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Anteprima: Triumph Daytona 650

il 22/11/2004 in Moto & Scooter

Alan Cathcart ha provato la nuova versione, maggiorata, della Supersport inglese e ne è rimasto entusiasta: aumentando la corsa e la cilindrata, il quattro cilindri ha guadagnato potenza e coppia. Ora saranno i Giapponesi a doversi dare una mossa...

“650” è un numero fortunato nella ruota della fortuna della Triumph, anche se le Bonneville 650 T110 e T120 che dominarono il mercato e le corse per derivate di serie su entrambe le sponde dell’Atlantico per quasi due decenni – dopo che, nel 1956, il texano Johnny Allen aveva conquistato il record assoluto di velocità con un siluro Triumph 650 sul lago salato di Bonneville – erano tradizionali bicilindriche ad aste e bilancieri, non quattro cilindri bialbero capaci di alti regimi di rotazione.

Negli ultimi trent’anni non si è più vista una Triumph 650, ma adesso è arrivata la nuova Daytona 650, lanciata all’Intermot di Monaco lo scorso settembre e già in produzione, con l’intento di colmare il gap di prestazioni che divideva la Daytona 600 dalle concorrenti giapponesi.
La Daytona 650 vanta un costo notevolmente competitivo nei confronti delle concorrenti giapponesi della categoria Supersport.
L’avvento della Daytona 650 ha inoltre un significato particolare in quanto coincide con la raggiunta competitività della 600 nelle corse della categoria 600 Supersport, dove la moto del Team Valmoto, guidata da Craig Jones, ha vinto a Donington la corsa conclusiva del campionato inglese SS 2004, riconosciuto universalmente come il più agguerrito del mondo.



“I nostri risultati sportivi provano che la Daytona 600 ha una ciclistica eccellente, da noi adottata in toto per il nuovo modello stradale – afferma il responsabile dello sviluppo della Daytona 650, Ross Clifford, che ha anche sovrinteso all’impegno biennale dell’azienda nelle corse – ma avevamo ricevuto diverse osservazioni da parte di clienti della 600 che ritenevano necessaria maggior potenza e un più marcato tiro ai medi regimi. Con l’incremento di cilindrata abbiamo ottenuto esattamente questo risultato, anche se adesso la moto non può più correre nel campionato Supersport”.

Creando la Daytona 650, la Triumph non ha seguito l’esempio della Kawasaki, che dopo aver creato la ZX-6R maggiorata a 636 per le stesse ragioni che hanno motivato la maggiorazione della Daytona, ha affiancato a questa una versione “tiratissima” della 600 – la ZX-6RR – in modo da poter continuare a correre nella SS. E non ha seguito il suo esempio nemmeno operando la maggiorazione del motore: la Kawasaki infatti ha allargato l’alesaggio, mentre la Triumph ha incrementato di 3,2 mm la corsa dei pistoni. Di conseguenza le misure della cilindrata della Daytona sono passate da 68 x 41,3 mm a 68 x 44,5 mm.



Questa scelta, che riporta i valori di corsa del motore Triumph vicino a quelli adottati dai concorrenti giapponesi (42,5 mm per Honda, Suzuki e Kawasaki – 44,5 mm per la Yamaha) è un chiara dimostrazione che, scegliendo a suo tempo di adottare un valore di corsa tanto limitato, i tecnici della Triumph avevano commesso un errore tecnico, tanto è vero che quel motore, prima in versione TT600, poi Daytona 600, non ha mai raggiunto gli altissimi regimi di rotazione che erano stati preventivati, inoltre soffriva di un buco di erogazione in basso, mai eliminato nonostante i diversi tentativi di rimappare l’iniezione.



Il motore della nuova Daytona 650 ha un tiro più sostanzioso e più piccante in tutto l’arco di erogazione, rispetto al precedente; la potenza cresce di 2 CV raggiungendo i 114 CV a 12.500 giri (250 giri in meno di prima) e, nonostante la corsa più lunga, ama girare molto in alto, col limitatore posto a 14.500 giri, esattamente come sul 600, e anche insistendo ad allungare oltre il regime di potenza massima non si verificano bruschi cali di potenza. L’aumento di cilindrata ha reso anche più pieno, cupo e potente il rombo del quattro cilindri, che decisamente risulta più muscoloso ai medi e agli alti regimi; ha quindi una più marcata musicalità di scarico, e anche la rumorosità meccanica è calata, grazie all’eliminazione del gioco sull’albero di calettamento della frizione, che ora ha sette dischi anziché nove.

