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DDI, l’iniezione Dell’Orto per 2T

il 03/12/2003 in Moto & Scooter

I due tempi è finito perché troppo “sporco”? Le proposte per renderlo più rispettoso dell’ambiente non mancano. Ecco cosa bolle nella pentola di un nome storicamente legato ai carburatori

DDI, l’iniezione Dell’Orto per 2T
Il pistone reca sul cielo un piccolo deflettore, anch'esso oggetto di studi e prove

I due tempi è finito perché troppo ?sporco?? Le proposte per renderlo più rispettoso dell?ambiente non mancano. Ecco cosa bolle nella pentola di un nome storicamente legato ai carburatori

di Alberto Dell'Orto, foto Alberto Cervetti

Le campane suonano a morto per il due tempi. Sono infatti in molti (Honda in testa, che ha deciso di non produrre più questo tipo di motore) quelli convinti che i motori con le luci nel cilindro verranno uccisi da normative antinquinamento sempre più restrittive.

Troppi idrocarburi incombusti (HC), troppo monossido di carbonio (CO) per pensare di rimanere a costi accettabili dentro i limiti che si profilano all?orizzonte, e a poco vale come consolazione la modesta emissione di ossidi di azoto (NOx). Un peccato. Un peccato perché, quattrotempisti convinti a parte, il due tempi è un motore geniale: meno controllabile nei suoi parametri di funzionamento rispetto a un quattro tempi, è però molto competitivo sul piano dei costi, dei pesi, della potenza specifica. E allora la sfida: l?unica strada possibile per mantenere a livello industriale i vantaggi del due tempi è l?iniezione diretta. Ci ha provato, riuscendoci, l?Aprilia con il suo DiTech, un sistema a bassa pressione pneumoassistito che ha permesso nuova vita ai precedentemente fumosi e assetati cinquantini; non è un caso se oggi la maggior parte dei 50 venduti da Aprilia ha questo dispositivo, anche se il prezzo è inevitabilmente lievitato. La Dell?Orto, storica fabbrica di carburatori di Seregno in provincia di Milano (a proposito, nessuna parentela tra autore del presente e proprietà dell?azienda!), ha voluto dire la sua sull?argomento, con il progetto DDI, che sta per Dell?Orto Direct Injection.


Partito nel 2000, lo studio è frutto di una ricerca interna dell?azienda, e non di una commessa, ed è stata decisa dalla direzione anche valutando la possibilità di utilizzare know-how proveniente sia dal settore auto (con diversi esempi di installazioni su motori a quattro tempi), sia da quello dei fuoribordo, in cui i due tempi di nuova progettazione sono praticamente tutti a iniezione diretta. Per ora le prove sono state svolte con un motore Peugeot, mentre la versione più matura è stata proposta per il motore Piaggio che equipaggia il Liberty.


Il grande problema del motore a due tempi aspirato (esistono anche motori che, alimentati attraverso un compressore, funzionano a due tempi con la struttura dei quattro tempi, ma questa è un’altra storia…) è costituito dalla contemporaneità della fase di scarico dei gas combusti e dell’ingresso dei gas freschi nel cilindro. L’iniezione diretta (cioè quella che si effettua iniettando il carburante direttamente nel cilindro durante la fase di compressione) può dunque ridurre grandemente i problemi di inquinamento perché permette di effettuare la fase di lavaggio del cilindro (ricordiamoci che luci di travaso e di scarico hanno fasature sovrapposte, perché il movimento verso il basso del pistone scopre tutte le luci) con una carica gassosa formata solo da aria e da quel poco di olio indispensabile a lubrificare i cuscinetti di banco e quelli della biella. La benzina, infatti, viene immessa nel cilindro solo quando il pistone, nella sua corsa verso il PMS, ha finito di chiudere la luce di scarico.


La Dell’Orto, e in particolare il team che fa capo all’ingegner Paolo Colombo, ha cominciato ad occuparsi del problema nel 2000, con l’ambizioso fine di arrivare a rendere funzionante e proponibile all’industria motociclistica un sistema di iniezione semplice, efficace ed economico. L’ultima caratteristica è fondamentale perché l’intero sistema non deve annullare il vantaggio dei costi che il due tempi ha nei confronti del quattro, che nasce invece intrinsecamente più "pulito" e quindi ha meno bisogno di accorgimenti esterni per rientrare nei limiti di emissioni - presenti e futuri: basta pensare che le piccole cilindrate rispettano tranquillamente i parametri fissati utilizzando i carburatori, oggetti ormai vietati alle cilindrate maggiori. Il sistema di iniezione, dunque, non solo deve costare poco, ma anche essere così efficiente da permettere l’eliminazione del catalizzatore oppure, più verosimilmente, l’adozione di un catalizzatore povero di metalli nobili e dunque meno costoso. Il risultato di questi studi, anche se tuttora a livello di prototipo non completamente ottimizzato, è il DDI.


