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In Sudafrica con la MT-01

il 15/11/2004 in Moto & Scooter

Che cosa è il Kodo? Scopritelo con noi che abbiamo provato in anteprima la più importante novità della Yamaha per il 2005: una moto che vuole essere diversa e che può esserlo davvero. Una 1700 bicilindrica con coppia mostruosa: 150 Nm a 3750 giri. Il test

In Sudafrica con la MT-01

di Luigi Rivola



Città del Capo - Mi hanno beccato a 148, trenta metri dopo il semaforo! E dire che ero partito da fermo e il motore era solo a 2300 giri in prima!
Non ho bevuto, che di crediate o no: il fatto è che stavo guidando per la prima volta la nuova Yamaha MT-01, che a 3750 giri sviluppa l’esplosiva coppia di 150 Nm, ma con una curva talmente piatta, che a 2300 giri eroga già 148 Nm.

Da oggi, ragazzi, gli autovelox non dovranno misurare solo le esagerazioni di velocità, ma anche quelle di coppia, e la MT-01 in questo senso è veramente esagerata.



Per i Giapponesi la nuova Yamaha bicilindrica 1700, una delle poche vere novità esposte al Salone di Monaco 2004, esprime un nuovo concetto di moto; inutile dire che lo sosterrebbero anche presentando la loro versione della Vespa. Però è indiscutibile che dietro all’arrivo sul mercato europeo di una moto come la MT-01 ci sia la volontà di proporre agli appassionati del Vecchio Continente qualcosa che filosoficamente si avvicina molto al gusto dei motociclisti americani, che – è noto – amano e usano moto molto diverse dalle nostre.
Originale, dominatrice, radicale”. Queste tre parole definiscono, secondo la Casa che l’ha concepita e realizzata, la MT-01. I punti focali attorno ai quali è proceduto lo sviluppo del progetto sono: mega-coppia, ciclistica da superportiva e spirito da pura roadster. “Normalmente una moto nasce – è stato detto durante la presentazione, ancora in corso a Città del Capo per un altro scaglione di giornalisti – in seguito a indicazioni emerse da ricerche di mercato, o da imput della direzione commerciale. La MT-01 invece è nata seguendo un sogno, dando credito a un’intuizione”.



Noi siamo più concreti: non crediamo che a Iwata sia consentito sognare, siamo invece convinti che il positivo riscontro ottenuto dalla proposta di design lanciata con la MT-01 al Salone di Tokyo del 1999, unitamente alla necessità sentita un po’ da tutti di slegare il concetto delle moto sportive da quello delle race-replica, siano all’origine di questa proposta, sulla quale la Yamaha dice di puntare molto, anche se la cilindrata di 1700 cc, il peso dichiarato di 240 kg a secco e il prezzo di poco meno di 14.000 Euro non ne fanno certamente una moto da grandi numeri. L’inizio delle consegne è fissato per la primavera del 2005.

In Sudafrica in questi giorni anche le balene che si facevano ammirare a pochi metri dalla scogliera del Capo di Buona Speranza, anche i babbuini e gli struzzi che abbiamo incontrato per strada, persino le bellissime ragazze bianche e nere che si godevano il sabato notte a Città del Capo, avevano in testa una parola giapponese: Kodo. Il Kodo aleggiava ovunque: dava una tonalità particolare al rombo di scarico della MT-01, lo percepivi nel ticchettio della distribuzione ad aste e bilancieri del suo grosso bicilindrico, ti si comunicava attraverso le manopole, le pedane e la sella durante la guida, si propagava col sorriso genuinamente orientale del project leader, ing. Tominaga.
“Kodo” esprime quella piacevole atmosfera di appagamento fisico/mentale, di intima eccitazione che si prova in particolari situazioni. Naturalmente, nel caso, la situazione che genera il kodo è la guida della Yamaha MT-01, alla quale queste due sillabe sono state appiccicate come il più efficace degli slogan.


A noi ‘sto Kodo ha dimostrato una sola cosa: l’intenzione della Yamaha, fin dalle prime fasi del progetto, di realizzare davvero una moto concettualmente nuova. Una moto per appassionati maturi, amanti delle prestazioni, che sanno apprezzare e sfruttare la raffinatezza di una ciclistica di ispirazione spiccatamente sportiva, ma non sono disposti a rinunciare ad altri motivi di grossa soddisfazione, come la coppia prorompente e una certa comodità condita da un design esclusivo, inseguendo l’unica chimera del tempo sul giro o del primato su strada.



