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Yamaha R6 di Paolo Casoli

il 24/10/2001 in Moto & Scooter

Alan Cathcart ha provato a Misano per Motonline la moto con cui Paolo Casoli ha sfiorato il secondo titolo mondiale Supersport

Yamaha R6 di Paolo Casoli
Il bellissimo ed efficientissimo freno anteriore a due dischi sagomati a petali di margherita.


di Alan Cathcart, foto Kel Edge




La Yamaha R6 è una moto che non è riuscita a vincere il titolo mondiale della categoria Supersport nell’anno del debutto, solo perché era... troppo superiore. Quell’anno infatti vinse sei prove iridate su undici, ma con cinque piloti diversi, e ciò impedì che un solo pilota accumulasse punti sufficienti per conquistare il titolo.

L’impresa comunque le è riuscita nel 2000, con Jorg Teuchert e quest’anno ha mancato la replica per un soffio con Paolo Casoli, pur se questi, nel corso della stagione, aveva dimostrato una grande superiorità.




Ho avuto la possibilità di guidare la Yamaha R6 di “Gasolio” per gentile concessione del Team Belgarda, che me l’ha affidata sul circuito di Misano. Il mio proposito era di verificare se questa moto, che tanti diversi piloti hanno portato alla vittoria, fosse davvero così eccezionale come i risultati sportivi testimoniano.
Ho avuto la risposta dopo 27 giri del circuito Santamonica, un test che per durata equivale quindi alla distanza percorsa in un Gran Premio: la Yamaha R6 è semplicemente una cosa rara; è una moto che riesce a coniugare le aspettative di potenza e di prestazioni di un pilota che sale su una 750 Superbike, con l’agilità e la maneggevolezza di una 250 GP.




Il merito certamente va attribuito in gran parte alle doti naturali di questo modello, ma non devono essere sottovalutati i meriti del kit da gara Yamaha e l’approfondito lavoro di sviluppo svolto dai tecnici della Belgarda che hanno messo a punto la moto di Casoli.

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Il kit da gara fornito dalla Yamaha per la R6 Supersport prevede alberi a camme speciali da corsa che modificano la fase della distribuzione, l’incremento del rapporto di compressione fino a 13,5:1, la lavorazione della testata operando sui condotti e sulle sedi valvole, nonché sulla valvole stesse, infine un impianto di scarico Arrows in titanio del tipo 4 in 2 in 1, con collettore con tubi di 38 mm di diametro per i circuiti lenti e di 40 mm di diametro per quelli più veloci.





La Belgarda dispone inoltre di un cambio coi quattro rapporti interni (2°, 3°,4° e 5° rapporto) diversi rispetto a quelli di serie, e di una nuova centralina di accensione digitale programmabile messa a punto dalla EFI, la stessa azienda italiana a cui si deve il sistema di gestione elettronica del motore della Benelli Tornado SBK.
Tutto ciò ha consentito al mago dei motoristi della Belgarda, Mauro Saleppico, di ottenere dal motore Yamaha 600 a 16 valvole la potenza di 130 CV al regime di 15.000 giri, potenza misurata all’uscita del cambio, su un banco prova provvisto di simulatore del flusso d’aria che il collettore anteriore invia all’air-box in condizioni reali.





La Belgarda è in grado di adattare l’erogazione di potenza del motore in relazione alle specificità di ogni circuito, operando sulla fase della distribuzione e sulle curve di accensione, nonché sulla lunghezza e sulla forma dei collettori di aspirazione (che variano in lunghezza da 30 a 50 mm) dei carburatori Keihin a valvola semi-piatta e dotati di sensore TPS.
Il radiatore, lo stesso della Yamaha R7 Superbike, ha sempre mantenuto la temperatura dell’acqua al di sotto di 82° in una giornata soleggiata con temperatura di 32°.

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L’impressione generale, confermata dal test di guida, è che la Yamaha R6 Supersport sia una moto molto più leggera di una Superbike. In realtà è più pesante, visto che il limite minimo di peso è di 167 kg (contro i 162 kg delle SBK) un limite che la R6 ha raggiunto solo dotandosi di zavorra.





La struttura del telaio, come prescrive lo stesso regolamento, è invariata rispetto alla versione di serie, ma in questo la Yamaha è favorita da scelte molto azzeccate in fase di progetto: motore corto, forcellone lungo e distribuzione dei pesi col 52% caricato sull’avantreno e 48% sul retrotreno, a tutto vantaggio dell’aderenza in curva e della facilità di uscita dalle curve stesse. La forcella è di tipo convenzionale con steli di 43 mm di diametro ed è stata scelta dal creatore della R6, Kunihiko Miwa, in virtù del ridotto peso delle masse non sospese rispetto a quello di una forcella upside-down. Per migliorarne ulteriormente l’efficienza, la Belgarda ha effettuato alcune modifiche proprie ed ha adottato alcuni componenti interni Ohlins.





L’impianto frenante è uno dei punti di forza della R6 Supersport; pompe e pinze sono giapponesi, della Sumitomo, mentre i dischi sono italiani, bellissimi ed efficacissimi con disegno a petali di margherita. Oltre alla grande efficienza, i dischi a margherita di 298 mm offrono il vantaggio di una diminuzione di 0,7 kg del peso delle masse non sospese e ciò favorisce la maneggevolezza della moto nei repentini cambi di direzione.

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Appena in sella, la prima impressione è negativa, a causa della strana posizione di guida richiesta da Casoli, che ha comportato lo spostamento delle pedane 25 mm più in alto e 20 mm più indietro rispetto a quelle di serie, mantenendo la stessa altezza della sella da terra e allargando il manubrio. Una posizione di guida talmente sacrificata, che una volta appoggiati i piedi sulle pedane, non è più possibile spostarli.
Ciò non impedisce comunque di apprezzare le grandi doti del motore e della ciclistica della R6 Supersport, che si evidenziano soprattutto in uscita di curva, dove le qualità del telaio e delle sospensioni si sommano ad un’erogazione di coppia assolutamente straordinaria per una Supersport, traducendosi in un’accelerazione esplosiva, degna di una Superbike, ma con molta più possibilità di controllo da parte del pilota.




Il motore ama girare molto in alto, fino a 15600 giri (a 15000 giri si accende una spia rossa di avvertimento) soglia di intervento del limitatore; il margine di sicurezza è notevole, visto che il motore potrebbe spingersi agevolmente anche oltre i 16000 giri.
L’arco di utilizzo della potenza si aggira intorno ai 3000 giri, ma con la coppia a disposizione ci si può permettere di uscire da un tornante anche a soli 7000 giri, potendo ancora contare su una bella spinta. In realtà ciò non serve, perché il cambio coi quattro rapporti interni ravvicinati, distanti solo 600/800 giri l’uno dall’altro, consente di mantenere sempre il motore, senza particolari accorgimenti, sopra i 10500 giri.




Particolarmente a suo agio, ed estremamente divertente, nelle curve in seconda e terza marcia tipiche del circuito di Misano, la R6 ha mostrato una pecca solo in rettilineo, dove, spinta verso la velocità massima, mostrava un evidente alleggerimento dell’avantreno e problemi di aerodinamica che provocavano qualche sbandata. La faccenda mi è stata confermata più tardi da Paolo Casoli, secondo il quale il rimedio consiste nello sporgere leggermente le ginocchia verso l’esterno, con una correzione di aerodinamica che non sa spiegare, ma che elimina il disturbo.

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