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Kawasaki W650

il 27/01/2005 in Moto & Scooter

Un’estetica da vera “Sixty”, una tecnologia d’epoca ma con una resa attuale e il piacere della guida di una volta ma con il comfort dei giorni nostri: la Kawasaki W650 è tutto questo, una moto che ormai è in listino da qualche stagione ma che continua ad

Kawasaki W650
Sarà anche in stile, ma il tamburo posteriore ci è sembrato un po' troppo "morbido" nelle prestazioni


“Ma che splendore! Ma di che anno è?” E’ questa la domanda che ci è stata fatta, a bruciapelo, da un ragazzo in scooter fermo accanto a noi al semaforo. Ed in effetti ci è voluto un poco per spiegargli che in realtà la moto che tanto lo ha colpito, ha solo l’aspetto “d’epoca”. La Kawasaki W 650, infatti, è forse l’esempio più chiaro di quella categoria di moto che fanno del vintage la propria bandiera, presentandosi come una perfetta moto in stile “sixties” nelle forme e nei contenuti, ma offrendo delle prestazoni ben più costanti delle splendide (ma capricciose) moto di qualche decennio fa.


Se infatti esteticamente la 650 di Akashi si presenta come una copia nemmeno tanto dissimulata della mitica Triumh Bonneville, da un punto di vista tecnico presenta soluzioni sì in stile, ma che offrono un’affidabilità degna delle moto odierne. Quindi niente laghetti d’olio in garage, tante vibrazioni piacevoli ma non distruttive per lampadine e otturazioni dei denti, freni e sospensoni old style nell’aspetto ma validi nelle prestazioni e soprattutto un propulsore dall’erogazone molto “bicilindrica” ma che al contempo non pregiudica la salute mentale del proprietario con snervanti sedute di carburazione o impari lotte con le puntine ad ogni mutar di vento.


I più puntigliosi si chiederanno, forse con qualche ragione, che senso ha una tale moto, specie alla luce del fatto che da qualche anno esiste di nuovo una Triumph che a buon titolo si fregia del nome di Bonneville... Ma per zittirli basterà loro ricordare che nella storia della Kawasaki è già esistita, proprio a metà degli anni sessanta, una “W650” che in realtà si chiamava W1, con un bicilindrico che nelle sue origini risale addirittura all’epoca in cui la divisione motocicli di Akashi ancora non esisteva, e veniva infatti prodotto con l’ormai sconosciuto marchio Meguro… e quella sì che era dichiaratamente una copia delle coeve moto inglesi!
Con queste credenziali, quindi, largo a tutte le interpretazioni sul tema, specie se gli esiti (come in questo caso) danno origine ad una moto gustosissima ed in grado di trasformare ogni passeggiata in un piacevole salto nel passato, un passato di cui gustare i pregi lasciando a casa molti difetti. Tutto ciò a 7.174 euro su strada, con un'attualissima (e dovuta) omologazione Euro2.

Più inglese delle inglesi: si presenta così la Kawasaki W650: il serbatoio a goccia munito di para ginocchia in gomma, i parafanghi old style, il freno a disco ben dissimulato, quasi a dar l’idea di un tamburo; perfino il disegno delle gomme è chiaramente ispirato agli anni ’60. Alcuni particolari che si notano solo ad un’occhiata più attenta, come ad esempio la pompa del freno anteriore con la relativa vaschetta del liquido, sono perfettamente intonati all’atmosfera retrò, senza però concedere (per fortuna) più di tanto a quest’idea di fondo in termini di prestazioni. Peccato che però il trucco venga svelato da alcuni dettagli: un esempio su tutti è la bella strumentazione con tachimetro analogico, che però si avvale di un contachilometri digitale!

Ma è forse pignoleria il voler notare queste piccolezze, specie di fronte alla oggettiva bellezza del layout del propulsore, che ha un fortissimo impatto estetico grazie al raffreddamento ad aria e soprattutto alla distribuzione ad albero esterna allo stesso, soluzione che lo contraddistingue come caso unico al giorno d’oggi. L’assemblaggio è di ottimo livello ed effettivamente chi ha un minimo di dimestichezza con le moto d’epoca deve riconoscere un lavoro di “filologia” non indifferente operato dagli stilisti di Akashi, che sono riusciti a riprodurre perfettamente l’atmosfera di quegli anni senza eccedere e soprattutto venendo doverosamente a patti con i 40 anni di progressi tecnologici e costruttivi che ci hanno portato ad oggi.

