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Kawasaki KLE 500

il 11/06/2002 in Moto & Scooter

Sul mercato da un decennio, ha pagato lo scotto di mode avverse. Ma la bicilindrica di Akashi è duttile come poche e non sfigura né in città né in autostrada

di Fabio Cormio, foto Alex Photo



Una moto di sostanza, la KLE. Tacciata di poca verve e aspetto anonimo, non ha mai fatto breccia nel cuore dei bikers nostrani, un po’ perché, diciamolo pure, mezzo litro è una cubatura troppo ridotta per un popolo di motociclisti che senza cento cavalli sotto la sella temono di passare per signorine, un po’ perché la Kawasaki stessa ci ha messo del suo, con linee troppo sobrie o colorazioni a volte al imite dell’improponibile ("indimenticabile" la livrea rossa con sella verde acqua e scrittona multicolore, prodotta negli anni Novanta).



Una cosa però non può negarla nessuno: è difficile, quasi impossibile, trovare una bicilindrica enduro con queste prestazioni a questo prezzo: se si guarda ai marchi prestigiosi, infatti, dai 6.071 Euro della KLE c’è un bel salto per arrivare agli oltre 7.700 della Honda Transalp, che, per quanto superiore per dotazioni e misure, rimane il riferimento più vicino. Inoltre le grafiche sono migliorate, l’enduro stradale nipponica non pare più un giocattolo, gli accostamenti cromatici si sono fatti più raffinati, mentre il cuore… beh, per fortuna è rimasto quello di un tempo: l’efficacissimo due cilindri in linea raffreddato a liquido da 500 cc, stupefacente per prestazioni e affidabilità e parecchio più fluido nell’erogazione rispetto a qualsiasi mono.



Quello che noi ci proponiamo, in questa prova, è capire come la KLE assolva al proprio (non facile) compito di moto-tuttofare, buona per la città, l’autostrada, e – perché no? – qualche escursione su sterrato.

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È proprio alla voce comfort che la KLE rischia l’insufficienza grave. Diciamo “rischia” perché tutto dipende dalle misure del motard interessato. Se questi (come nel nostro caso) ha un’altezza superiore alla media, la posizione di guida si fa parecchio faticosa. La sella infatti è stretta e molto inclinata, mentre le pedane sono arretrate: il risultato è un’impostazione aggressiva, quasi da supermotard, utile per chi con la moto vuole divertirsi, ma poco adatta al turismo di medio e lungo raggio.



D’altra parte, chi non supera il metro e settantacinque, può avvantaggiarsi della ridotta altezza della sella (88 centimetri, un po’ inferiore alla media delle moto di questo tipo) e trovare una posizione meno caricata sui polsi.
La nostra Kawa si spaccia per enduro, ma è una stradale in incognito, come confermano i parafanghi bassi, gli pneumatici poco tassellati e, soprattutto, quel motore dolce che si guarda bene dal vibrare troppo. La sella, poi, malgrado i difetti sovracitati è lunga e ben imbottita, lasciando intravedere la possibilità di qualche viaggetto in due. L’ampio portapacchi, poi, è messo lì proprio per rafforzare tale speranza.



La strumentazione è di impostazione classica, analogica a fondo nero, completa di tutto l’indispensabile, tranne l’indicatore del livello carburante e la spia della riserva: anzi, proprio come sui vecchi ciclomotori, ci si accorge di dover girare il rubinetto solo dopo che la moto ci pianta in asso per la strada dopo aver singhiozzato un po’: romantico.

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La KLE non è una moto di progettazione "freschissima” e, come tale, non presenta soluzioni tecniche particolarmente all’avanguardia.
Naturalmente, a concentrare l’attenzione su di sé è il noto due in linea Kawasaki da 498 cc, accreditato di quasi cinquanta cavalli all’albero. Si tratta del medesimo propulsore che equipaggia la vendutissima naked ER-5, con distribuzione bialbero e quattro valvole per cilindro.



