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Suzuki Hayabusa Vs Kawasaki ZX-12 R

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In due fanno 350 cavalli e oltre 600 all’ora di velocità: in accelerazione non hanno rivali, ma se la cavano nel granturismo e sfoderano gli artigli anche sul misto

La Westfield Megabusa, sportivissima biposto motorizzata col quattro cilindri Suzuki della GSX-R 1300

di Fabio Cormio, foto Giuseppe Gori
tester: Fabio Cormio, Lorenzo Rinaldi




Il mercato delle moto “da sparo” un po’ langue. Parliamo delle belve quattro cilindri da oltre 1000 cc, naturalmente, perché le supersportive da un litro di cilindrata sono, invece, sempre richiestissime e continuamente aggiornate (come ha dimostrato la brillante kermesse dell’ultimo Salone di Milano).
Questa nicchia, che ha visto per anni regina la Kawa ZZR 1100 coi suoi 285 orari dichiarati, si ritrova un po’ ghettizzata, dovendo fare i conti con paletti vecchi e nuovi: il codice della strada che si inasprisce, la patente a punti, il peso che le rende poco adatte all’uso in pista, la favolosa crescita delle prestazioni delle 1000 e addirittura delle 600 di ultima generazione.



Suzuki Hayabusa e Kawasaki ZX-12 R, molto apprezzate ad esempio dal pubblico tedesco, sul mercato nostrano potrebbero essere le ultime rappresentanti di una specie destinata a scomparire, complice la richiesta da parte del motard italiano di contenuti tecnologici sempre all’avanguardia e la scarsa propensione delle case a lavorare allo sviluppo di questi modelli.
Noi le abbiamo provate. In sella alla verdona c’eravamo già stati in più occasioni, avendo realizzato approfonditi test su strada e in pista, mentre la nera di Hamamatsu era tra le pochissime moto di serie a non esserci ancora capitata tra le mani, motivo per cui abbiamo creduto opportuno darle maggior risalto.



La comparativa è nata “spontaneamente”: le due moto hanno prezzi praticamente identici (intorno ai 13.500 euro) e dichiarano potenze e pesi analoghi.
Qualcuno si stupirà per la mancanza della CBR 1100 XX: noi crediamo che la carenata Honda faccia riferimento a una categoria distinta, e l’abbiamo resa protagonista di un altro confronto (crediamo infatti che la sua rivale naturale sia un’altra), che presto avrete modo di gustare sulle pagine di Motonline.

Il “soprannome” della GSX1300R è certamente il più originale tra quelli registrati all’anagrafe motociclistica. Hayabusa è, in giapponese, il falco pellegrino, animale che nel Sol Levante è il simbolo stesso della velocità: insomma, il nome è il più azzeccato per una moto accreditata di circa 310 km/h. Dell’elegante rapace, la muscolosa orientale vuole riprendere anche i lineamenti: già, avete capito bene. Ecco spiegato quel particolare becco pronunciato, uno degli stilemi che rendono l’Hayabusa immediatamente riconoscibile. Ora: tutto si può dire della suzukona, tranne che sia un’icona di grazia e bellezza.


Le grafiche bicolore che l’ hanno caratterizzata per molto tempo hanno forse contribuito ad appesantirne la linea. Come tutte le signore dalle forme un po’ troppo generose, anche questa GSX oversize è corsa ai ripari con un bel vestito nero, che la snellisce e la rende più affascinante.
Con l’Hayabusa, infatti, è difficile passare inosservati, perché ha personalità da vendere e perché, proprio a pari merito con la ZX-12, è la moto più veloce in commercio, e in quanto tale è rivestita da una sorta di aura magica, destinata a svanire (forse) solo quando qualcuno presenterà una moto ancora più performante.


Per adesso la Suzuki più potente di sempre è un riferimento, un emblema della velocità che ha portato, ad esempio, la Westfield a trasporre su quattro ruote il concetto di questa moto, con la realizzazione della Megabusa, auto che monta il medesimo quattro cilindri 1300 Suzuki. Probabilmente anche gli infami che me l’ hanno rubata, legata sotto casa con due catene e bloccasterzo, hanno trovato nell’Hayabusa qualcosa di speciale e irresistibile. A loro va l’augurio di tutta la redazione di giacere spalmati su un palo della luce. Amen.





Su moto di questo genere, pensate per le sparate in autostrada, ma anche per gli spostamenti impegnativi con passeggero, zaini e borse da serbatoio, l’abitabilità e la protezione aerodinamica sono fattori molto più importante che sulle supersportive 600 o 1000. Per questo, entrambe le rivali montano carene generose e ampi cupolini: la Suzuki, comunque, complessivamente ripara meglio petto, braccia, spalle e gambe. La Ninja, invece, devia più efficacemente i flussi d’aria dal casco, anche a velocità elevate. La posizione in sella è simile: sportiva senza esagerare col carico sui polsi. In pratica è possibile viaggiare con la schiena quasi dritta, cosa che permette di limitare le soste necessarie per sgranchirsi.




Parlare di maneggevolezza, riguardo a sportive dal peso ben superiore ai 200 chili (210 dichiarati dalla ZX-12, 215 dalla Hayabusa), può apparire paradossale. Nei fatti, però, soprattutto la Kawasaki sa cavarsi d’impaccio anche in città senza troppo sforzo, grazie al baricentro alto e al raggio di sterzo relativamente contenuto. A penalizzare la verde quattro cilindri di Akashi è però la ciclopica gomma posteriore da 200, che rende ancor più faticosi gli spostamenti a motore spento.



