e sicurezza si arriva a limiti velocistici che trascendono il buonsenso, anche senza volerlo.
La protezione aerodinamica, una volta piegate leggermente le braccia, è davvero eccellente tanto che non si ha mai la sensazione reale di quanto veloci si stia andando, e solo guardando la lancetta del tachimetro si ritorna ala spaventosa realtà.
Anche perché la ciclistica si è rivelata all’altezza del motore. Il 243 kg a secco dichiarati si sentono tutti nei cambi di direzione e nelle manovre, ma il bilanciamento rimane buono. Al pari del comportamento delle sospensioni, sempre coerenti sulle sconnessioni e solide quando si tratta di far fronte ai notevoli trasferimenti di carico in accelerazione e frenata.
In pista – ambiente quantomai ostile per un mezzo di questo tipo – solo le gomme hanno sofferto a causa delle notevole coppia da scaricare a terra in uscita di curva (quasi 16 kgm!) e proprio del peso che in frenata si sente; un limite da ricondurre non tanto alla mescola del pneumatico quanto alla carcassa non certo rigidissima se rapportata alle sollecitazioni cui deve far fronte.
Così, in uscita di alcune curve da terza marcia a gas spalancato, ci siamo ritrovati a gestire lievi serpeggiamenti del retrotreno peraltro mai problematici o realmente pericolosi. Limiti che ci hanno consigliato una guida rotonda e fluida, mai nervosa, pena sonore grattate di pedane, scarichi e carene sull’asfalto.
Anche il doppio disco anteriore è parso all’altezza della situazione rivelandosi sufficientemente potente (anche se in alcune violente staccate un po’ di mordente in più non avrebbe guastato…) e sempre ben modulabile; nulla da ridire nemmeno sulla resistenza che si è rivelata elevata anche dopo molti giri di pista tirati. Migliorabile invece il cambio i cui innesti sono risultati in certi frangenti troppo duri e in qualche caso imprecisi.

Motore: 4 cilindri in linea trasversali a 4 tempi, raffreddamento a liquido; alesaggio per corsa 81,0x65,0 mm; cilindrata 1.340 cc; rapporto di compressione 12,5:1. Distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena e 4 valvole per cilindro. Alimentazione a iniezione elettronica con doppie farfalle e doppio iniettore per cilindro, diametro corpi farfallati 44 mm. Capacità serbatoio carburante 21 litri (riserva nd). Lubrificazione a carter umido.

Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena (43/18). Frizione multidisco in bagno d’olio e comando idraulico. Cambio a sei marce.

Ciclistica: telaio a doppio trave diagonale in alluminio; sospensione anteriore, forcella rovesciata da 43 mm completamente regolabile, escursione ruota 120 mm; sospensione posteriore, forcellone con mono ammortizzatore completamente regolabile, escursione ruota 140 mm. Cerchi: anteriore 3,50x17”, posteriore 6,00x17”. Pneumatici: anteriore 120/70-ZR17, posteriore 190/50-ZR17. Freni: anteriore a doppio disco in acciaio da 310 mm e pinze con attacco radiale a 4 pistoncini, posteriore a disco singolo in acciaio da 260 mm e pinza a singolo pistoncino.

Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.190, larghezza 735, altezza sella 805, interasse 1.480. Peso a secco 243 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza 145 kW (197,2 CV) a 9.500 giri, coppia 155 Nm (15,8 kgm) a 7.200 giri.
Suzuki Hayabusa: il falco pellegrino vola forte
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