Quindi, per esempio, da una parte largo a ruote a raggi e ad un ("simbolico", come vedremo) freno posteriore a tamburo, ma d’altro canto non ci si è fatto scrupolo di equipaggiare la W650 con un forcellone posteriore in tubi quadri di discreta sezione, soluzione certamente migliore, ma ben più recente. Anche i comandi sono perfettamente in stile ma non prestano fianco a critiche, sia le leve che i pedali sono di ottima fattura e facili da raggiungere. Ugualmente gli accoppiamenti sono degni di una moto moderna, e c’è solo qualche filo a vista di troppo a far un po’ di atmosfera “Ace Cafè”... La seduta è comoda, e malgrado le dimensioni mediamente ridotte, anche i piloti più alti possono trovare adeguato spazio senza doversi rannicchiare troppo. Ugualmente il passeggero trova una sistemazione dignitosa sulla lunga sella.

Impossibile non iniziare l’analisi tecnica della Kawasaki W650 senza prendere subito in esame il bicilindrico parallelo di 676 cc. La caratteristica fondamentale di questo motore, come detto, è data dalla distribuzione ad albero e coppie coniche, soluzione costosa e di realizzazione non immediata, ma che permette di annullare tutti i problemi di usura tipici sia di cinghie che delle catene. Inoltre è di sicuro effetto l’impatto estetico dato dall’alberino, posto in posizione distanziata rispetto al blocco dei cilindri.
A parte questa notevole peculiarità, il motore della Kawasaki W650 è un classicissimo bicilindrico frontemarcia raffreddato ad aria ed è alimentato da due carburatori Keihin CVK34. Le misure di alesaggio per corsa sono pari a 72.0 x 83.0 mm, dunque abbondantemente sottoquadro e poco propenso a prendere velocemente i giri, ma grande dispensatore di coppia.


La trasmissione si compone di un’efficace frizione multidisco in bagno d’olio che serve un cambio a 5 rapporti dall’escursione un po’ lunga ma dal funzionamento impeccabile.
La trasmissione finale è a catena. Il telaio è un altrettanto classico doppia culla in acciaio con tubi a sezione tonda. Il canotto di sterzo ha ricevuto un mezzo grado di inclinazione in più rispetto alle prime versioni, raggingendo ora la quota un po’ “custom” di 27° rispetto alla verticale. Anche le sospensioni sono quanto di più collaudato ci possa essere con gli ammortizzatori posteriori regolabili nel precarico molla come unica possibilità di personalizzare l’assetto. I freni, infine, si compongono all’avantreno di un disco da 300 mm lavorato da una pinza a doppio pistoncino, il retrotreno è frenato da un modesto tamburo monocamma.

E’ troppo forte tentazione di servirsi della pedivella d’avviamento, specie nel caso in cui si possa gustare solo il piacere di tale rito senza rischiare di sudare sette camicie o peggio di farsi del male con qualche “scalciata” del kick starter. In questo caso basta appoggiare il piede, portare un pistone al punto giusto e dare un colpetto lieve ma deciso per far prendere vita al bicilindrico. Per i più pigri è previsto anche l’avviamento elettrico,  ma volete mettere la “poesia” della pedivella? Il motore quasi non necessita della levetta dello starter (posta accanto al carburatore sinistro) e si assesta rapidamente al minimo borbottando dagli scarichi cromati a bottiglia.

Si inserisce la prima marcia e subito si notano le caratteristiche più piacevoli di questo bicilindrico, e cioè la morbidezza di erogazione e la disponibilità di coppia fin dai primi giri. Sembra quasi di aver a che fare con uno scooter: anche aprendo da fermi completamente il gas non si sente nemmeno un impuntamento o traccia di ruvidità. Il motore sale morbido e costante con una “facilità” disarmante e porta deciso verso la velocità desiderata. Assecondato da un cambio (rapportato piuttosto lungo) che non è un fulmine ma che si mostra “a prova di incapace” e da una frizione morbidissima, il bicilindrico regala la sua coppia con una regolarità elettrica e tutto questo rende facile ed intuitiva la guida, garantendo al contempo una riserva di potenza praticamente su tutto l’arco d’erogazione.
Basta aprire la manetta per eseguire in scioltezza qualsiasi sorpasso o anche solo per allungare il passo, sempre con la sensazione di fare qualcosa di estremamente facile e naturale. Le prestazoni dunque ci sono, ed è facilissimo raggiungere i 130/140 km/h, velocità oltre la quale, sinceramente, non ha senso andare, vista anche la totale esposizione al vento.

