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L'arte della trasformazione 2: la Gilamonster

di Fabio Gilardenghi il 19/07/2007 in Moto & Scooter

Volete mettere il gusto di avere una moto unica, curata anche nel più piccolo dettaglio? Continuiamo la scoperta di trucchi e dei segreti per fare una special

L'arte della trasformazione 2: la Gilamonster
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Un punto dove si possono ottenere grandi vantaggi è il reparto sospensioni. Qui non si parla tanto di alleggerire, quanto di incrementare la stabilità, la tenuta di strada, il feeling con la moto soprattutto nella guida sportiva, aspetti tutti quanti influenzati dalla qualità della forcella e del mono. Un punto essenziale da cui partire se volete migliorare la vostra moto, anche senza stravolgerla.

Sulla Gilamonster l'ammortizzatore originale è stato sostituito con un Öhlins che originariamente si presentava tarato per il vecchio Monster 900 a carburatori.
L'unità completamente regolabile è stata portata dagli specialisti delle K-Service di Turbigo (MI) per renderlo adatto al diverso leveraggio del Monster 1000 e, nell'occasione, anche per migliorarne l'idraulica.
Il supporto del serbatoio separato è stato ricavato dal pieno in alluminio ed è stato fissato al corpo del contenitore sfiati olio in carbonio.
La forcella è una WP RO.MA., anch'essa portata alla K-Service per la sostituzione delle molle e dell'idraulica con elementi più adatti al nuovo peso della moto. I piedini, in alluminio ricavati dal pieno, sono opera della Style and Performance di La Spezia (circa 500 euro), ma hanno delle specifiche su richiesta: presentano una campanatura dei dischi freno per la Suzuki GSX-R 1000 e non per Ducati. Aggiungendo però due spessori in alluminio di 2 mm dietro i dischi, si è potuto tenerli più esterni rispetto al profilo della ruota, affinché rimanessero più esposti all'aria e si raffreddassero meglio. I perni di entrambe le ruote sono in alluminio, mentre quelli del forcellone e del motore sono in titanio. Le piastre di sterzo in magnesio (peso 1.935 g), realizzate sempre da Style and Performance, hanno la parte inferiore a 3 viti (perchè più soggetta a sforzo meccanico) mentre quella superiore a 2 viti e conservano il foro per il bloccasterzo. I riser del manubrio hanno la stessa altezza degli originali per poter permettere il montaggio dell'ammortizzatore di sterzo Matris. Il manubrio in alluminio (648 g) è un prodotto Carbon Dream ed ha le estremità più basse di 25 mm, per avere un po' più di carico sull'anteriore. I comandi sono all'altezza di una Superbike grazie alla strumentazione AIM Mychron 3 Plus, un'ottima soluzione per l'uso strada/pista perché permette di visualizzare la temperatura min/max dell'olio, il tachimetro, l'odometro, la spia della riserva, il contagiri e i tempi sul giro in pista. E' retroilluminata per l'uso notturno. Il montaggio è stato realizzato grazie alla collaborazione di Bruno Cirafici (Monza), con un lavoro pulito e certosino, essenziale su una naked che non ha la carena per coprire eventuali altri cablaggi. Il supporto, realizzato in alluminio dallo stesso proprietario, prevede il montaggio di un'essenziale protezione che funge anche da cupolino, ricavato da un parafango incidentato di una Ducati 916.