Se per il pilota può essere questione di gusti, il passeggero non avrà dubbi: l’Hayabusa è nettamente più comoda, perché gli riserva una sella più accogliente, non lo fa sedere ad altezze da vertigine e gli garantisce pedane meno scivolose, leggermente più distanti dal terminale di scarico e, soprattutto, più basse e avanzate. Cioè non lo costringe alla goffa postura da orso koala che ben conosce chiunque abbia occupato almeno una volta il sedile posteriore di una moto sportiva.


Nei caratteri generali del motore, l’Hayabusa e la ZX-12 si somigliano molto: i propulsori sono per entrambe dei quattro cilindri con ampio alesaggio e corsa modesta. Entrambi, ovviamente, raffreddati a liquido, con distribuzione bialbero camme in testa e sedici valvole.
Entrambe sono alimentate a iniezione elettronica, particolarmente evoluta quella della Kawasaki, in grado di decidere anche l’anticipo dell’accensione grazie ad appositi sensori.



I dati dichiarati parlano di potenze di 175 (Hayabusa) e 178 (Ninja 12) cavalli all’albero: quanto a coppia, la Suzukona riequilibra la situazione, coi suoi 138,5 Nm a 7.000 giri contro i “soli” 134 a 7.500 del missile balistico made in Akashi. Diversa la soluzione adottata per lo scarico: il tipico quattro in uno per la Kawasaki, un quattro in due dal sapore leggermente più turistico (anche se il termine va preso con beneficio d’inventario, visto che stiamo parlando di motori capaci di girare a 10.000 giri) per la nera di Hamamatsu.




Le maggiori differenze si ritrovano però nella ciclistica: telai in alluminio per entrambe, ma al classico doppio trave (su quest’edizione tinto di nero) dell’Hayabusa, si contrappone il monoscocca con telaietto posteriore smontabile della ZX-12. Questa soluzione fa sì che l’airbox sia costituito dalla parte superiore del telaio, mentre il serbatoio arriva fin sotto la sella.
Le forcelle sono per entrambe teleidrauliche pluriregolabili a steli rovesci da 43 mm di diametro.
Posteriormente lavorano monoammortizzatori regolabili nel precarico e nell’idraulica.
Adatti alla mole gli impianti frenanti: all’anteriore, lavorano su entrambe dischi (due da 320 mm) e pinze Tokico a sei pistoncini, mentre al posteriore dischi singoli da 230 (Kawa) e 240 (Suzuki).


Non c’è dubbio che salendo su entrambe si abbia la sensazione di stare su moto voluminose, ma, a motore spento, l’effetto sortito dalle due giapponesi è molto diverso: se la Kawa sembra una ZX-9 “gonfiata”, dunque una supersportiva a tutti gli effetti, l’Hayabusa non ha praticamente nulla a che vedere con le altre GSX-R, perché è molto più panciuta, più comoda e protettiva. Analogamente, quando si avvia il motore in folle e si dà qualche colpetto sul gas, mentre la verdona non lascia dubbi sull’irruenza della cavalleria (il rombo è infatti pieno e cupo), la 1300 Suzuki ha una voce un po’ smorzata, un tono, ancora una volta, più turistico che sportivo.
Ma la realtà è tutt’altra cosa: in mani esperte, l’Hayabusa è un’arma affilata e polivalente, letale anche in territori che non le sembrerebbero congeniali.



Non sprechiamo troppe parole a cantarvi le lodi dei due propulsori: potentissimi, mai rabbiosi, sono entrambi in grado di riprendere fin dai 2.000 giri. C’è molto, ma molto di più di quello che serve. Inutile dire che non ci sono buchi di erogazione, e che il crescendo di vigore oltre i 6.000 è degno del miglior Rossini. Se la potenza è quello che cercate, su qualsiasi moto vi troviate a poggiare il fondoschiena (GSX-R 1000 compresa), dopo aver provato queste due maxi-jap resterete delusi. I trecento all’ora ci sono davvero, per entrambe le moto: ma quello che sorprende è la stabilità delle due rivali alle altissime velocità. Proprio la stabilità è una delle doti più appaganti dell’Hayabusa, favorita in questo dal baricentro basso, dalla ciclistica solida e dalle ottime coperture di serie (Bridgestone Battlax), che, peraltro, regalano una rassicurante sensazione di grip, senza in compenso risultare troppo lente in inserimento di curva.


Proprio per questo sembra esagerato il pneumatico posteriore da 200, montato sulla rivale Kawasaki: più leggera ed alta di baricentro (quindi maneggevole), la verdona potrebbe tenere senza fatica le distanze sul misto, invece ha molto meno vantaggio di quanto ci si aspetterebbe (proprio perché rallentata dall’enorme battistrada posteriore), e il gap si azzera del tutto dopo poche frenate; pur essendo molto simili, infatti, l’impianto frenante della Ninja sembra affaticarsi molto più in fretta di quello della “nemica”. Insomma, credo si capisca qual è la mia preferita: l’Hayabusa, più originale nello stile, più adatta al turismo veloce e per nulla in difficoltà quando si decide di chiedere qualcosa in più della semplice accelerata.

Il falco pellegrino, in giapponese hayabusa, ha ispirato gli ingegneri di Hamamatsu

La Westfield Megabusa, sportivissima biposto motorizzata col quattro cilindri Suzuki della GSX-R 1300

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