La coppia massima non è variata: 68 Nm a 11.500 giri, e se questa affermazione della Triumph sembra già strana sulla carta, è un dato di fatto che chi sta in sella avverte in modo inconfondibile una maggior carica di energia in basso e ai medi regimi. Il rapporto di compressione è stato leggermente innalzato: da 12,5:1 a 12,85:1 modificando la testata, e questo, unitamente al nuovo albero motore e alla rimappatura della centralina a 32 bit dell’iniezione elettronica, con corpi farfallati Keihin di 38 mm è all’origine della potente accelerazione di cui è capace questo motore fin dai bassi regimi, tale da non far credere che possa trattarsi sostanzialmente dello stesso 4 cilindri montato sul modello Daytona 600.

La risposta dell’acceleratore è immediata, e come riscontrato sulla Yamaha R6 2005, che ho avuto modo di provare appena qualche giorno prima della Triumph, il motore inglese ha guadagnato grinta in uscita dalle curve lente, anche senza montare corpi farfallati maggiorati come invece ha fatto la Yamaha. Oltre gli 8000 giri c’è poi un un’erogazione così piena che ti piacerebbe poter contare sulla presenza di un ammortizzatore di sterzo a contrastare le conseguenze del forte alleggerimento dell’avantreno quando riapri il gas in uscita di curva.



Grazie al mantenimento dello stesso telaio con geometria relativamente conservatrice (24,6° di inclinazione del cannotto di sterzo e 89 mm di avancorsa), alla forcella Kayaba con steli di 43 mm e all’interasse di 1390 mm, la Daytona 650 è maneggevole e piacevole da guidare come prima. Offre lo stesso equilibrio e la stessa prevedibilità di comportamento durante la guida e anche in frenata, per merito delle eccellenti doti del doppio disco anteriore Sunstar di 308 mm con pinze Nissin a quattro pistoncini, lo stesso montato dal Team Valmoto per correre nel campionato Supersport.

Con la Daytona 600, a causa dell’erogazione del motore in un arco più limitato e più spostato verso l’alto, sfruttare le doti della ciclistica era fondamentale per poter tenere elevata la velocità di percorrenza di una curva. Con la Daytona 650 non è più tanto importante, grazie alle migliorate qualità di erogazione di potenza e soprattutto coppia. Ciò si traduce, in curva, in un minor uso del cambio e in una guida più rilassata. In ogni caso, usando il cambio si avverte il miglioramento che la 650 può vantare anche su qusto componente, in parte grazie alla modifica degli alberi del cambio stesso e delle forcelle, ora in acciaio al molibdeno, che fan sì che il meccanismo sia diventato più morbido da azionare, ma anche per l’adozione di un nuovo selettore, montato per la prima volta su un Triumph quattro cilindri di media cilindrata.



Sono salito in sella a questa moto – lo ammetto – con un preconcetto: che la Triumph realizzando la 650 avesse semplicemente cercato un palliativo per mettere una pezza ai difetti che la 600 aveva messo in evidenza a causa della corsa troppo corta del motore, invece di risolvere il problema alla radice con un nuovo progetto. Adesso che l’ho provata, devo dire che non è affatto così: come la Suzuki, che unica fra i costruttori giapponesi insiste a proporre la GSX-R 750 come compromesso ideale fra la potenza della 1000 e l’agilità della 600, la Daytona 650 oggi si colloca nello stesso scenario con il suo duplice carattere.



La strategia della Triumph è di ragionare con la propria testa, come dimostrano la gamma Bonneville da un lato, e la Rocket III dall’altro. Seguire questa strategia in quei segmenti di mercato in cui si confronta direttamente coi prodotti giapponesi permetterà ai modelli della Casa inglese di distinguersi, esattamente come oggi si distingue la Daytona 650.

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