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Siamo stati alla Thruxton Cup!

il 28/06/2005 in Moto & Scooter

Correre, il sogno di tanti, un privilegio per pochi. Ci sono anche formule monomarca che concedono qualche risparmio in più e regalano l’emozione di rivivere atmosfere d’altri tempi. Come è successo a noi, partecipando ad una gara del Torneo Thruxton a

Siamo stati alla Thruxton Cup!
Il prode Paolo Bergamaschi al termine della sua avventura sulla Triumph... leggete un po' il seguito!

testo e foto di Giuseppe Gori

Sempre ingorillati nelle solite moto, moderne ed efficientissime, potentissime e velocissime, ma senza quel sapore dei vecchi tempi, quando invece di andare in pista coi cavalli alla ruota c’erano solo motori… con somari da tiro!
E motori con le loro belle alette in vista, senza quei radiatori grandi come lenzuoli che nascondono tutto, e fra un po’ gireranno anche attorno al motore.



Motori coi carburatori che carburano, e ruote a raggi che raggiano… Tanto ci siamo capiti, e mossi dal peggiore (o migliore) anticonformismo abbiamo voluto – per la prima volta del nostro Bergamaschi in pista con una moto da strada – rivivere un weekend nostalgico in tutto e per tutto. Al grido di vecchio è meglio, l’invito della Triumph a prendere parte a una prova del Trofeo Thruxton è stato preso alla lettera, nel più totale vintage spirit che evoca il modello protagonista: la Thruxton 900 che di moderno ha solo la data di nascita, un freno a disco e qualche attenzione omologativa per gli scarichi. Che vengono subito eliminati per ridare fiato e sound a una bicilindrica progettata sì nel terzo millennio (o poco prima), ma disegnata con soluzioni e ingombri che potrebbero benissimo essere confusi con una Bonnie vera anni ’70.
In realtà l’attuale Thruxton che Triumph propone ai clienti più nostalgici sarebbe nata per fare tutto tranne che delle gare, e per dimensione e cilindrata non rispetta proprio alla lettera il modello ispiratore. Ma qualche licenza è concessa, come quella di pilota debuttante al nostro Paolo che di Triumph se ne intende, di Bonnie (e Norton, e BSA, e altre Triumph) ne ha possedute e guidate tante.


E che di English style è malato quanto di vecchia America. Nei momenti di crisi peggiori riesce perfino a preferire un hamburger del famoso network alimentare piuttosto che una sempre superiore pizza, ma proprio perché il nostro Bergamaschi è così, costruito con lo scalpello, per vivere una gara di questo trofeo le regole potevano essere solo sue.
E del suo amico di tante avventure Bassano Mazzocchi, un fighetto di Pavia che vende abiti, vestiti e jeans delle migliori griffe (anche americane in un negozio che presto somiglierà più a un garage) ad altri fighetti, ma che sotto sotto tanto fighetto non è. Tant’è che s’è subito calato nella parte più sporca del meccanico, ha fatto preparare una tuta rigorosamente in stile per il pilota e altre per gli aiutanti meccanici.
Che più diversi e inesperti non potevano essere: un tatuato e nerboruto cuoco acclamato (Massimo) e un hacker “buono” (Youz, il nome vero non lo sa neppure la madre!) che tiene in ordine server e portatili all’affezionata clientela. Improvvisatissimi, proprio come il capospedizione Bass (lo chiameremo così), che a malapena sanno che una vite si stringe in senso orario (ma non tutte!) e che la meccanica… non è la moglie del meccanico.
Improvvisatissimi esattamente come lo erano i meccanici dei piloti privati negli anni ruggenti, quando al massimo erano dei volenterosi aiutanti sul campo, più impegnati a non far danno che a mettere davvero a posto le cose.
Del resto al Trofeo Triumph non serve neppure molta assistenza. Le Thruxton si modificano con un kit da 4.100 euro (3.000 euro vengono però rimborsati), montano gomme normalissime, e la messa a punto si riduce in qualche aggiustaggio della carburazione (più che altro per lo scarico più libero) e delle sospensioni, da indurire un po’ per l’uso in pista. Il resto è fantasia, voglia di divertire e divertirsi. Che Bass e Paolo, Massimo e Youz hanno espresso al massimo. Con quel “62” stampato un po’ dapperttutto che altro non è che l’anno di nascita del pilota e del caposquadra (team-manager? Ma che orrore di parola: non si usava mica!).
Com’è finita? Che a momenti neppure cominciava visto che il Land Rover…

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La Land è famosa: va nei deserti, entra nelle foreste amazzoniche, ma l’aria delle colline emiliane gli fa un brutto effetto. Soprattutto se – comprata di quarantesima mano – ha i filtri del gasolio intoppati e una retromarcia che entra… e rimane soltanto se è il bicipite di Paolo a tenercela. Versione pick-up, telonata e provvista di ogni scomodità (servosterzo e aria condizionata negli anni ’70? Roba da superberline), fatto sta che questa stupenda Land del 1971 rischia subito di mandare a monte la spedizione verso l’Appennino parmense, con la sua fiera Triumph legata sul cassone.
Giusto per le foto, perché in verità la moto di Paolo è della Triumph Italia, che nei suoi uomini Lupano (direttore commerciale nel tempo libero e animatore a tempo pieno) e Martignoni (amico, collega e ora giullare nell’ufficio stampa) ci hanno gentilmente fatto trovare direttamente a Varano. Con tanto di gomme ben riscaldate da modernissime (che orrore!) termocoperte.

