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Honda CB600F Hornet

il 29/05/2001 in Moto & Scooter

Una sorta di , una moto che è piaciuta subito a tutti e continua il suo successo senza bisogno di grandi cambiamenti. Un bel giocattolo leggero e guizzante, potente e intuitivo. Qualche nota però è stonata

Honda CB600F Hornet


di Alberto Dell'Orto, foto A. Dell'Orto e Alex Photo




Apparsa sul mercato nel 1998, la Hornet ha subito riscosso un successo di vendite probabilmente anche superiore alle aspettative degli stessi responsabili marketing della Honda. In un segmento come quello delle nude di media cilindrata, allora popolato solo di proposte poco fresche (non c’erano la Suzuki SV, né la Cagiva Raptor) e dominato in modo incontrastato dalla Ducati con la sua Monster, la CB600 F (questa la sua sigla) ha attirato l’attenzione di tutti grazie a quel mix di prestazioni di prim’ordine, personalità estetica e facilità di guida che ha costituito poi la chiave della sua affermazione.






Nell’arco della propria evoluzione ha ricevuto solo poche modifiche, la più importante delle quali è stato l’abbandono, a partire dalla versione 2000, del cerchio anteriore da 16” ereditato della CBR900, mentre è rimasto invariato il grintoso propulsore che ha equipaggiato la CBR600 per quasi tutti gli anni Novanta.
E proprio da qui deriva la sportività della Hornet: diversamente dall’unica concorrente naked a quattro cilindri (la Suzuki Bandit), che adotta un propulsore ex-GSXR 600 addolcito, la Hornet ha ricevuto senza tagli o censure (leggi: depotenziamenti) il motore della sorella sportiva.





Costruita con materiali di qualità, la Hornet è stata comunque oggetto di grandi sforzi industriali per contenerne i costi di produzione e poterla offrire all’allettante prezzo di listino di poco più di 14 milioni, decisamente concorrenziale soprattutto considerando le notevoli prestazioni e la meccanica raffinata. Questo può forse aiutare a giustificare alcune cadute di tono a livello di dotazione e di finiture.

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Come accennato, la Hornet colpisce per le sue forme, sinuose ed agressive al tempo stesso, ma senza esagerazioni. Ecco allora il faro tondo, un bel serbatoio sagomato, due fianchetti che più semplici non si può, un motore moderno in bella vista e qualche concessione alla leziosità (come la spirale cromata che avvolge il manicotto destro del radiatore e simula una presa d’aria dinamica).
Guardandola da più vicino, questa Honda gratifica per certi aspetti e fa storcere il naso per altri, anche se bisogna sempre tenere in considerazione il fatto che un motore del genere è piuttosto costoso, e probabilmente si è dovuto economizzare altrove per recuperare competitività sui listini.




La strumentazione appare abbastanza completa e ben leggibile (manca però la spia della riserva), i comandi al manubrio sono classici ma molto funzionali, e la leva del freno è regolabile nella distanza dalla manopola del gas. Molto buono anche il livello delle verniciature della carrozzeria e l’estica delle superfici del motore, nato per essere nascosto da una carenatura, e il voluminoso silenziatore di scarico coperto da una piastra paracalore in acciaio inox spazzolato.




Meno bene particolari come le saldature esteticamente poco curate d gran parte dei componenti in acciaio, le modeste pedane del passeggero, la verniciatura di alcuni particolari in lega leggera come le piastre della forcella e il supporto dei poggiapiedi. Anche i comandi a pedale (cambio e freno posteriore) in acciaio zincato appaiono decisamente poveri.


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Il motore della Hornet è di fatto “trapiantato” direttamente dalla CBR, e quindi naturalmente ne ricalca in toto le caratteristiche. Si tratta di un quattro cilindri in linea frontemarcia, dotato di distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro e raffreddamento a liquido, secondo i canoni ormai consolidati per i motori di elevate prestazioni. In vista dell’ottenimento di notevoli potenze specifiche, le scelte adottate privilegiano i regimi più elevati sin dalle misure di alesaggio e corsa, decisamente superquadre.





Questo motore, apparso sul mercato con la versione 1991 della CBR600, segnò un punto importante dell’evoluzione tecnica in casa Honda, perchè introdusse la catena di comando della distribuzione alloggiata a lato del blocco cilindri (prima era in mezzo) e l’adozione di un comando valvole diretto con punterie a bicchiere, invece dei bilancieri a dito utilizzati in precedenza.

Per ottenere una buona compattezza della camera di distribuzione le valvole di aspirazione e scarico formano tra loro un angolo di 32°, dato ormai considerato non più modernissimo, ma comunque ancora valido per ottenere buone prestazioni, anche se probabilmente crea qualche difficoltà ai tecnici Honda che devono far rientrare le emissioni nei limiti utilizzando i carburatori.