Il concetto che sta alla base del DDI è lo stesso dei sistemi Common Rail di iniezione del gasolio: una pompa mette ad elevatissima pressione l’impianto di iniezione, mentre un iniettore comandato elettricamente gestisce la portata attraverso un comando modulato dalla centralina. Quest’ultima utilizza una memoria dove sono contenuti i dati relativi ai momenti e alle durate di apertura degli iniettori, che funzionano dunque da veri e propri rubinetti. Rispetto ai sistemi assistititi pneumaticamente, come quelli utilizzati da Aprilia, Peugeot e Piaggio, i vantaggi dovrebbero derivare dalla pressione di alimentazione molto più alta (fino a 120 bar) e la conseguente migliore atomizzazione del carburante, che dunque dovrebbe essere in grado di bruciare in modo ancora più completo. In pratica il sistema messo a punto dalla Dell’Orto è costituito da una piccola pompa a pistoncino, mossa direttamente dall’albero motore, che invia il carburante ad alta pressione al "flauto", cioè quella canalizzazione rigida a cui sono direttamente collegati gli iniettori. Chiaramente in questo caso, visto che si tratta di alimentare un solo iniettore, la forma dell’oggetto non ricorda più quella dello strumento musicale, ma la sua funzione resta la medesima: immagazzinare carburante alla giusta pressione in un punto molto vicino a quello di erogazione (il che permette di limitare la variazioni di pressione dovute alla deformazione elastica dei componenti sotto l’influsso della pressione stessa) e contemporaneamente di rappresentare un piccolo serbatoio in gradi di smorzare i picchi di pressione in arrivo dalla pompa. L’iniettore (ne sono stati provati molti tipi diversi, e anche un prototipo a comando piezoelettrico molto rapido nella risposta ma ancora un po’ ingombrante) viene comandato da una centralina, che rileva la posizione dell’albero motore e la sua velocità di rotazione “leggendo” un ruota fonica applicata al generatore.


La lubrificazione è gestita in modo molto più flessibile del solito attraverso una piccola pompa elettrica comandata da una piccola centralina: ciò permette di ottimizzare l’invio ai cuscinetti dell’olio, che -non dimentichiamolo- è l’altro grande responsabile delle emissioni di HC. Come semplificazione ulteriore, l’ingegner Colombo e i suoi tecnici stanno verificando la possibilità di impiegare senza controindicazioni un sistema di aspirazione senza valvola parzializzatrice (farfalla o ghigliottina). Il DDI dovrebbe essere in grado, variando la corsa del pistoncino della pompa, di fare fronte alle esigenze di motori con cilindrata compresa tra 50 e 250 cc.


Gli esperimenti al banco prova sono stati condotti su un motore Peugeot 50 raffreddato ad aria; la cilindrata di 50 cc è ststa scelta anche perche in questo segmento il quattro tempi risulta ancora sensibilmente svantaggiato sul piano delle prestazioni, e dunque un sistema per "pulire" il 2T suscita un interesse maggiore. La testata, completamente riprogettata per ospitare l’iniettore e un sensore di pressione, è stata dotata di raffreddamento a liquido per evitare problemi di surriscaldamento e soprattutto per offrire una stabilità termica indispensabile al buon funzionamento dell’iniettore, nato per applicazioni automobilistiche. Inoltre bisogna evitare il fenomeno del vapour-lock, cioè la vaporizzazione di parte del carburante all’interno di iniettore e condutture, con conseguente formazione di bolle e quindi irregolarità di erogazione del combustibile.


Anche il pistone ha richiesto un forma particolare del cielo, caratterizzato da un piccolo deflettore che impartisce una turbolenza al getto di benzina e lo indirizza verso la candela. I risultati delle prove, per ora condotti solo al banco che permette di lavorare a carichi e/o regimi costanti e utilizzando la pressione fissa a 100 bar, sono decisamente interessanti: il motore Peugeot, nonostante una configurazione poco vantaggiosa del sistema di aspirazione, ha evidenziato un consumo specifico a pieno carico praticamente dimezzato (circa 400 g/kW/h), la decimazione degli idrocarburi incombusti (passati da 6000 a 600 ppm - parti per milione), l’eliminazione delle mancate accensioni alle piccole aperture del gas (effetto 4, 6, 8 tempi).


Il tutto con un incremento di peso trascurabile rispetto al carburatore e con un assorbimento della pompa contenuto in 0,35 kW a 9000 giri, una perdita che appare decisamente accettabile, soprattutto visto che è compensata da un lieve ma non trascurabile aumento di potenza massima. Da questi studi è nato lo "step 2" cioè la proposta su base Piaggio 50 che a brevissimo comincierà il proprio sviluppo.

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