Sul Land del Bass62 team in realtà viaggiano spine e fusti di birra, un potente barbecue, e un ben meno potente Gitan 50 razzolato a un mercatino per pochi euro. Massimo, lo chef, non vuole rinunciare a sfamare (e ubriacare) le truppe angloitaliane del Trofeo Triumph, mentre il Gitan serve come tender per muoversi nel paddock. Uhè testina… se il Marco Ranzani da Cantù viaggia in Cayenne, al Paolo Bergamaschi da Rivanazzano basta un Gitan a tre marce. Perché lui splende di suo e l’unico SUV che può amare è la Land che si ferma ogni dieci km.
La storia veramente dovrebbe essere un’altra, ma il gol, l’obiettivo di questa armata brancaleone travestita per la festa è un altro. La gara è solo una scusa.

Che comincia a prendere forma già dal venerdì, quando in pista si entra pagando turni extra incastonati in mezzo ad altre, troppe categorie. Fra le quali le Triumph e i suoi indigeni c’entrano come crauti a colazione. Chi è tedesco eviti di lamentarsi col direttore! Siamo per l’Europa unita, ma il palato è soprattutto latino. Ma tornando a bomba, questo revival sarebbe stato più divertente e stimolante farlo in mezzo agli epocali veri, quelli che gareggiano con le moto storiche Gruppo 5. Ormai anche le gare minori di velocità hanno assunto dimensioni (quelle dei camion e dei bilici) e andazzo (quello dei soldi e dello stress) da motomondiale. O quasi, visto che comunque è forte la sensazione del “voglio ma non posso”, e alla fine fanno tutti a gara non solo in pista… 
In ogni caso il sabato si chiude con grigliata, birra, un ottavo tempo nelle libere niente male per un debuttante, che peggiora nelle prove ufficiali (ma Paolo?!? Ti emozioni ancora? Che bello!). E un caldo boiaaa.

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La Land è ferma e almeno non perde olio, il Gitan è più utile, ma l’ora della gara si avvicina, e dopo due giorni di bollitura e giramento di pollici nel paddock manca poco al semaforo verde. Ma non si potrebbe fare tutto in due giorni? Aggià, c’è chi sogna il mondiale e si diverte a cazzeggiare nel paddock spiegando che c’ha er chattering e che il tempo non è venuto per un’incrocio celeste di pianeti e comete, per le quali la mappatura ne ha risentito, la telemetria non ha illuminato, e infine c’erano pure i moscerini sulla visiera.

In ogni caso, quando è il momento di entrare in pista, da buoni pivelli, si scopre che il commissario non ama – per regolamento – le tute divisibili, e ci vuole tutta la diplomazia (e la stazza) di Italo Forni. Chi è Italo? Beh… un omaccione bolognese che quando le Triumph dei tempi d’oro correvano in pista, lui vinceva nel motocross. Giusto il campionato italiano. E Italo, pur di far correre Paolo, fa leva sull’evidente infermità mentale e sindrome da Peter Pan dell’intera armata brancaleone. Della serie: facciamo pena.
E pensare che proprio Italo e il suo socio Giuseppe “Balla” (detto anche Ballabene di cognome) s’erano adoperati anche per dare conforto alla spedizione. Tenda nel paddock per un po’ d’ombra. Moneta e buon umore a volontà. Che spreco! Hanno fatto meglio a sviluppare il kit Carat per le moto del trofeo, con quel tocco di classe nelle corone personalizzate con la bandiera “union jack”.

Sulla griglia di partenza lo spettacolo non migliora. Invece delle ragazze portaombrelli con tette di fuori ben compresse in un wonderbra, Paolo e Bass da buoni anglo-americanoidi avrebbero potuto accettare solo ragazze pom-pom. Ma nessuno aveva pollame da combattimento fra le proprie amiche (altrimenti col cavolo che si veniva a sudare a Varano!) e alla fine invece delle tette si vedono solo le basette del pilota.


La tensione però c’è, eccome, tanto che il vero pollo è il nostro pilota: si sdraia ingloriosamente alla fine del primo giro. Peccato, era partito bene, avrebbe potuto entrare tranquillamente nei primi dieci. Tutto al condizionale. La moto si rovina troppo, Paolo non può ripartire e l’esperienza finisce qui. Con la tuta indecorosamente sverginata, che ora campeggia nel negozio di Bass. Che userà per intortare il cliente di turno raccontando di come saltava i fossi per la lunga.
Quelli veri invece sono per Paolo, che è già tornato a fare enduro nella sua amata valle.
Fine delle comunicazioni, alla prossima!

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