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Sul manubrio sia la pompa freno sia quella della frizione sono Brembo radiali ricavate dal pieno (circa 300 euro l’una), così come lo sono le leve. La pompa radiale del freno nasce per l’uso in pista e permette di avere una frenata eccellente, utilizzando soltanto due dita, questo è dovuto al particolare posizionamento “radiale” del pistone (che lavora tangenzialmente rispetto al manubrio) e al più favorevole rapporto di leva idraulico. Su strada la modulabilità è inferiore rispetto a una pompa freno tradizionale, ma pur sempre ampiamente gestibile e non prevede di serie il sistema per l’accensione dello stop posteriore (ma è possibile montarvi un piccolo sensore elettroidraulico). Molto importanti sono i dischi freno anteriori, perché anch’essi, come le ruote, costituiscono masse non sospese in rotolamento. La scelta è caduta su una coppia di dischi Braking con profilo a “margherita”. Non per seguire la moda, ma per il risparmio di peso che consentono (1.400 g l’uno, contro i 1.826 di quelli di serie) e perché assicurano un’ottima frenata. La loro forma riduce la possibilità di subire le deformazioni dovute al surriscaldamento; inoltre il loro profilo discontinuo lavora proprio come i fori, aumentando gli spigoli d’attacco disco-pastiglia ed eliminando meglio il materiale d’attrito residuo.
Le pinze non potevano che essere le radiali Brembo a 4 pastiglie. Il nome deriva dal fatto che le viti di fissaggio sono disposte in modo radiale, cioè nel senso del raggio del disco. Il “plus” sta nel fatto che le viti si trovano esattamente alle due estremità del piedino, annullando le torsioni dovute alle forti decelerazioni e garantendo ottima rigidità. I vantaggi delle pinze Brembo stanno anche nell’utilizzo delle quattro pastiglie per pinza che assicurano sempre un “attacco” prontissimo e preciso in tutti i punti del disco. Certo è che i benefit si scopriranno solo nell’uso estremo, (quindi in pista ndr) e non certo su strada, dove anzi la frenata risulta molto aggressiva e dedicata ad un pubblico esperto che la sappia gestire. Sul mercato esistono inoltre dei kit per montare le pinze radiali sul piedino della forcella originale (non radiale), attraverso dei supporti in alluminio. Con tale sistema però viene annullato l’effetto di maggiore rigidezza tipico dell’attacco radiale. A questo punto sarebbe più conveniente acquistare un paio di Brembo Triple Bridge che utilizzano la stessa tecnologia a 4 pastiglie delle radiali, ma hanno un normale attacco tangenziale, compatibile con quello di quasi tutte le Ducati e di alcune altre moto.
Anche al posteriore lavora un disco Braking, “morso” da una pinza racing Brembo ricavata dal pieno, la stessa utilizzata da molte moto da competizione. Il supporto è artigianale. Le tubazioni in treccia metallica dei freni (come quelle del radiatore olio) hanno i “banjo” (cioè i raccordi) in ergal e sono tutti prodotti di ottima qualità Earl’s. Il tubo aeronautico (o in treccia metallica) serve per eliminare l’effetto “polmone” che i tubi in gomma possono avere, cioè la tendenza a gonfiarsi se sollecitati da una forte pressione, togliendo mordente alla frenata e allungando la leva.

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Una volta terminato (o quasi) il lavoro alle strutture si può passare a dedicarsi al motore. Come dicevamo il 1000 DS è un’ottima unità, ma naturalmente si può fare meglio, tenendo sempre presente lo stesso concetto di cui abbiamo parlato sopra: non si tratta di un semplice esercizio di tecnica, ma la moto deve rimanere sempre fruibile e gustosa.
Quindi sono state escluse modifiche radicali al propulsore, ovvero quei cambiamenti strettamente racing che vanno bene solo per l’uso in pista, come assi a camme più spinti, bielle in titanio ecc.. Visto che la coppia è direttamente proporzionale alla cilindrata, si è optato per aumentarla, montando un paio di pistoni Pistal Racing ad alta compressione, naturalmente dopo aver fatto alesare i cilindri originali, sino alla soglia dei 1.080 cc, limite che si sarebbe anche potuto superare con dei kit che arrivano addirittura a 1.200 cc, ma necessitano di un lavoro molto più dispendioso di equilibratura degli organi interni. Le sapienti mani di Voronoff, lo specialista milanese dei bicilindrici bolognesi, ha provveduto al montaggio, alla messa a punto e all’indispensabile lavorazione alle teste e ai condotti, al fine di avere la miglior erogazione possibile senza incertezze. Anche il volano è stato alleggerito, per dare più prontezza al comando del gas; allo stesso scopo è stato montato un kit di pulegge della distribuzione in ergal, con una raffinatezza unica: i mozzi delle pulegge sono stati ricavati dal pieno in ergal, al fine di alleggerire le masse in rotazione che il motore deve trascinare. Anche la frizione è la leggerissima STM 48 denti con antisaltellamento. Questo sistema permette di avere una moto più sicura e controllabile nella delicata fase di una frenata violenta: quando il peso passa tutto sull’anteriore e contemporaneamente si scala marcia, si potrebbero creare dei saltellamenti della ruota posteriore (o addirittura il suo bloccaggio con conseguente spegnimento del motore), a causa dell’eccesso di coppia e della scarsa aderenza della ruota motrice. Il sistema antisaltellamento è tarato per far slittare in maniera controllata la frizione, evitando questo inconveniente. Il propulsore è poi stato chiuso con entrambi i carter in leggerissimo magnesio.
La modifica al motore ha reso necessario non solo un filtro dell’aria K&N più permeabile, ma anche una centralina dalla nuova mappatura (la EVR2) che il preparatore Edo Vigna di Torino ha realizzato al banco apposta per la configurazione della Gilamonster. Lo scarico completo è stato invece realizzato dalla Shark su specifiche del proprietario: i collettori, da 0,8 mm di spessore e 45/50 di diametro sono in acciaio sino alla crociera sotto il motore (peso 2.650 gr), da questa partono due terminali con l’involucro in carbonio e il resto completamente realizzato in titanio saldato a mano, compresi i due fondelli e persino i db killer per l’omologazione! (peso 1.480 gr l’uno). Voronoff è un mago e i suoi motori si sono sempre distinti per affidabilità e potenza: quello della Gilamonster è all’altezza della sua fama, a guardare il grafico della prova al banco dinamometrico, dove ha raggiunto l’ottimo valore di 97,5 cv all’albero, con una coppia bestiale a un regime di giri abbastanza basso. Naturalmente è stata adeguata anche la trasmissione finale: la corona è in ergal (307 gr); il pignone è alleggerito (180 gr) e la catena è una Regina Grand Prix.(1640 gr, contro i 1945 gr di quella di serie): il passo dell’insieme è 520 al posto del più largo 525 di serie, importante perché è tutto peso in meno che il motore deve trascinarsi dietro. Il carter del pignone è in alluminio artigianale. Ma una special deve essere unica anche nei particolari, come i supporti della cassa filtro o quelli del portabatteria interamente ricavati dal pieno al tornio.

