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I segreti del monocilindrico

il 03/10/2002 in Moto & Scooter

I motori con un solo pistone sono stati i primi a essere montati sulle moto e sono di grande successo ancora oggi: la loro evoluzione e lo stato dell’arte, dalle scelte tecniche alle caratteristiche costruttive

I segreti del monocilindrico
l Kawasaki KLR è stato il primo a proporre di serie soluzioni come la distribuzione bialbero e il raffreddamento a liquido

I motori con un solo pistone: come sono fatti e perché. Vantaggi e svantaggi, caratteristiche costruttive e scelte tecniche

di Alberto Dell'Orto


Il motore monocilindrico ha avuto una parte molto importante nella storia della moto. Moltissimi dei modelli più famosi, dagli albori a oggi, hanno avuto questo tipo di frazionamento.

I motivi principali che hanno contribuito, almeno all?inizio, alla sua diffusione, sono facilmente identificabili nella sua semplicità costruttiva, nella facilità di installazione in un telaio, nella possibilità di essere efficacemente raffreddati ad aria. Da non sottovalutare l?aspetto delle dimensioni dei componenti: soprattutto in epoche in cui non erano pensabili grandi cilindrate e potenze su una motocicletta, era più conveniente produrre un unico cilindrico simile a quello di un automobile piuttosto che impegnarsi in un?opera di miniaturizzazione dall?esito incerto, specie con macchine utensili, materiali e lubrificanti dalle prestazioni molto lontane da quelle a cui oggi facciamo riferimento. In più un peso complessivo del motore, inferiore a quello di un frazionato di pari cilindrata, stressava meno telai e pneumatici, e il freno motore più efficace aiutava le decelerazioni.


Nelle cilindrate più elevate, il monocilindrico a quattro tempi ha vissuto una lunga storia di predominio fino a tutti gli anni Sessanta, quando una bicilindrica era un lusso per pochi e tre o più cilindri si vedevano solo nelle corse. Poi, un momento di declino dovuto alla corsa al frazionamento inaugurato dai giapponesi, che poi daranno una nuova giovinezza ai mono, a partire dalla Yamaha XT500 del 1976. Una sfida subito raccolta dalla Honda (XL500S, la prima con quattro valvole, e l?unica con carter separati da un piano orizzontale) e dalla Suzuki (SP 370, seguita dalla DR 400) e poi sviluppata con nuovi motori (la Yamaha con l?XT 550, poi 600 -montato anche su una stradale sportiva, la SRX-, infine 660 con cinque valvole e raffreddamento ad acqua; la Honda con il motore XL 500/600, poi cresciuto fino ai 650 cc della Dominator; la Suzuki con il DR 500 diventato anche 600 e 650, e poi i successivi -ma completamente nuovi- 750 e 800 "Big").


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La Kawasaki è arrivata solo più tardi, con la KLR 570 bialbero raffreddata a liquido (l?unica per qualche anno con queste caratteristiche) del 1984, mentre in Europa i primi passi li ha fatti la Cagiva (con un 350 per l?Ala Rossa poi giunto fino a 600 cc), seguita dalla Rotax (distribuzione a cinghia dentata) e dalle Case votate al fuoristrada come Husqvarna e KTM. Singolare la genesi del mono Gilera, bialbero a cinghia dentata e raffreddato a liquido, nato 350/500 per la Saturno Bialbero e poi cresciuto fino a 570 cc per enduro anche molto specialistiche (come la RC) e la prima supermotard di serie, la Nordwest.


Ancora oggi molte categorie adottano motori monocilindrici: si tratta soprattutto di basse cilindrate unitarie a due tempi (da 50 a 200 cc) o di motori a quattro tempi destinati a muovere scooter (125 - 450 cc) o motociclette da fuoristrada (250 - 650 cc), dove i requisiti del contenimento del peso e delle dimensioni sono essenziali, mentre le prestazioni massime sono un aspetto di importanza tutto sommato relativa. Infatti in questi settori è più importante ottenere un’erogazione della potenza dolce e gestibile e, nel caso delle cilindrate più piccole, un ampio range di utilizzo, consumi ed emissioni contenuti. Tra i pregi della scelta di una motorizzazione monocilindrica non ci sono, ovviamente, solo questioni di ingombri e di peso. Non è da sottovalutare l’importanza del contenimento delle spese di gestione: in un monocilindrico di solito il numero delle candele e dei litri d’olio da sostituire è inferiore, così come il numero delle valvole da regolare, e non c’è quasi mai bisogno di sincronizzare carburatori...

Non dimentichiamo, poi, l’economia di produzione: il costo di un motore dipende molto più dal numero dei pezzi che dalla loro dimensione, quindi un piccolo raffronto tra un "mono" e un "quattro" permette calcolare un risparmio di tre pistoni, nove segmenti, dodici valvole (di solito), ventiquattro molle, dodici camme, tre bielle, tre perni di biella e tre perni di banco, dodici bronzine, tre candele e almeno due carburatori e due collettori di scarico. Di solito, poi, anche un silenziatore. Inoltre, l’albero motore può essere scomponibile e montato su cuscinetti a rotolamento, che permettono la realizzazione di impianti di lubrificazione decisamente più semplici. Da notare comunque, la diffusione anche in questo settore delle bronzine (Gilera, BMW).