La Yamaha è convinta che il kodo farà proseliti, di conseguenza ha promesso che la MT-01 avrà famiglia; inizialmente ci saranno kit di sviluppo per questo modello, che offriranno scarichi aperti, magari in titanio, fino a un’elaborazione più approfondita del motore, poi potranno venire altre versioni che potrebbero allargare e modificare il concetto iniziale. Sembra di capire che la volontà sia di seguire la strada aperta dalla Ducati Monster: offrire il modello di grossa cilindrata come capostitite capace di creare desiderio, quindi allargare progressivamente la nicchia con edizioni a larga tiratura, dal costo assai più accessibile e dalla cilindrata nettamente ridotta. La Yamaha MT-01 scenderà anche in pista: è stata annunciata una MT-Cup, e l’intenzione è di andare a cimentarsi in tutto il mondo nelle gare riservate ai grossi bicilindrici. Travestilo come vuoi, ma il kodo dei Giapponesi finisce sempre per coinvolgere un cronometro...



Il motore a corsa lunga è un generoso erogatore di coppia. Un motore di grande capacità a corsa lunga è un mostruoso erogatore di coppia. Basandosi su questo presupposto tecnico, la Yamaha ha equipaggiato la MT-01 col bicilindrico a V longitudinale di 48°, 1670 cc, della Royal Star Warrior: cilindrata unitaria di oltre 800 cc con misure di alesaggio e corsa di 97 x 113 mm. La controindicazione dei grossi bicilindrici in un’ottica sportiva sta soprattutto nell’altezza smodata del propulsore, che oltre ad elevare il baricentro, limita la libertà d’azione del telaista, dello stilista, sacrificando anche l’aerodinamica. Nel caso specifico, l’altezza del motore era contenuta all’origine, disponendo della distribuzione ad aste e bilancieri ed essendo assente di conseguenza l’ingombrante castelletto di una distribuzione monoalbero o bialbero in testa.



Per esaltare le caratteristiche di sportività di questo motore, concepito inizialmente per più tranquille applicazioni, la Yamaha si è posta l’obiettivo dell’incremento di prestazioni, della diminuzione di peso e di una maggior rigidità del carter. Ciò ha portato i tecnici a una revisione totale del propulsore, i cui componenti sono stati rinnovati al 90%.
In particolare è stato ridisegnato l’albero a camme puntando ad un diagramma di distribuzione che privilegiasse il raggiungimento del picco di coppia ad un regime molto basso e per un prolungato arco di utilizzo. L’iniezione elettronica è dotata di iniettori a 12 fori anziché 4; il sistema di scarico, in titanio, adotta la valvola ex-up per un’ulteriore valorizzazione della coppia motrice; l’albero motore è stato alleggerito di 2 kg in modo da assicurare una più pronta risposta all’acceleratore; il diametro dell’alloggiamento del cuscinetto della testa di biella è stato portato da 53 a 57 mm; il serbatoio dell’olio, separato, è stato collocato anteriormente al motore così da trovarsi nelle migliori condizioni di raffreddamento.



Il risultato più eclatante dal punto di vista tecnico lo ha rilevato la bilancia: al termine della “cura”, il motore ha perso la bellezza di 20 kg rispetto alla versione originale. La potenza espressa non è “numericamente” impressionante: 90 CV, ma a soli 4750 giri, il che ne fa un vero e proprio caterpillar! Impressionante invece la coppia: 15,3 kgm a 3750 giri.



Il motore in una moto sportiva ha un ruolo fondamentale anche per la tenuta di strada e la maneggevolezza. Per questo motivo sulla MT-01 il grosso bicilindrico è stato fissato al telaio aggiungendo nuovi attacchi alle teste dei cilindri e provvedendo ad irrigidirlo con un rinforzi nella parte inferiore. Volendo che il massiccio propulsore mantenesse intatta tutta la sua prorompente aggressività anche estetica, la Yamaha ha optato per un telaio in alluminio costruito secondo l’evoluta tecnologia “Controlled-Filling die cast”, che consente al progettista grande libertà di conformazione della struttura garantendo sempre la necessaria robustezza e rigidità e il minimo peso.