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Durante l’assemblaggio finale tutte le viti (ma proprio tutte: persino dentro il motore!) sono state rimpiazzate con altre in titanio o (una piccolissima parte) anche in ergal.
L’ergal è una lega dell’alluminio molto leggera (circa il 60% in meno rispetto all’acciaio di serie), mentre col titanio si risparmia circa il 40%, ma dalla sua ha una resistenza (superiore persino all’acciaio) che l’ergal non può assolutamente vantare. Certo costa molto di più (i prezzi dipendono dal tipo e dalla lunghezza: si va dalle 3 ai 20 euro ed oltre), ma l’affidabilità è sempre garantita soprattutto in punti soggetti a parecchio sforzo meccanico. Non ce n’è nemmeno una che spunti o che non sia della misura corretta: anche la somma delle “piccolezze” serve per risparmiare peso, come anche l’assenza di ulteriore vernice sulle parti che avrebbe fatto segnare sulla bilancia un buon “+ 300gr”.
Il proprietario è sincero e sostiene che si poteva fare molto meglio! Ad esempio, sostituendo il telaio con un altro dal medesimo disegno ma con tubi trafilati in acciaio al Cromo Molibdeno, realizzato a mano da artigiani come Golinelli di Imola o Moretti di Livorno, si potrebbero risparmiare altri 4 o 5 kg, con delle strutture molto più efficaci e rigide, ma si perderebbe l’omologazione per uso stradale, oltre ad un notevole esborso di denaro! Esistono inoltre delle particolari sospensioni completamente in ergal, dal funzionamento oleopneumatico, quindi prive di molle: sono le italiane Double System (montate di serie su un gioiello come la Vyrus). Pensate che il “mono” pesa circa 2.500 gr, contro gli oltre 5.000 gr dell’Ohlins. Quest’unità è stata testata dal proprietario che ha riscontrato una resa molto buona, ma l’Öhlins, con le modifiche specificamente richieste è parso più in sintonia con il tipo di guida e della moto.

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Siete curiosi ora di sapere come va? Saranno servite tutte queste dispendiose modifiche? Ebbene sappiate che la Gilamonster è mille volte più maneggevole e reattiva ai comandi, per via della drastica diminuzione dei pesi, soprattutto a livello delle ruote. E’ molto più precisa e stabile in circuito se si regolano adeguatamente le sospensioni, mentre in strada, in un percorso ricco di curve la facilità con cui la si fa ballare a sinistra e a destra non è paragonabile a quella di nessuna moto di serie in commercio. Frena fortissimo e, anche strizzando a fondo la leva, rimane pur sempre gestibile e controllabile. Il motore poi, pur senza essere stato stravolto, è migliorato molto a livello di prontezza e di coppia, che è poi il risultato che il proprietario voleva ottenere. Una conferma del fatto che un buon rapporto peso/potenza fa la differenza.

Per altre informazioni e per contattare l’autore dell’articolo: www.gilamonster.it.


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