Accanto ai pregi, questo tipo di frazionamento presenta una serie di svantaggi che ne limitano la diffusione ad altri segmenti del mercato motociclistico. Nei motori a quattro tempi la regolarità di rotazione dell’albero motore è minata dal ciclo stesso di funzionamento: l’albero tende ad accelerare, sotto la spinta del pistone e della biella, durante la fase di espansione, cioè quella in cui i gas incendiati aumentano di temperatura e volume spingendo il pistone lontano dalla camera di combustione, una volta ogni due giri. In tutte le fasi successive (scarico dei gas combusti, aspirazione della carica fresca, compressione dei gas da bruciare) il sistema non produce potenza ma ne assorbe, disperdendola in attriti e rallentando così la corsa del pistone e, di conseguenza, la rotazione dell’albero a gomiti. In un pluricilindrico le combustioni vengono "sfalsate" tra loro in modo da ridurre quella che si chiama irregolarità ciclica, mentre nei mono si può solo fare affidamento sulle masse volaniche (generatore di corrente, albero motore, campana della frizione…): maggiore è il prodotto delle masse per il loro diametro, maggiore sarà l’inerzia disponibile. Ciò manterrà più costante la rotazione ai bassissimi regimi, ma poi costituirà un limite notevole alla brillantezza nel prendere i giri. Emblematico in questo senso il volano esterno del motore Moto Guzzi 500 che, in varie versioni e allestimenti, ha accompagnato la casa per quasi mezzo secolo: il regime minimo molto basso deriva, oltre che dalla fasatura "stretta" della distribuzione, proprio dalle masse volaniche eccezionalmente dimensionate. Per questo, è normale che in un monocilindrico odierno, con potenze dagli 80 CV/litro in su, il volano venga mantenuto ragionevolmente leggero, e questo provoca spesso irregolarità ai bassi regimi. I motori a due tempi di solito soffrono in misura minore di questo problema, perché hanno una combustione ogni 360° di rotazione, cioè ogni giro.


In più attualmente i motori a due tempi sono di cilindrata ridotta (fino a 250 cc): e il loro campo di impiego praticamente esclude i regimi più bassi, quelli ai quali è più sensibile il fenomeno. Dal punto di vista delle prestazioni, poi, un monocilindrico è più svantaggiato dei frazionati, soprattutto nelle grandi cilindrate. Le esigenze termodinamiche, infatti, rendono difficoltosa l'adozione di alesaggi molto grandi (oltre i 100 mm), perchè diventerebbe difficile mantenere le necessarie caratterstiche di rapidità e completezza della combustione in camere tanto ampie. Ne consegue che, data la cilindrata, la corsa non può essere particolamente contenuta e questo pone dei limiti al regime raggiungibile e quindi, complice un sistema di alimentazione difficile da realizzare con le caratteristiche adatte (per motivi di ingombro e fluidodinamici), la potenza erogabile. Ne sono la conferma i più recenti (e moderni) motori da fuoristrada: per raggiungere i giri necessari e avere lo spazio necessario a una fluidodinamica adeguata (condotti efficienti, carburatori di dimensioni ragionevoli, air-box di volume adeguato), la cilindrata si è assestata tra 400 e 450 cc. Un altro punto debole dei monocilindrici è la rumorosità: le pulsazioni di aspirazioni e scarico sono più "energiche" dei frazionati di pari cilindrata e questo impone studi approfonditi per silenziare adeguatamente il motore senza "strozzarlo".




Un altro degli aspetti critici del monocilindrico è l’equilibratura delle masse alterne: il pistone, lo spinotto e quella metà -in massa- della biella a cui convenzionalmente si attribuisce un moto alternato, si muovono generando delle forze di inerzia, che, per effetto delle accelerazioni (positive e negative) dovute all’inversione del loro moto, si scaricano sugli organi adiacenti (albero, cuscinetti, carter) creando delle vibrazioni. Le masse alterne non possono essere bilanciate al 100% con i contrappesi dell’albero motore: questi contrasterebbero perfettamente le inerzie degli organi dotati di moto alternato solo al PMS (punto morto superiore) e al PMI (punto morto inferiore), quando il verso e il "vigore" delle due forze sarebbe il medesimo, ma con direzione opposta. In ogni altra posizione, e in particolare nei punti intermedi tra i due punti morti, si avrebbero degli squilibri (e quindi delle vibrazioni) enormi, perché le inerzie dei contrappesi acquistano verso e direzioni variabili, diversi da quelli delle masse alterne. Per questo si tende a bilanciare con i contrappesi dell’albero motore il 100% delle masse rotanti (perno di manovella e porzione di biella considerata a moto prevalentemente rotatorio) e circa il 50-60% delle masse alterne. A partire da una ventina di anni fa, comunque, con le Yamaha XT550 e le Honda XL500 si è generalizzata l’adozione di alberi di equilibratura controrotanti, quasi sempre singoli, ma alcune volte (Honda, Suzuki) doppi, soluzione più complessa ma più efficace (riduce l’insorgere di coppie tra i contrappesi dell’albero motore e quelli del contralbero).


