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Abbiamo guidato la Boss Hoss!

il 06/04/2005 in Moto & Scooter

Ha il motore più grande che ci sia, pesa come un macigno ed ha la potenza di un’auto sportiva da pista, però le ruote sono solo due. E si guida persino discretamente!

di Daniele Massari

Più cilindri di due berline di media cilindrata. Una cubatura da far impallidire un’ammiraglia. Il peso a secco di una utilitaria e i consumi di un Concorde. Si, però ha due ruote.
Con un nodo in gola, il cuore che batteva forte per l’emozione ed il timore reverenziale che un mezzo di questa mole suscita inevitabilmente, durante la scorsa edizione della Bike Week di Daytona siamo saliti in sella alla Boss Hoss per un breve test ride.

Come tutti sanno, la Boss Hoss è un’azienda statunitense che costruisce motociclette e trike spinti da propulsori otto cilindri di derivazione Chevrolet. E sebbene questi modelli non si distinguano per ricercatezza stilistica o per sobrietà, va pur detto che una moto col motore V8 da più di 8000cc è un “pezzo” che qualunque appassionato, prima o poi, vorrebbe poter provare.

Il prezzo di acquisto elevato non pare costituire un problema per la fitta comunità di estimatori che questo tipo di motociclette annovera in tutto il mondo; in più, se non vi bastasse aver speso cifre a partire da 35.000 dollari per averne una, potete sempre decidere di personalizzarla con gli accessori dedicati ad hoc a queste motociclette da gran parte dei costruttori di aftermarket americani.

Le Boss Hoss vengono prodotte a Dyersbirg, Tennessee, in due versioni: si tratta della BHC-3 ZZ4 e della BHC-3 502, entrambe spinte da motorizzazioni V8 da 5700cc e 8200cc e con potenze che vanno da 350 a oltre 500 cv. Volendo comprarne una, ci sono persino tre importatori in Europa (Belgio, Turchia e Danimarca), ma per portarne una in Italia bisognerebbe sborsare circa cinquemila euro in più. E poi convincere le forze dell’ordine che quello che state guidando è un mezzo street legal

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Va bene, ti dicono che puoi provarla. Però bisogna innanzi tutto salire in sella, facendo i conti con l’ingombro trasversale del suo motore otto cilindri a V da 8200cc e prevedere, al momento dell’avviamento, la coppia di rovesciamento che spinge pilota e motocicletta verso terra (in senso orario) ad ogni colpo di gas.

Una volta innestata una delle due marce previste dal cambio semiautomatico (c’è anche la retro che aiuta nelle manovre) diamo gas con timore ed assecondiamo la belva che comincia a muoversi, gestendo i quasi 600 kg del mezzo grazie all’ampia leva offerta dal manubrio a corna di bue.

L’erogazione indescrivibile del motore si traduce in accelerazioni brucianti durante la marcia, assecondate dal ruggito dell’impianto di scarico che non riusciamo a credere possa essere conforme alle normative europee: delle due marce, la prima va usata in città, mentre la seconda va inserita solo a partire dalle 60 miglia orarie, per dare più respiro al motore.

Va detto che a dispetto delle primissime versioni, che usavano gomme posteriori quadrate da auto ed una ciclistica improbabile, le ultime Boss Hoss si comportano dignitosamente persino in curva, riuscendo a far sentire quasi a proprio agio il guidatore: quest’ultimo può fare affidamento sul discreto bilanciamento del veicolo, sulla ridotta altezza da terra della sella e sulla discreta assistenza offerta dal pneumatico posteriore da 230.
Certo, vista la mole taurina i freni Brembo e la pur imponente forcella upside-down difficilmente permetteranno di staccare tempi record sul giro. Ma aprire il gas al semaforo, mentre gli altri restano a bocca aperta a guardare la nuvola di fumo, storditi dalla puzza di gomma bruciata, è goduria vera!

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La disposizione a “V” degli otto cilindri del propulsore che equipaggia la Boss Hoss è di tradizione squisitamente americana. Prelevato dalle sportive della famiglia Chevrolet, il generoso e vorace V8 con distribuzione ad aste e bilancieri e due valvole per cilindro è l’autentico cuore stilistico e progettuale del mezzo, la cui sezione frontale è occupata dall’enorme radiatore formato TV-Color.

La trasmissione finale è a cinghia dentata, e si interfaccia con un cambio semiautomatico a due rapporti dotato anche di marcia indietro. La prima si innesta solo a freno anteriore inserito, mentre la seconda va utilizzata a velocità superiori alle 60 miglia orarie (circa 100 km/h). La retromarcia sfrutta un motorino elettrico con comando sul blocchetto elettrico sinistro.

Dal punto di vista ciclistico, al telaio a doppia culla in acciaio è abbinata la forcella a steli rovesciati da 63mm regolabile nel precarico, mentre per il retrotreno sono stati scelti due ammortizzatori ad olio, anch’essi regolabili. L’impianto frenante sfrutta tre dischi flottanti da 12,6”, ognuno con pinza a quattro pistoncini.

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