Il cambio, a sei marce, ha la prima e la seconda molto corta, mentre la terza, piuttosto lunga, grazie alla buona coppia (almeno per una bicilindrica di piccola cubatura unitaria) consente di sfruttare la moto in città con un uso limitatissimo della frizione e del pedale sinistro. Standard l’impianto frenante: disco singolo anteriore da 300 mm e posteriore da 230.


Il telaio è a doppia culla, in acciaio altoresistenziale: la ciclistica tutta è di impostazione classica e bada alla concretezza. La sospensione anteriore è una forcella telescopica con steli da 41 mm, quella posteriore un monobraccio di tipo UniTrack con ammortizzatore a gas e precarico molla su cinque posizioni.
Ciò che più caratterizza come enduro la bicilindrica di Akashi è probabilmente la misura dei cerchi: 21 pollici per quello anteriore, 17 per il posteriore, entrambi naturalmente a raggi e gommati senza troppa abbondanza (90/90 e 130/80), come da tradizione fuoristradistica.

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Se pensate di comprare la KLE per fare lunghi viaggi in due, prima di staccare l’assegno contate fino a 100.
Nel frattempo, valutate il fatto che il passeggero non ha maniglie cui attaccarsi e che a ogni frenata vi scivolerà pesantemente addosso; mettete in conto, poi, di fare parecchie tappe durante il tragitto, visto che la posizione di guida decisamente non è quella di una tourer. Infine, stendete accurati rapporti tra la capacità del serbatoio, la benzina fatta e le percorrenze su litro, dato che potreste trovarvi a dover girare il rubinetto su res proprio in fase di sorpasso tir (e non è piacevole, sebbene romantico).



Ciò detto, e terminata la conta fino a cento, se ancora siete dell’idea, godetevi tutti i pregi della dual purpose Kawasaki.
A partire dalle prestazioni offerte dal piccolo bicilindrico: i cavalli ci sono, la coppia pure, il peso è inferiore alla media. La casa giapponese dichiara 165 orari di velocità massima, ma l’impressione è che tale dato serva più che altro a tranquillizzare i genitori apprensivi: lanciata a dovere, la KLE supera abbondantemente i 180 di tachimetro. Ciò che è sorprendente è la fluidità del motore, che lascia incantati dai tre ai settemila giri: poi il suono si fa più gutturale, acuto, e si butta dentro la marcia successiva senza pensarci due volte.


Staccate e curve col ginocchio che solletica l’asfalto non sono, evidentemente, la specialità dell’endurotta nipponica, che però si lascia piegare docilmente, regalando una buona sensazione di stabilità: viene voglia di tirar fuori il piede interno alla curva, da supermotard scafato; viene voglia, ma è meglio non giocare troppo: cerchi e coperture troppo magre non lo consentono. Niente male la frenata: potente e sicura, ha come unico vero limite quello di essere un filo brusca.

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Motore: quattro tempi, bicilindrico in linea, raffreddato a liquido, cilindrata 498 cc, alesaggio x corsa 74,0 x 58,0, rapporto di compressione 9,8:1, distribuzione DOHC a otto valvole, alimentato a carburatore, accensione elettronica, avviamento elettrico, lubrificazione forzata a carter umido.

Trasmissione: primaria a catena,cambio a sei rapporti, finale a catena.

Ciclistica: telaio a doppia culla continua in acciaio altoresistenziale, inclinazione cannotto di sterzo 27°, avancorsa 105 mm, sospensione anteriore forcella telescopica, diam. steli 41 mm, sospensione posteriore UNI-Track con ammortizzatore a gas, precarico molla su cinque posizioni, freni: anteriore disco singolo 300 mm, posteriore disco singolo, 230 mm, entrambi con inza flottante. Pneumatico anteriore: 90/90 – 21 54S, posteriore 130/80 – 17 65S, entrambi Dunlop Trailmax.

Dimensioni: lunghezza mm 2.215, larghezza mm 880, interasse mm 1.510, altezza sella mm 850, peso a secco kg 181, capacità serbatoio l 15, riserva carburante l 3,4.

Prestazioni: velocità massima km/h 165.

Euro 1: sì.

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