Il telaio realizzato per la MT-01 è composto da due soli elementi in alluminio pressofuso uniti mediante bulloni nella zona del cannotto di sterzo e del perno del forcellone; quest’ultimo, molto simile a quello della YZF R1, è stato progettato sulla base delle più recenti esperienze condotte sui modelli ipersportivi della Casa di Iwata. Entrambe le sospensioni sono completamente regolabili; quella anteriore è costituita da una forcella upside-down di impostazione prettamente sportiva; il freno anteriore a doppio disco Brembo di 320 mm ha pinze e pompa radiali come sulle più grintose race-replica.



L’intero complesso della trasmissione è stato rivisto, tanto che sulla MT-01 il pignone della trasmissione finale si trova dalla parte opposta rispetto al modello originale. I pneumatici infine sono decisamente in linea con l’aspetto e l’impostazione della moto: anteriormente troviamo un 120/70 ZR17 e posteriormente un immenso 190/50 ZR17.

Una cilindrata unitaria di oltre 800 cc non è fonte di entusiasmo per nessun motorino di avviamento, ma quello della MT-01 non fa fatica a fare il suo dovere e il motore si avvia facilmente, a patto di non toccare assolutamente l’acceleratore. Appena avviati i due enormi pistoni cominciano a “pompare” al minimo e a trasmettere un po’ di kodo, sotto forma, in questo caso, di vibrazioni di bassa intensità, ma di onda lunga, che si propagano al corpo dando un’idea concreta della forza che è in grado di sprigionarsi al comando del pilota.
La sella è alta secondo i canoni attuali delle moto sportive, ma non in modo esagerato; il busto del pilota è piuttosto inclinato in avanti tuttavia i polsi non sono troppo caricati, quanto ai piedi, trovano subito le pedane e i comandi al posto giusto.

La partenza porta la prima sorpresa: già la prima è abbastanza lunga rispetto alle attese, per cui i primi metri non sono fulminanti come era lecito aspettarsi da una moto che a meno di 2000 giri eroga già una coppia da tirarsi dietro un TIR. La scelta appare positiva (anche per far durare un po’ di più il carissimo pneumatico 190/50 posteriore) e ci si aspetta che la cattiveria emerga brutalmente con un ravvicinamento delle marce alte, invece no: tutti i rapporti sono lunghi e smorzano molto l’effetto coppia, che comunque c’è e si fa apprezzare, visto che è possibile aprire senza remore in quinta a soli 1000 giri, con piccoli patimenti limitati alla trasmissione.
La moto ha una massa notevole con la quale bisogna fare i conti. La ciclistica è di prim’ordine – non per niente si ispira concretamente a quella della R1 – e le sue virtù, in termini di precisione di esecuzione della traiettoria, si rivelano immediatamente, ma la moto va guidata di forza e con grande autorità perché la maneggevolezza è ridotta e tutta quella massa va convinta a deviare dalla linea che sta seguendo. Affrontare una esse entrando con troppo brio significa fare la prima curva senza problemi, ma trovarsi regolarmente lungo per la seconda; a questo punto basta un rapido ripasso mentale delle buone regole della guida sportiva, che vogliono che la percorrenza di una esse sia impostata in funzione della seconda curva, e tutto torna facile.



La frenata è semplicemente eccellente, con un feeling per il pilota che gli fa sapere in ogni momento quanto e come sta frenando. Il comportamento delle sospensioni nel corso della nostra prova si è rivelato molto buono sull’asfalto liscio – raro in Sudafrica – ma del tutto inadeguato su quello irregolare della maggior parte delle strade da noi percorse: troppo duro il settaggio, specialmente quello della sospensione posteriore, con continui rimbalzi che incidevano sulla comodità e sulla stabilità della moto.
Abbiamo stimato la velocità massima in circa 230 km/h, considerata la rapidità con cui ha superato i 200 km/h, la lunghezza del rapporto e il fatto che il contagiri ci indicasse a quel punto ancora ampio margine di crescita. Ma la velocità di punta sulla MT-01 è un fattore di importanza secondaria, perché la sua forza emerge nel passo, che non è l’interasse in questo caso, ma la capacità di mantenere medie elevate anche su percorsi tormentati (col giusto setting delle sospensioni) quasi senza che il pilota se ne accorga.
Due righe conclusive: la filosofia della moto piace, il design pure, ma va affinata studiando meglio i rapporti del cambio e facendo sì che “la differenza” che questa proposta è in grado di rimarcare, emerga con più concretezza.

In Sudafrica con la MT-01
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