E’ invece la ciclistica ad avere un comportamento un po’ old style: quello che manca è soprattutto il feeling con l’avantreno, che non fa dispetti improvvisi, ma è sempre poco comunicativo, piuttosto pesante e soprattutto un po’ legnoso nella risposta. La moto va accompagnata in piega ed una volta impostata la curva bisogna sempre prestare un minimo di attenzione alla ruota davanti, che soffre parecchio per la gommatura adottata. Tale scelta è stata criticata fin dalla presentazione della W650, ma evidentemente ad Akashi ritengono che sia giusta... Sta di fatto che si ha sempre un po’ la sensazione che la ruota anteriore non stia sempre dove deve stare, e questo è un vero peccato, perchè in sè la moto è stabile e sincera.
Il retrotreno, invece, non dà adito a critiche nemmeno andando a cercare i limiti di questo mezzo. I due ammortizzatori posteriori svolgono egregiamente il loro compito, sono morbidi al punto giusto ed assorbono bene le asperità..



Una volta capite le peculiarità della moto, la Kawasaki W650 diventa gustosissima da condurre. Nel misto un po’ aperto si possono pennellare le curve con grande divertimento. La frenata ha un comportamento double face: scordatevi del tamburo posteriore, c’è ma è quasi ornamentale. Il disco anteriore, invece, va strizzato con forza, ma assicura una frenata più che adeguata e dal rendimento costante... almeno fino alle prime gocce di pioggia, situazione in cui tutto si “allunga” ed è necessario prendere bene le misure.


I consumi, infine, sono un po’ di difficile interpretazione: i 10/11 euro che si riescono a mettere nel serbatoio svaniscono nell’arco di 150/170 km, specie godendosi la coppia “burrosa” del bicilindrico. La moto è quindi un po’ assetata, ma d’altronde stiamo parlando solo di 10 litri di carburante.
Insomma, non sono tutte rose e fiori, ma vi confessiamo che siamo stati un po’ rapiti da questa bicilindrica, che ha dalla sua un motore molto indovinato in assoluto, gode di un’estetica piacevole, è comoda, vibra il giusto e non pecca nelle prestazioni. Ha dei difetti che però non pregiudicano il piacere di guida e la fruizione quotidiana, come invece accadeva troppo spesso con le splendide moto inglesi.... Ma se fosse perfettina come una moto attuale... che moto retrò sarebbe?

Motore: a 4 tempi, 2 cilindri in linea frontemarcia, raffreddamento ad aria, alesaggio e corsa 72 x 83 mm, cilindrata 676 cc, rapporto di compressione 8,6:1; distribuzione monoalbero a 4 valvole per cilindro, comando ad alberino e coppie coniche; lubrificazione a carter umido. Alimentazione: 2 carburatori Keihin CVK da 34 mm; capacita’ serbatoio 15 litri. Accensione elettronica digitale con sensore di apertura farfalla. Avviamento elettrico e a pedale.

Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco in bagno d’olio, comando a cavo; cambio in cascata a 5 marce; finale a catena.

Ciclistica: telaio a doppia culla in tubi d’acciaio, inclinazione asse di sterzo 27°. Sospensione anteriore: forcella telescopica con steli da 39 mm, escursione 130 mm; sospensione posteriore: forcellone in acciaio con doppio ammortizzatore regolabile, escursione 105 mm. Ruote: anteriore a raggi con canale in lega leggera, pneumatico 100/90-19”; posteriore a raggi con canale in lega leggera, pneumatico 130/80-18”. Freni: anteriore a disco da 300 mm, pinza flottante a 2 pistoncini affiancati; posteriore a tamburo monocamma.

Dimensioni e peso: interasse 1450 mm, lunghezza 2185 mm, larghezza 905 mm, altezza sella 800 mm. Peso a secco 195 kg

Kawasaki W650
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