Il telaio è caratterizzato da uno schema piuttosto inconsueto per questo genere di macchine: si tratta di un monotrave scatolato in lamiera d’acciaio che utilizza una coppia di piastre posteriori in lega leggera in funzione di supporto del fulcro del forcellone, mentre il motore chiude inferiormente la struttura. Particolare, e probabilmente dovuta a ragioni di economia già accennate, la scelta di utilizzare un monoammortizzatore posteriore comandato direttamente dal forcellone senza leveraggi di progressione.

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La posizione di guida è eccellente e perfettamente intonata alle caratteristiche d’uso della moto: bastano poche centinaia di metri per avere la sensazione di averla guidata da sempre. L’ergonomia generale, molto ben studiata, permette di sentirsi “dentro” la moto e in possesso del completo controllo del mezzo.
L’imbottitura della sella, la conformazione del manubrio e la posizione delle pedane riduce l’affaticamento anche nell’uso intenso, benché nei lunghi tratti autostradali la mancanza di un riparo aerodinamico si fa sentire.




Il passeggero è bene accolto: lo spazio a disposizione non è enorme, ma la sella, le pedane e il maniglione appaiono ben studiati. Qualche fastidio, però, viene dal silenziatore, che emana calore e può produrre eventuali scottature al passeggero salendo e scendendo dalla moto. Qualche vibrazione filtra a livello di pedane e manubrio ai regimi medi, intorno ai 6-8000 giri.
I comandi al manubrio e a pedale sono intuitivi e ben modulabili. Non sarebbe dispiaciuto, però, avere la possibilità di regolare anche la posizione della leva della frizione.




Il cavalletto laterale offre un appoggio stabile e sicuro, ma costringe a qualche contorsione per essere aperto stando seduti in sella; praticamente invisibile, anche se comodo da azionare, il rubinetto della benzina. Sotto la sella, dalla procedura di asportazione non molto intuitiva, c’è un po’ di spazio per riporre attrezzi, documenti e un bloccadisco o una catena non troppo voluminosa.

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L’avviamento a freddo non immediato risente probabilmente delle normative antiinquinamento sempre più pressanti. Dopo qualche secondo di stabilizzazione, comunque, il motore si dimostra un vero “burro”. Pur raggiungendo la potenza tutt’altro che trascurabile di 96 CV dichiati a 12.000 giri, il lavoro di messa a punto ha permesso di ottenere un’unità docile o aggressiva a seconda degli ordini del pilota, e anche del tutto ragionevole nei consumi.





Regolare anche se non entusiasmante fino a 6000 giri, oltre questa soglia e fino a 13.500 giri il motore si esibisce in una dimostrazione di muscoli che, senza spaventare il neofita, permette al guidatore smaliziato di togliersi delle belle soddisfazioni. L’agilità della ciclistica e la sincerità di reazione alle sollecitazioni imposte dal pilota e dalla strada, permettono infatti di osare senza sentirsi sopraffatti dalle prestazioni. Ne vien fuori un mostriciattolo da misto in grado di impensierire cilindrate ben più importanti.




Mentre i freni svolgono onestamente il loro compito, tanta prestanza trova però il suo limite nelle sospensioni: comode per la città o la scampagnata, quando si forza davvero il ritmo si dimostrano non del tutto adeguate alla prestanza del motore. In particolare la forcella soffre di molle troppo deboli (una frenata decisa porta a pacco la sospensione, che così mal digerisce eventuali sconnessioni dell’asfalto), mentre l’ammortizzatore posteriore, che denuncia i suoi limiti in condizioni più gravose rispetto alla forcella, soffre della mancanza del sistema di comando progressivo e di una taratura un po’ troppo di compromesso.

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Motore: a 4 tempi, 4 cilindri in linea frontemarcia, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 65 x 45,2 mm, cilindrata 599 cc, rapporto di compressione 12:1; distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro, comando a catena; lubrificazione a carter umido. Alimentazione: 4 carburatori a depressione da 34 mm; capacita’ serbatoio 16 litri. Accensione elettronica. Avviamento elettrico.

Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco in bagno d’olio con comando a cavo; cambio in cascata a sei rapporti; finale a catena.

Ciclistica: telaio monotrave scatolato in acciaio e piastre in lega leggera, inclinazione asse di sterzo n.d., avancorsa n.d.. Sospensione anteriore: forcella telescopica, steli da 41 mm, escursione 120 mm; sospensione posteriore: forcellone in alluminio con monoammortizzatore, escursione 128 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/70-17”; posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 185/55-17”. Freni: anteriore a doppio disco di Ø 296 mm, pinze flottanti a 2 pistoncini affiancati; posteriore a disco di Ø 220 mm, pinza flottante a 1 pistoncino.

Dimensioni e peso: interasse 1425 mm, lunghezza 2095 mm, larghezza 740 mm, altezza sella 790 mm. Peso a secco 176 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza 97 CV (71 kW) a 12.000 giri, coppia 6,5 kgm (66 Nm) a 10.000 giri.

Omologazione Euro-1: si’

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