Contribuiscono alle vibrazioni dei motori di cilindrata maggiore anche le necessità di compattezza: i cilindri di questi motori sono invariabilmente verticali o solo leggermente inclinati, e la corsa non può essere troppo contenuta per non scontrarsi con pistoni di dimensioni eccessive, che sarebbero afflitti da problemi di peso o di resistenza dei pistoni stessi, oltre al problema di dover gestire con adeguata efficienza la combustione all’interno di una camera di combustione molto larga e quindi (per raggiungere un adeguato rapporto di compressione) piuttosto "schiacciata". Per questo si impiegano corse raramente inferiori a 75/80 mm, e quindi per limitare l’ingombro in altezza dei gruppi termici si ricorre all’impiego di bielle piuttosto corte in relazione alla corsa. Ne deriva una forte inclinazione della biella durante la corsa del pistone, che provoca delle spinte laterali sul pistone non trascurabili, che si trasmettono al cilindro facendolo vibrare. Queste forze, però non possono essere in alcun modo equilibrate.

Gli aspetti costruttivi degli attuali motori monocilindrici sono strettamente legati alla loro storia e all’impiego a cui sono destinati. I motori a due tempi appaiono confinati a nicchie di mercato come le moto da cross fino a 250 cc (le 500 a 2T sono ormai quasi scomparse), le 125 di elevate prestazioni (stradali o enduro) e gli scooter fino a 200 cc caratterizzati da un basso prezzo d’acquisto o da una personalità sportiva. In assenza di ulteriori, sconvolgenti sviluppi sulla gestione dell’alimentazione e della combustione, comunque, il futuro di queste motorizzazioni appare piuttosto buio a causa delle crescenti restrizioni sulle emissioni inquinanti. I motori a quattro tempi, invece, dominatori incontrastati delle grandi cilindrate, sono apparsi prepotentemente anche nelle piccole cilindrate. Le strade seguite sono differenti: i motori meno votati alle prestazioni hanno il raffreddamento ad aria e, in molti scooter, due valvole per cilindro. Le quattro valvole appaiono comunque una dotazione obbligata per i mono di cilindrata superiore, perché permettono non solo prestazioni più credibili, ma anche forme più efficienti della camera di combustione. Quest’ultima caratteristica appare irrinunciabile non solo nel caso dei motori più prestanti, come i 250 e i 400/450/500 che spopolano nel cross e nell’enduro, ma anche per i motori turistici di cilindrata superiore per garantire un’adeguata efficienza di combustione in presenza di alesaggi anche superiori ai 100 mm. Interessanti in questo senso le valvole radiali del mono Honda montato su Dominator e Vigor (con un comando monoalbero piuttosto complesso) e le cinque valvole per cilindro di Yamaha (660, 250, 400/426) e Aprilia (con valvole radiali).

Non è un caso, nell’ottica dell’efficienza, che i grandi mono raffreddati ad aria ancora in produzione (Honda, Suzuki, Yamaha, Rotax) abbiano condotti di aspirazione orizzontali, pensati cioè per assicurare più una elevata turbolenza alla carica che entra nel cilindro (a garanzia di completezza della combustione), che un’elevata potenza specifica. Il raffreddamento a liquido è anch’esso diventato una caratteristica quasi obbligata, tranne nei casi di propulsori con destinazione turistico-utilitaria. Nei motori più prestanti, infatti, la temperatura può essere distribuita in modo più uniforme, esigenza sentita soprattutto per minimizzare il rischio di deformazioni termiche della testata e del cilindro: nella testata ciò può portare a una perdita di coassialità tra guide e sedi e minare così la tenuta delle valvole, mentre nel cilindro, in particolare quelli di alesaggio maggiore, si possono verificare peggioramenti della tenuta dei segmenti con conseguente passaggio di lubrificante nella camera di combustione, attraverso il gioco pistone-canna o dal recupero dei gas di sfiato del basamento. Infatti, tutti i motori di nuova progettazione vengono dotati di raffreddamento ad acqua, che ha anche una efficace funzione fonoisolante.

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  • fabio19turbodiesel
    Il mitico Bi4 - Avete giustamente citato il mitico Bi4 il motore monocilindrico che veniva usato sule gilera rc 600, motore avveniristico e molto potente. Io sono il fortunato proprietario della versione piu sportiva la RCR che potete vedere qui: http://www.maxicross.it/nuovo-sito/gilera-rc-600.html Complimenti per il bell'articolo!